Andar per mare nel medioevo: due letture imperdibili
Le Grandi Navi medievali facevano paura. Ai contemporanei. La fortezza galleggiante veneziana Roccafortis nel 1264 sbaragliò la flotta genovese che era riuscita a catturare ben diciotto galee veneziane, ma nulla aveva potuto contro il gigante del mare. Di quella volta.
COSMOPOLI (l.c.) — E prima ancora i veneziani avevano un’altra Grande Nave, la mitica Tutto il mondo, che appariva nei momenti cruciali come un propizio deus ex machina: nel 1171 salvò i veneziani residenti a Bisanzio dalla prigionia (con allegati violenze, saccheggi ed esproprio dei beni mobili e immobili) decretati dall’imperatore Manuele I che furono causa scatenante della guerra tra Venezia e Bisanzio fino al 1175. La Tutto il mondo partecipò anche all’assedio di Ancona con una flotta di quaranta galee.
Anche i genovesi avevano le loro Grandi Navi, ovviamente: la Paradisus Magnus, o la Oliva che — si dice — aveva trasportato mille pellegrini in Terrasanta. Anche i pisani avevano una Grande Nave, Il Leone della Foresta, che ritenevano invincibile in battaglia: la inviarono a Cagliari e fu espugnata da una squadra di scaltri corsari mentre si trovava placidamente ancorata nel porto. Non in battaglia però.
Stando ai molto liberi disegni dell’epoca, nell’immaginario erano viste come dei veri e propri castelli di legno sull’acqua, con tanto di torri a prua e a poppa.
Secondo alcune ipotesi sulla Roccafortis queste Grandi Navi degli albori della marineria mediterranea dovevano essere lunghe circa trentotto metri, e larghe al massimo una decina. La storica Nef X che portò San Luigi (al secolo Luigi X re di Francia) in crociata era un poco più piccola. Avevano di solito due alberi: arbor de prora e arbor de medio. Alcune Grandi Navi veneziane, stando ai disegni, avevano anche tre alberi. Le vele latine erano grandi, le rande più lunghe della stessa nave, e la manovra era molto impegnativa e richiedeva un numeroso equipaggio.
A queste prime Grandi Navi, agli inizi del Trecento veneziani e genovesi sostituirono le cocche di origine nord europea, le antenate dei velieri che in varie fogge dominarono i mari fino al secolo scorso.
Navigare in quei era un avventura, e occorrevano motivi validi per farlo. Salvarsi la vita o l’anima, per guerre o per mercati. Il turismo non era nemmeno un’idea, né per mare, né per terra.
Per avere una rapida, ma esaustiva panoramica sulle avventurose vicende della marineria italiana e della nascita, e scomparsa, delle città italiane che fondarono sul mare e sulle navi la loro storia (delle navi e delle città): Storia delle Repubbliche marinare di Marc’Antonio Bragadin, scrittore e giornalista veneziano ufficiale di marina (Odoya Editore, 2010, 240 pagine con illustrazioni, ISBN: 978-88-6288-082-4).
Infine, un gioiello librario per conoscere la realtà dei viaggi per mare nel medioevo: è Sulle rotte della Serenissima: con il Vistona verso gli scali veneziani in Levante dell’esperto navigatore e storico veneziano Franco Masiero (Milano, Mursia, 1983, 164 pagine ISBN: 13 9788842587491) che ripercorse dal vero le rotte dei pellegrini del quattrocento dopo averle studiate sui manoscritti. Il libro, riccamente illustrato, riporta interessantissimi brani dei diari originali. ★