Capitan D’Arpentigny
uomo di mille battaglie
Piccolo viaggio nei misteri della mano
Scritto appositamente per Il Ridotto, questo breve saggio di Enzo Bordin, studioso dei segni della mano e titolare della rubrica di lettura della mano via internet dalle colonne di questa rivista, ci introduce ai significati nascosti dei vari tipi di mano intesa come «specchio dell’anima». Lo studioso mette a confronto, con una dialettica serrata, le tesi di due eminenti scienziati come Casimir Stanislas D’Arpentigny, che fu ufficiale di Napoleone, e di Gustav Carus, scianziato, artista e pittore. Giungendo a conclusioni per molti versi sorprendenti.
Aristotele paragona l’anima alla mano, individuandola come “lo strumento degli strumenti”; mentre l’intelletto è “la forma delle forme” e il senso “la forma dei sensibili”. Per lui la mano rappresenta l’umana mediazione tra principio intelligente formativo a realtà naturale. Non a caso diversi tipi di gestualità delle mani rendono rendono percettibili i messaggi non parlati
trasmessi all’interlocutore di turno. Tale complesso di significati, conosciuto fin dai tempi antichi, è rimasto sostanzialmente inalterato anche nelle successive tradizioni culturali, compresa l’era moderna interessata a capirne di più sui rapporti tra l’elemento corporeo e quello psichico. L’imput arriva da una spinta propulsiva che nasce e si sviluppa alimentata da una visione romantica dell’esistenza e che trova nella filosofia della natura idealistica il suo approdo esaustivo.
Questo taglio interpretativo porta alla nascita non solo dell’antropologia intesa come studio dell’uomo in chiave psicosomatica ma anche fisiognomica, dove la mano finisce per assumere un’importanza sempre più marcata, fino a divenire “lo specchio dell’anima”. In tale contesto corre l’obbligo di segnalare chi per primo ha gettato le basi per un’ interpretazione chirognomica ben definita e motivata. Stiamo parlando del capitano Casimir Stanislas D’Arpentigny, personaggio di cento battaglie ma nel contempo artista e letterato. Nasce nel 1798 e s’arruola nell’esercito francese nel 1814, servendo dapprima Napoleone Bonaparte e poi re Luigi XVIII fino al suo pensionamento avvenuto nel 1844. Mentre è in servizio in Spagna durante le guerre Peninsulari del 1820, incontra una giovane zingara che gli legge le mani inquadrandolo come meglio non si può. Folgorato da quella «anamnesi divinatoria”, studia tutti i vecchi testi del periodo rinascimentale reperibili e inizia a fare indagini preliminari sulle mani delle persone che incontra.
Essendo D’Arpentigny non solo un uomo d’armi ma anche di cultura, viene invitato a riunioni sociali frequentate da due diversi strati della società francese. Alla prima partecipano per lo più scienziati, matematici ingegneri e meccanici, mentre alla seconda sono presenti soprattutto poeti, pittori, musicisti, decoratori e creatori di moda con rispettive mogli e modelle al seguito. Casimir nota che esistono marcate differenze chirognomiche tra le mani degli individui razionali rispetto a quelli creativi. Gli uomini di scienza ed i militari evidenziano dita tendenti al nodoso, mentre i letterati le hanno in prevalenza lisce attraverso le articolazioni. E conclude: tali diversità svelano i segreti che rendono così variegati e compositi i profili psicosomatici della gente. Un’affermazione valida anche oggi, almeno in parte, grazie ad un suo sistema di classificazione basato su sei tipi fondamentali di mani: a piazza, spatolate, nodose, psichiche, elementari e coniche. Tale classificazione vale però solo per gli uomini. Le mani delle donne, secondo D’Arpentigny, appaiono molto diverse. Per loro riserva una sezione separata, dove viene contemplata anche la mano mista, facendo così salire a sette le diverse forme dell’arto più usato dall’uomo.
