Cazzoni
ad oltranza

Un nuovo tipo italico sta fiorendo. E ce l’abbiamo solo noi. Gli altri magari hanno i gansta e ci esportano gli emo gli otaku i raver e cose così. Noi di nostro avevamo i tamarri e i truzzi e gli sfigati e anche i cialtroni, ma adesso è l’ora del cazzone.

Il cazzone non dev’essere confuso con il prick anglosassone: il prick è proprio scemo di suo, non ci arriva non ci riesce. Cioè: vorrebbe essere non proprio figo, ma almeno come gli altri. Il cazzone ci fa. E ci riesce. È cominciata in sordina, con le bandane, le mani sul culo delle altre, i corni nelle foto; e ci aggiungiamo pure gli infradito, i tatuaggi fatti male, la canotta arrotolata a ventre esposto, le pose sceme (giusto perché sennò qualche lettore potrebbe pensare che ce la prendiamo sempre con gli stessi, e invece no). Cazzate appunto. Cose così.

Ogni estate ha il suo marchio: gli spigliati, gli sportivi, gli arrabbiati, gli urlatori, le isteriche e le maniache, il rilassato e l’anticonformista, i flussi e i riflussi, i rigurgiti.

Ma in quest’estate torrida di corride economiche il cazzone dilaga, prende coscienza di sé, s’impone come tipo umano. E badate bene: non è sufficiente fare i cazzoni ogni tanto. Tipo dire «mollo tutto e vado a coltivare maria», tipo dire «il presidente della Repubblica sta predicando bene e razzolando male», tipo dire «i giornalisti dicono palesi falsità», tipo dire «a mia insaputa».

O a livello mondiale essere una superstar e far finta di fare cazzate e fotografarsi con i postumi delle sbronza.

No, il cazzone è cazzone a tempo pieno. Il cazzone è quello che fa le facce, le pose, le moine, che si veste di stracci che un altro si vergognerebbe di mettersi per imbiancare la cucina, che si muove goffamente, che non si rade ma non ha la barba, che parla e non si capisce (egli stesso medesimo) quello che dice. Sempre, non quando gli conviene.

Il cazzone non sa fare, paradossi dell’etimologia, un cazzo. Ma smitizza. Cioè del tipo: non so scrivere poesie, ma smitizzo i poeti con le miei poesie che non sono poesie; non so cantare, ma smitizzo i cantanti con le mie canzoni che non sono canzoni; le mie condizioni fisiche morali e culturali sono pietose, ma in realtà sto smitizzando la società e le sue imposizioni di condizioni fisiche, morali e culturali, e ve lo dimostro assumendo, io che sono un cazzone, le pose e le manifestazioni tipiche di quelli che invece altrimenti rappresentano tali imposizioni di condizioni fisiche, morali e culturali.

Il cazzone è il rottame totale che le rottamazioni inevitabili del tempo che passa hanno lasciato sulle rive del presente, come le onde del mare lasciano mucchi di alghe putride, teste di bambole, bottiglie di plastica, zoccoli spaiati, frammenti di polistirolo e qualche deiezione umana, sulle spiagge d’Italia e d’Europa.

Mentre al largo incrociano gli iot senza patrimoniale.

Il cazzone, assieme a tanti altri, non si è accorto che tutte le cose che il suo daffare smitizza sono ormai vuote inutili decrepite smitizzate da decenni. Che ben altre sarebbero le questioni da affrontare, soprattutto magari essendo giovani e disoccupati e senza niente da fare anche volendo. Ma intanto il cazzone si autoproduce su feisbuc e i suoi video le sue canzoni le sue poesie i suoi vestiti i suoi balbettii incoerenti sono il marchio di quest’estate. ★

Cazzoni ad oltranza