Che soffocante
‘sta diga soffolta
Insensate divagazioni idrauliche su una brutta parola
Si sa. Le parole sono magiche. A volte basta la parola. Le parole sono pietre. Infatti poi si scopre che invece le parole non bastano mai. E anche che si può ammalarsi di parole. Ubriacarsi di parole. Farsi prendere dalle vertigini di parole. Prendiamo ad esempio la diga. Parola tra l’altro d’intrigante rima. Ci si ritiene abbastanza esperti sulla diga. E invece no. Seguiteci nei meandri dell’italiano burocratico ingegneristico amministrativo idraulico e anche un poco ottocentesco.
Ma ci si trova a naufragare nel lessico e nella semantica quando si apprende, per la prima volta nella vita, dell’esistenza della diga soffolta. Cosa sarà mai, una diga soffolta. Mi chiedo a botta calda sorseggiando il caffè.
Lasciamo stare la sensazione d’afa soffocante e un po’ pelosa che l’aggettivo soffolta induce immediatamente, con un’aroma intenso e ottenebrante d’abbrozzante all’olio di cocco. I processi della memoria involontaria sono fallaci e, purtroppo, le parole non sono conseguenze delle cose.
Voglio dire. Essendo nato a Venezia, e vissuto in esilio sull’isola del Lido per quarant’anni, posso ritenermi abbastanza in confidenza con la natura della diga, con la sua varia morfologia e con la sua variegata terminologia. C’è la diga di terra, e c’è la diga di mare. Ecco: di questa sono più esperto.
Però soffolta! Sento una voce, qui vicino, che con una calata dell’antico maestro (no: non è la coscienza; ma la reminiscenza; del grande Mirko Trevisanello, tra l’altro) mi dice: «Colferai! Ti scrivi sui giornai! E no ti sa gnanca cossa che vol dir soffolta!». E infatti. Santo cielo! Possibile che un assessore sappia cosa vuol dire soffolta e io no?
Ricapitolo freneticamente nella mente ciò che so.
La diga di terra frena i fiumi, li imbriglia, li trattiene, li argina, li invasa. Per vari scopi che qua non ci riguardano. Invece la diga di mare frena il mare. Che è tutta un’altra faccenda. E anche le navi, se è per questo: volontariamente o come effetto collaterale. C’è la diga fissa, e la diga mobile. E c’è anche un tipo di diga, mobile, ancora da venire, che ferma nello stesso tempo il mare e anche la laguna.
Ci sono tanti modi per ergere una diga. C’è la diga muraria, costruita di muratura o calcestruzzo; c’è la diga di materiali sciolti, pietre di varie misure e anche artefatti di cemento. La diga di mare che uno è abituato a vedere e a frequentare vivendo a Venezia è una diga di mezza via: un nerbo di calcestruzzo con un apparato di pietra d’Istria in pezzi di taglie differenti.
A voler essere pignoli, non bisognerebbe confondere le varie dighe poste a difesa delle imboccature di porto della laguna di Venezia, che sono delle vere e proprie dighe, con i frangiflutti, e i pennelli che si protendono nel mare, disseminati un po’ ovunque sul litorale veneziano. Mentre le erigende paratoie del discusso e discutibile progetto di difesa dall’acqua alta sono proprio un esempio di diga mobile.
Comunque, c’è la diga foranea, c’è la diga lunata, e c’è la diga sommersa. C’è anche e persino la diga d’estate e la diga d’inverno. C’è anche il molo, che è una diga che ha cambiato scopo. Ma la diga soffolta proprio no. Forse sarà un sinonimo di sommersa.
Soccorre il vocabolario etimologico. Soffolta è l’orribile participio passato femminile di soffolcere, pelosissima orrenda parola coltissima giustamente cancellata da molti secoli dal lessico italiano. Il primo ad usarla, e probabilmente ad inventarla per ragioni legittime, fu il grandissimo Dante; poi seguito da emuli caparbi e cocciuti. E finalmente negletta.
E invece no. Sebbene soffolcere, o anche soffolgere, tanto è lo stesso, significhi (pare) sostenere, sorreggere, almeno in Dante e Ariosto; è soltanto per il senso derivato che ne hanno tratto gli imbarazzanti Monti e Carducci di appoggiare che la diga è così detta. Perché appunto la diga soffolta si appoggia sul fondo del mare.
Beccatevi, come monito ed esempio, due versi citati dal vocabolario online della Treccani: «rinvenne, e aperte Girò le luci intorno, e sui ginocchi Suffulto vomitò sangue dal petto» (V. Monti); «un fiero o stolto Su gli scudi barbarici soffolto» (Carducci). Notate di sfuggita anche che Monti è necessitato di V.(incenzo) sebbene non vi sia nessun omonimo degno di confusione.
Tant’è. Chi sarà stato l’oscuro collodiano geometra alle acque che memore dei suoi studi tra polverosi banchi e calamai avrà coniato tale portentoso evento lessicale? Avrà citato Monti o Carducci per consegnar loro imperitura memoria anche nell’idraulica ingegneria? Sarà stato per caso il coevo Pietro Paleocapa, principe dell’idraulica, ingegnere e patriota, ministro e senatore, uomo «ricco di accortezza e malizia ellenica»?
Comunque e in ogni caso, sebbene ogni diga si appoggi sul fondo, e sia per ciò soffolta anche se niente sostiene, è ciò non ostante nel senso di sommersa che assessori e ingegneri e idraulici esperti la vanno usando. Evviva la diga!