Verso la fine del 1700 esplode l’interesse teso a valutare le connessioni tra l’elemento corporeo e quello psichico, in un quadro romantico che trova nelle filosofia naturalistica un riferimento sicuro. Uno dei principati studiosi del taglio fisiognomico della mano proposto da D’Arpentigny è Gustav Carus, nato a Lipsia nel 1789, non solo ricercatore di rango in vari ambiti naturalistici ma anche valente pittore di paesaggi. Grazie alle sue doti di scienziato ed artista seppe fondere con accorta unità due momenti che in apparenza apparivano senza alcun punto di contatto. Si trattava di trovare un “ponte” tra l’aspetto fisico-morfologico della Terra e la componente non solo estetica ma anche epistemologica del rapporto tra psiche e natura. Questo taglio interpretativo si spiega anche e soprattutto con le sue ricerche in campo fisiologico e patologico basate su criteri scientifici di conoscenze esatte e positive. Ma accanto al rigore scientifico, Carus non dimentica la “dimensione umana della malattia”, come non manca di rilevare nei suoi dotti manuali di ginecologia, anatomia comparata e morfologia che trovano la quadratura del cerchio in “un’arte capace d’interpretare e vivere la malattia in funzione della vita”. Non a caso Carus è anche un appassionato pittore del paesaggio e amico di Gaspar David Frierich, David D’Angers e E. Rietschel. E’ tra i più ferventi teorizzatori della pittura naturalistica.
Le intuizioni forse più lungimiranti di questo sapiente di rango emergono nelle sue riflessioni filosofiche, quando abbraccia le teorie di Friedrich Willan Joseph Schelling basate su tale costrutto: tra natura e spirito non vi è alcuna opposizione bensì una marcata affinità e continuità. Ne consegue: la coscienza fa riferimento alla regione dell’inconscio che la costituisce e da cui attinge le sue potenzialità. Convinto che questa sia la strada da seguire, Carus accentua le proprie inclinazioni verso la Naturalphilosophie e il romanticismo, allacciando rapporti collaborativi con naturalisti quali Alexander von Humboldt e Christian Friedrich Krause. Si mette pure in contatto con lo scrittore Ludvig Tieck. Ma il suo punto di riferimento ideale come uomo, scienziato ed artista è Goethe, da lui definito un “modello insuperato di vita dedita all’arte e alla scienza”.
In Psyche, Carus scrive che la chiave per conoscere l’essenza della vita psichica si trova proprio “nella regione dell’inconscio”, inteso come potenza vitale da cui provengono tutte le forze viventi e che alimenta nell’individuo gli stessi processi vitali che implicano la coscienza. Morale della favola: inconscio e conscio risultano “due manifestazioni di un’unica anima”. In sostanza, la vita viene concepita come la manifestazione pluralistica dei contenuti ideazionali che hanno come principio formante il pensiero divino. Ne consegue che l’intera realtà viene decodificata grazie alle idee che la vivificano e la rendono intelligibile. Per Carus il corpo vivente riflette solo l’immagine esteriore del principio interiore in relazione all’anima, al carattere e alla personalità del singolo individuo.
Anche nel suo trattato intitolato Symbolik (1853) Carus raffigura l’uomo come “il primo atto mediante il quale l’idea diventa anima e spirito”. L’organismo umano, con le sue caratteristiche psicofisiche, è “l’opera plasmante di un’unica idea”. L’aspetto fisiognomico del singolo individuo può essere colto attraverso “un’analisi sintetico-contemplativa” di duplice valenza: accanto alla capacità di sintesi attuata con criteri scientifici legati al mondo dell’esperienza, si deve di pari passo procedere ad una sorta di contemplazione sensibile non riconducibile a categorie formali. Solo così diventa possibile “l’unione unificante” tra scienza e le innumerevoli individualità formative dell’uomo che vanno colte attraverso un “sentire innato”, ad un “tatto” simbolicamente apparentato con l’arte.
La componente fisiognomica, pur se importante e chiarificatrice, da sola non basta per penetrare nei complessi meandri dell’uomo. Se è vero che “l’elemento corporeo conclude a quello spirituale in esso racchiuso”, allora bisogna aggiungere alla componente fisiognomica anche e soprattutto il momento valutativo scientifico di tipo organoscopico che definisce la “proporzione della figura umana” . E’ la materializzazione dell’osservazione simbolica usata dai sommi artisti (primo fra tutti Leonardo da Vinci) secondo cui appare possibile ricavare la “misura base” che si ritrova in ogni elemento della costruzione architettonica classica.
