Default
una terribile mancanza

Breve storia di una parola tanto usata

Assomiglia e assona in modo preoccupante alla disfatta, che è molto peggio di un semplice difetto. Come spesso accade: ci sono parole che tutti capiscono ma nessuno conosce. Speriamo di essere utili nell’ultimo rovello terminologico.

Stiamo andando in default? Speriamo di no. Anche se ad essere sinceri non sappiamo bene cosa o dove sia. Default. Come spesso accade: ci sono parole che tutti capiscono ma nessuno conosce. Si fa prima a parlare di cose che non si sanno. Ci si capisce e non serve scendere nei particolari, che sono sempre pericolosi anche nella più banale delle conversazioni.

Possibile pronunciarla all’inglese: difò(l) o anche alla francese: defò. Secondo il grado di sciccheria o competenza che desideriamo raggiungere. Di tipo finanziario o linguistico.

Assomiglia e assona in modo preoccupante alla disfatta, che è molto peggio di un semplice difetto. Il significato originario di default, oggi inquietante parola, è nell’inglese da cui l’abbiamo presa in prestito molto indifferente: una semplice mancanza.

In campo finanziario indica l’inadempimento di un obbligo. Come il pagamento di una rata, di un debito. Una cosa che precede l’insolvenza e il successivo fallimento oppure la bancarotta. Cose ben peggiori e ben distinte, almeno secondo gli anglofoni che hanno un senso degli impegni e delle loro conseguenze un po’ diverso da noi.

In un tribunale ci potrebbe anche essere una default (assenza) di prove, con grande soddisfazione dell’imputato.

In un campo sportivo si può anche vincere (a tavolino) per default dell’avversario che è rimasto a casa.

Si possono anche prendere decisioni, o eleggere candidati, in default di alternative.

In campo informatico in default di una scelta umana, rimangono le impostazioni di base, che con il contorcimento mentale tipico degli ingegneri informatici, vengono così dette appunto in mancanza pur essendoci. Dato che molti di noi hanno più dimestichezza con i computer che con i soldi, quest’ultimo uso di default è forse il primo e più antico di cui sono venuti a conoscenza. Per alcune settimane, confesso, non capivo assolutamente perché la Grecia, o il Portogallo, dovessero «scegliere le impostazioni base in economia»; come già ha fatto l’Islanda qualche anno fa. Poi mi sono informato.

La parola default arriva in Inghilterra nel tredicesimo secolo. I francesi la usavano già da un paio di secoli come défaut, dall’antico francone defaute derivato da défaillir, verbo che significava sia indebolirsi, declinare in senso fisico e morale, da cui la ben nota e temuta défaillance, sia venir meno ad un obbligo; con il tempo la mancanza divenne nell’uso un vero e proprio difetto.

Molto lontano ci porterebbe analizzare il latino volgare fallire (venir meno, mancare, fallire), dal classico fallere (sbagliare, sfuggire, ingannare, di origine indoeuropea) da cui default deriva per tramite di défaillir; magari confrontandolo con fallare, falla e fallo, fallire e fallimento. Soprattutto perché sembra che si facesse differenza tra l’intenzionalità o l’involontarietà nel commettere la mancanza: un conto è un errore, un conto è un bidone.

Può essere consolante considerare che, almeno etimologicamente, difetto e disfatta in italiano sono gemelli uguali ma diversi di un’altra famiglia dal verbo fare: il primo direttamente dal latino defectus da de-ficere mancare, venir meno; il secondo dall’italiano disfare che nel bel mezzo del Cinquecento cominciò ad essere usato nel senso di sconfitta totale.

Default una terribile mancanza