C’è ancora molto da fare

Non appartengo alla schiera degli ammiratori di quel vetusto salottino televisivo che da tempo immemorabile continua ad andare impunemente in onda quasi tutte le sere dalla rete più popolare della televisione pubblica. Nemmeno a quella, ammesso che esista, del suo ciambellano. Trovo entrambi, salottino e ciambellano, piuttosto indigeribili. Qualche volta, però, è doveroso fare un’eccezione anche per Bruno Vespa e il suo Porta a Porta.

La puntata che ha dedicato ai settant’anni del cantante Bobby Solo (all’anagrafe Roberto Satti, Roma, 18 marzo 1945), sarà stata anche vetusta, come l’età del personaggio in questione, ma è stata assolutamente deliziosa. Almeno per chi non è più giovanissimo, per chi è cresciuto con la lacrima sul viso, per chi ricorda a memoria molte delle sue piacevoli canzoni.

Anzitutto è stata bella l’idea di farla. Magari non sarà stata tanto originale, come non lo è mai festeggiare un compleanno, ma di sicuro è stata coraggiosa. Perché Bobby Solo è un artista che è uscito da tempo dalle televisioni, dai festival, dagli eventi che contano, e anche dal mercato discografico. Certo, continua a fare concerti, nelle piazze dei paesi come nei centri commerciali, ma i tempi del suo grande successo sono alle spalle da tempo. Non chiama più le grandi folle, insomma, non fa più audience.

Poi per il garbo, la signorilità, l’eleganza – e anche l’affetto – con cui è stata condotta. Davvero bravo Vespa. E per gli ospiti, giusti una volta tanto, come Gigliola Cinquetti (nome vero, Verona, 20 dicembre 1947), sempre più bella più il tempo passa, come Mal dei Primitives (all’anagrafe Paul Bradley Couling, Llanfrechfa, Regno Unito, 27 febbraio 1944), con i quali si è esibito in alcuni pregevoli duetti improvvisati, e come il critico Dario Salvatori e il compositore Paolo Limiti.

Ma soprattutto per lui, Bobby. Che non ha più il rimmel di quella volta della lacrima a Sanremo, ma ha ancora il ciuffo, anche se un po’ imbiancato, come il suo idolo Elvis Presley, che fa ancora la mossa, come lui, che imbraccia la chitarra come un fucile, gambe aperte, che continua ad amare il rock’n’roll come il primo giorno, le atmosfere country, e le ballate romantiche che continua a interpretare modulando quella voce flautata che non ha mai cambiato timbri ed espressioni.

È un cantante, piaccia o no, che in cinquant’anni suonati di carriera non ha mai cambiato genere ed è rimasto sempre fedele a sé stesso e alla sua musica. Come nel suo ultimo album, appena uscito, che si intitola Meravigliosa vita e contiene nove splendidi inediti scritti in collaborazione con il grande Mogol, oltre ad alcuni suoi grandi successi come Una lacrima sul viso, Se piangi se ridi, Gelosia, Non c’è più niente da fare.

E poi c’è l’uomo, oltre il cantante. L’uomo non il divo. Semplice, educato, garbato, sorridente, un po’ buffo e un po’ goffo nei movimenti, come quando batte le mani a pollici larghi, come fanno i contadini. Anche ironico e sornione, sempre pronto allo scherzo e alla battuta, un po’ infantile e un po’ incosciente, come un ragazzino mai cresciuto.

Un uomo senza paure e senza pesi. Che non conosce l’odio né l’invidia. Che non ha una parola cattiva per nessuno. Che non ha rimorsi né rimpianti. Che rifarebbe tutto, dice. Anche gli errori commessi, «molti – confessa – specie nei modi in cui ho gestito la mia carriera, negli alti e bassi, nella scelta di manager e impresari». Ma non così gravi, evidentemente – sorride – «se il pubblico mi vuole ancora bene». E un solo desiderio per la sua vita: «riviverla».

Grazie per la lezione, Bobby. Per averci aiutato a capire che non è vero che «non c’è più niente da fare». C’è ancora molto. Che il tuo cammino sia lungo e felice.

«Meravigliosa vita», l'ultimo album di Bobby Solo.

C'è ancora molto da fare