Misura base che Gustav Carus mette in collegamento simbolico con la colonna vertebrale, in virtù della ricerche specifiche del tempo, puntuali nel segnalare come sia proprio la colonna vertebrale la prima formazione che compare nell’uovo degli animali superiori. Il ricercatore-filosofo-artista tedesco appare convinto d’avere individuato il “modulo organico” preposto alla formazione dello scheletro umano, rendendo così praticabile una “teoria delle proporzioni” inerente la figura umana da cui traggono lo spunto non solo gli artisti per le loro opere. Attraverso una valutazione organoscopica diventa possibile elaborare, a livello simbolico, la figura umana ideale: una figura mediana originaria che, attraverso varie modificazioni, costruisce le caratteristiche peculiari di ogni singolo individuo in rapporto alla costituzione, al carattere, al temperamento, all’intelligenza e allo spirito, in una gamma di sfumature pressoché infinita.
L’approccio fisiognomico e simbolico si coglie appieno nelle due esaustive trattazioni di Carus dedicate alla mano. La prima lezione, tenuta nel 1846, è incentrata “sul fondamento e significato delle differenti forme della mano in diverse persone”. A renderla più esaustiva a livello icastico ci sono alcuni disegni sulle forme fondamentali di mano del professor Hubner. L’altra trattazione di 32 pagine si trova nel “capitolo Die Hand” della Symbolik. Le sue linee interpretative risultano invariate rispetto al primo lavoro. Per Carus la mano appare un “un membro così meraviglioso” dotato di un “senso architettonico così profondo” e di una “storia talmente singolare” d’aver contribuito ad “elevare l’anima umana alla perfezione dello spirito”. Non a caso scienziati di ogni parte del mondo hanno cercato di carpirne i segreti più profondi, in quanto la mano esprime appieno il concetto di “azione” (handlung) , giacché esprime a livello gestuale “l’atto dell’uomo coscientemente esercitato”.
Dopo il cranio ed il volto, quello della mano appare a suo dire l’organo più significativo. Carus spiega che vi è una storia morfologica della mano in generale accompagnata peraltro da una storia delle sue variegate differenze formative nell’uomo adulto legate alla peculiarità delle persona e quindi declinabili in modo diverso. E’ una storia che descrive la morfologia e il processo evolutivo di questo arto facendo propri due momenti fondamentali dell’indagine naturalistica: la historia naturalis proveniente dalla tradizione classica di Aristotele, Teofrasto, Plinio il Vecchio e Varrone, basata sulla descrizione empirica della fenomenologia naturale senza alcun riferimento ai cambiamenti avvenuti nel tempo, a cui va aggiunto il più recente processo teso ad indicare quando una data realtà si è costituita nelle modalità in cui ora la osserviamo.
Come già rilevato da Immanuel Kant, “descrizione della natura” e “storia della natura” , pur se riassunti in unico termine di historia, esprimono concetti diametralmente diversi. Per questo motivo proponeva di scindere i due aspetti d’indagine scientifica, con rispettivi termini di riferimento: fisiografia per l’aspetto descrittivo e fisiogonia per quello evolutivo. Si arriva così ad articolare e dividere la storia morfologica della mano in due precisi e distinti momenti: storia della formazione dell’organo genericamente inserito nel regno animale e storia del progressivo sviluppo della mano nell’uomo.
Per quanto concerne il primo aspetto, Carus deduce che gli arti animali analoghi a quelli della mano umana appaiono la pinna pettorale dei pesci, l’ala degli uccelli e il piede. La pinna rappresenta per lui il primo rudimento di mano tra i vertebrati, caratteristico per l’intera famiglia e destinato ad evolversi nel tempo più o meno velocemente in rapporto all’ambiente in cui si trova a vivere. La mano viene pertanto concepita come come “una formazione mediana” tra la forma più contratta come la pinna del pesce nell’acqua e e quella più dilatata del pipistrello che vola nell’aria. Carus fa un’altra interessante rilevazione nell’ambito dei suoi studi di ricerca fisico-morfologica improntati alla polivalenza interdisciplinare: la “mano acquatica e natatoria” è quasi direttamente attaccata al corpo, senza ossa e senza carpo, e con tanto di “raggi collegati da una pelle simile ad una foglia incapace di piegarsi e distendersi”. Nel vampiro e nel pipistrello spiccano invece quattro dita lunghe e un corto pollice ungulato che non consente loro di palpare e di afferrare, collegate da una pelle che si trasforma in ala.
Il regno animale declina una vastissima varietà di specie, con mani a una, due, tre, quattro o cinque dita spesso collegate da una pellicola (come le pinne e e le ali) che varia per spessore e dimensione. Si va da una sottigliezza marcata fino ad una forma più tozza, ispessita e compressa. La forma della mano dell’uomo, coi suoi tratti distintivi di nobiltà, sta nella parte superiore di questa scala evolutiva. Partendo dal modulo che all’epoca rappresentava le proporzioni ideali del corpo umano, Carus auspicava che la misura della mano fosse pari all’altezza e alla lunghezza del cranio, a sua volta in rapporto col canone originario desunto dalla lunghezza della colonna vertebrale. La misura fisiologica tra carpo, metacarpo e dita della mano viene espressa da 1/6 di 1 o da 4/24. Anche in questo caso la mano dell’uomo assume una posizione mediana tra quella dell’elefante (2:4) e del pipistrello (2:32) , dal momento che la sua proporzione risulta di 2:12. Pure le proporzioni tra singole dita e falangi rispettano un determinato rapporto. Morale della favola: la mano evidenzia una costruzione con proporzioni aritmetiche e geometriche che s’intrecciano come tonalità ed armonia in uno spartito musicale.
Carus arriva a tale conclusione facendo un raffronto tra la mano di un plantigrado, di una scimmia e dell’uomo, dove emerge d’acchito una diversità sostanziale: nella mano umana le dita rappresentano l’espressione di una vita psichica cosciente, mentre la superficie palmare declina la vita psichica inconscia del singolo individuo, rappresentata di una circolazione sanguigna ed un reticolo nervoso in grado di emanare “flussi magnetici” ed impulsi istintuali tesi ad alimentare la sensibilità fino a raggiungere toni sempre più esasperati ed accesi. Per non parlare del sistema muscolare che abilita il pollice ad assumere un movimento verso l’interno e rotatorio, tipico del dito prensile. Carus, parafrasando ‘Arpentigny, se ne esce con questa massima: “L ’animal superieur est dans la main, l’homme dans la pouce”. In virtù della sua particolare muscolatura la mano acquisisce straordinarie doti di versatilità e finezza, garantendo all’uomo la creazione di quegli strumenti meccanici che lo distinguono dagli altri animali terrestri.
La mano umana appare l’organo di senso più nobile ed evoluto. In effetti solo l’utilizzo di questo organo permette l’introduzione della coscienza ”nell’esistenza spaziale” in senso reale. Anche la peluria e le unghie dell’uomo rappresentano un tratto distintivo piuttosto marcato rispetto agli altri mammiferi. Sono più rare e delicate. Eppure non tutte le mani appaiono uguali. Spesso risultano diverse per forma, dimensione e segni palmari. Di qui la necessità di trovare un criterio unificante attraverso la creazione di varie tipologie descritte da d’Arpentigny nel suo saggio chirognomico: una chirognomia intesa come “l’arte di riconoscere le inclinazioni dell’intelligenza attraverso le forme della mano”. Carus riconosce l’utilità pratica di tale divisione, anche se è solo partendo dalla storia morfologica e dal significato fisiologico di questo importante organo che risulta possibile formulare una distinzione sicura basata su quattro diversi tipi di mano: elementare, motoria, sensibile e psichica.
MANO ELEMENTARE
La mano elementare presenta un pollice ottuso, smussato e, di quando in quando, rivolto all’indietro, con dita poco flessibili e più corte rispetto ad un palmo ampio, spezzato e ruvido. Anche le unghie appaiono corte e ispessite. Siamo in presenza di un organismo “primitivo”, rozzo e poco sviluppato, adatto a lavori grosso-motori e dalla forma simile a quella degli embrioni. Se le dita si assottigliano in punta e sono più lunghe, allora ci troviamo in presenza ad una mano sensibile. Se invece le dita, pur se lunghe, appaiono forti, ossute e consistenti, in tal caso si trapassa alla forma della mano motoria.
La mano elementare impersona la praticità, garantisce la sussistenza materiale e sorregge le sorti dei popoli, nel bene come nel male. Rappresenta la fermezza, la determinazione ma nel contempo anche una certa rozzezza. Sul piano psichico siamo di fronte ad uno stadio ancora incompiuto, ad un’elaborazione mentale farraginosa e ad un sentire poco spirituale e senza immaginazione. Per Carus l’uomo “elementare”, al di là delle apparenze, declina un temperamento flemmatico e ad una costituzione venosa. Questo tipo di mano rappresenta solo il primo
stadio che funge in un certo senso da base per una successiva evoluzione verso forme fisiognomiche più compiute.
MANO MOTORIA
Di media grandezza, presenta dita nodose e solide, con tanto di falange unghiata quadrata. Il pollice appare piuttosto solido, con polpastrelli bene sviluppati. Il palmo, solitamente abbastanza ruvido e incavato, è di medie dimensioni. Il tratto distintivo della mano motoria consiste nel fatto che, pur risultando di struttura ossea massiccia, non appare goffa bensì sviluppata a tal punto da non sembrare sgradevole. Secondo Carus, i possessori di questa mano si rivelano tipi dal carattere forte e deciso, portati a brillare più per intelligenza che per sensibilità.
Secondo l’artista-soldato d’Arpentigny, gli antichi Romani avevano mani simili, fino a quando non vennero rovinati dal Cristianesimo, al pari dei Greci fuorviati dal Platonismo. La mano motoria, caratteristica per lo più del sesso maschile, tra le donne compare solo nel tipo virago. Rientrano in questa forma anche le mani definite da d’Arpentigny “a spatola, utili e filosofiche”. Qualora la mano motoria abbia dimensioni un tantino più lunghe, con dita dai polpastrelli rigonfi e forniti di una marcata sensibilità tattile, in tal caso siano in presenza di una mano a spatola, abilitata a lavori meccanici non più pesanti bensì raffinati ed evoluti. Per Carus sono le mani tipiche dei colonizzatori inglesi e delle popolazioni protestanti sono solo del Nord-Europa ma anche di quelle trasmigrate in Nord America. Si tratta di una mano intermedia, a cavallo tra mano motoria e mano sensibile. La forma di passaggio tra mano motoria e mano psichica viene invece denominata da d’Arpentigny mano filosofica, ossia una mano motoria con meno muscoli e nodi.
L’impronta fisiognomica comincia a creare un primo importante ponte psicosomatico, destinato a prendere il sopravvento nel Secolo successivo. In Symbolik Carus arguisce che le mani molto grandi tendono all’analisi, mentre quelle molto piccole sono portate alla sintesi. Gli uomini con un pollice minuto pensano col cuore, quelli con un pollice marcato pensano con la testa. Istinto e ragione: un dualismo destinato a durare fino alle calende greche.Tornando alla mano motoria, essa racchiude un aspetto essenziale: chi la possiede è un tipo tosto, dotato di una volontà di ferro e propenso a gettarsi capofitto sul lavoro con costanza ed energia. Siamo al cospetto di una costituzione atletica ed arteriosa che richiama un tipo collerico. A Carus tale struttura ricorda i tratti caratteriali degli antichi Romani, ossia le “mani di dominatori”, come appaiono quelle di senatori e imperatori del tempo in statue e monumenti finora recuperati. Carus ci rimanda ancora a d’Arpentigny citando una sua conclusione draconiana così strutturata: fu il Cristianesimo a produrre la sparizione di questo tipo di mano, avendo provocato la caduta del dominio universale dei Romani. Ecco il passo saliente: “Allorché le loro forti mani tenute così a lungo appoggiate sulla terra asservita vollero levarsi al cielo, stornate dallo spiritualismo cristiano, di colpo sfuggì loro la terra”.
MANO SENSIBILE
Viene giudicata così da Carus una mano dai tratti femminei. Di dimensioni limitate, ha una superficie estesa. Evidenza dita sottili, delicate e di forma conica, con polpastrelli ben disegnati e unghie trasparenti. Il pollice appare piccolo eppure elegante. La pelle morbida e delicata conferisce alla mano un aspetto gradevole. D Arpentigny cataloga invece tali caratteristiche tra mano artistica e mano spirituale. Si tratta di una tipologia frequente sia nel popolo francese che in quello italiano. Carus tira addirittura in ballo le mani di Torquato Tasso, basandosi sulla descrizione fatta da Goethe. In ogni caso, la mano sensibile evidenzia non solo sensibilità ma anche fantasia e presenza di spirito, tipica del temperamento sanguigno. La sua costituzione è però astenica. Il passaggio alla mano motoria o a quella psichica declina rispettivamente la mano artistica di scultori, musicisti e poeti. Prima d’Arpentigny e poi anche Carus notano che le nazioni europee nordiche possiedono in prevalenza mani motorie, mentre italiani e francesi propendono per mani dalle forme sensibili, così come le descrive Goethe nel suo “Torquato Tasso”.
MANO PSICHICA
Sono in pochi a possederla, dal momento che rasenta la perfezione estetica. Solitamente di medie dimensioni, presenta un palmo che prevale di poco in lunghezza rispetto alla larghezza, mantenendo proporzioni armoniche e disegnando solo linee essenziali, semplici e piuttosto marcate, tipiche delle persone dai sentimenti chiari e profondi. Si tratta di una mano agile, aggraziata, con dita lunghe, sottili e slanciate quanto basta per assumere una forma conica che ne accentua la raffinatezza. Il pollice, di media grandezza, svetta in forme eleganti e delicate, con poche pelurie ai lati. Questa tipologia di mano, pur se abbastanza rara, compare in diverse classi sociali: nelle più basse, spesso non riesce a svilupparsi per mancanza di occasioni opportune, rimanendo a vegetare senza costrutto. E’ quella che i tedeschi chiamano “anima bella” . Lontana dalla mano del bambino, si sviluppa in età matura ma non si conserva nella vecchiaia. Se la mano motoria oltrepassa il modulo organico e la mano sensibile non riesce a raggiungerlo, quella psichica lo realizza. Il suo luogo d’elezione è l’Asia meridionale, ma per d’Arpentigny si riscontra anche il Germania.
MANO MISTA
E’ una forma particolare di mano che riunisce in sé più caratteristiche. In taluni casi ricorda da vicino la mano filosofica che rappresenta l’anello di congiunzione tra mano motoria e quella spirituale con la mano artistica che indica il passaggio della mano motoria a quella sensibile. Le forme mistilinee più comuni evidenziano il trapasso dalla mano elementare a quella motoria e a quella sensibile. Meno frequente il passaggio dalla motoria alla sensibile. Va pure ricordata quella che d’Arpentigny definiva una mano a forma di spatola: vigorosa e grossa, dita lunghe e polpastrelli pronunciati. La trasformazione della mano sensibile in motoria conferisce a quest’ultima un ’accentuato vigore muscolare, una maggiore forza nelle dita e nelle giunture. E’ la “mano artistica” dei pittori e la “mano utile” dei meccanici coniata da d’Arpentigny. I passaggi alla mano psichica hanno invece percorsi obbligati. Vi si arriva a partire alla mano sensibile e dalla mano motoria, ma mai da quella elementare. Le prime due fanno capolino sia all’interno delle famiglie dove cultura e riguardo verso i lavori pesanti vanno di pari passo, sia nelle famiglie dei nobili. Sono “mains de race” (mani di razza) possedute anche da certi ebrei che da secoli non svolgono lavori gravosi e non si sono confusi con altre popolazioni. La diversità delle mani dipende anche da altre peculiarità, prima fa tutte il sesso.
Per Carus e d’Arpentigny le donne possiedono normalmente mani più minute, delicate, arrotondate e lisce dell’uomo. Anche la diversa età comporta una serie di variazioni nella mano. Come il viso, anch’essa subisce l’ingiuria del tempo. “Per capirne appieno il senso e la portata bisogna rifarsi all’intera esistenza dell’individuo” rileva Carus alludendo agli studi degli studiosi francesi Settes e d’Abbadie su mani di popolazioni extraeuropee: asiatiche, africane, caucasiche. Partendo da tale osservazioni, ritenute inadeguate o comunque parziali, Carus va oltre e divide la Terra in quattro razze principali con mani diverse tra loro: popoli del giorno, popoli della notte nonché popoli del crepuscolo orientali e occidentali. Tra i “popoli del giorno” prevalgono delle forme della mano psichica e sensibile, mentre i “popoli della notte” mostrano maggiormente il passaggio alla mano della scimmia. Anche i segni interni alle mani evidenziano diversità anche marcate tra le varie popolazioni del Globo.
SIMBOLISMO FISIOLOGICO
Carus analizza le singole parti della mano ben sapendo che sono collegate tra loro e che si portano dietro una storia lunga secoli e secoli. Il collegamento simbolico più frequente istituito dai chiromanti medioevali riguardava soprattutto il “ponte arcano” esistente tra le linee e i “monti” della mano ed i sette pianeti con cui le dita venivano messe il relazione. Questo lo schema base: pollice sotto l’influsso di Venere, indice abbinato a Giove, medio fagocitato da Saturno, anulare attratto dal Sole e mignolo sotto l’egida di Mercurio. Il monte opposto al polpastrello del pollice veniva messo in relazione con la Luna, il cavo della mano con Marte (positivo e negativo) Più articolata appariva l’interpretazione delle linee interne della mano, disegnate tra una ragnatela di alti segni, figure, griglie, croci, stelle, quadrati, isole, triangoli e quant’altro. E’ in tale labirinto interpretativo che si è sempre cercato (e si cerca ancor oggi) di captare dalla mano non solo i tratti emotivi e razionali del singolo individuo ma anche di proiettarne il futuro, ossia il destino, il fato.
La “simbolica fisiologica” di Carus si muove in un contesto scientifico, adottando i parametri diversi rispetto alla chiromanzia del tempo. Ammette però che “niente dell’organismo appare del tutto senza significato”. Ne consegue a suo dire che le linee manuali, come quelle del viso, sono “tracce dei movimenti della mano” derivati dalla sua evoluzione e quindi in grado di fornire “una qualche ispirazione riguardo alle diverse costituzioni e temperamenti”. Spunti d’interesse psicofisico, per dirla in chiave moderna. Carus presta la dovuta attenzione anche allo stato della pelle soprattutto in relazione a colorito, temperatura e umidità, cosi da poterne valutare età, salute, sensitività e fecondità.
Non tralascia neppure il significato attribuito alle singole dita, dando un particolare significato simbolico al pollice in sintonia con la tradizione storca della chiromanzia. Pone in risalto la lunghezza, il rilievo delle giunture e la diversa forma della punta delle dita. La trama dei tessuti, duri oppure delicati, rinvia a diverse contaminazioni subite dalla mano per una serie di motivi. Viene presa in considerazione anche l’ipotesi che “naturali predisposizioni possano essere state modificate da un uso necessario o improprio dell’arto preso in esame”. Ma dalla mano si possono pure acquisire informazioni sulle patologie dell’individuo, pur se in maniera diversa rispetto alla mimica del viso. Mestiere esercitato, condizioni sociali disuguali, sesso maschile o femminile, età anagrafica: componenti essenziali per arrivare alla risultante-mano in riferimento ai vari tipi di forme.
Le osservazioni di Carus rimangono tuttavia solo a livello prettamente morfologico e fisiologico, senza scavare sulle cause storico-sociali che hanno contributo a “scolpire quelle mani” in modo così diverso (e inimitabile) l’una dall’altra. Rimane di questo scienziato-artista una trattazione morfologico-simbolica che esalta questo “organo meraviglioso del corpo umano” e che rilancia a tutto tondo le sue teorie sulla corrispondenza tra fisico e psichico, tra natura e spirito, tra ragione ed istinto. L’idea che Carus riesce a darci della Vita è quella di una realtà sempre in divenire.