Il crocerismo fa boom in Laguna
Immensi scatoloni galleggianti passano per il Bacino di San Marco: sono bianchi, li chiamano navi, e il effetti lo dovrebbero essere, ma delle splendide navi di un tempo — Il Rex, il Conte di Savoia, l’Andrea Doria, la Cristoforo Colombo — hanno solo la funzione di portare passeggeri, tanti, il più possibile.
VENEZIA (l.c.) — Così comincia un opuscolo uscito nell’ottobre del 2011per i tipi della casa editrice Corte del Fontego di Marina Zanazzo, nella serie Occhi Aperti Su Venezia. È librino di trentasei pagine (come gli altri della collana) dedicato alle Grandi Navi in laguna: E le chiamano navi. È un resoconto pacato e per niente polemico (come d’altronde anche gli altri libri del Fontego) dei molti lati oscuri, dei molti pericoli, dell’indiscutibile enormità delle Grandi Navi a Venezia.
L’autore è un giornalista veneziano, Silvio Testa, nato a Venezia nel 1948 da genitori dalmati, laureato in filosofia; giornalista professionista, che sulle pagine de Il Gazzettino ha scritto per anni di acqua di barche di città, persino promosso il ripopolamento dei cigni nella laguna con Il Wwf. Appassionato di voga alla veneta di vela al terzo (su cui ha scritto dei bei libri), è stato consigliere di Italia Nostra, presidente della Canottieri Giudecca di Venezia (anche qui ha scritto un libro sulle glorie societarie) ed è stato anche primo presidente di Pax in Aqua, il coordinamento delle società remiere e veliche della città che tentò di portare civiltà e rispetto nel traffico acqueo a motore lagunare. La pubblicazione del libro, nel 2011, lo ha praticamente designato a furor di popolo portavoce del Coordinamento veneziano contro le grandi navi.
Il suo agile libro, che potremo copiare parola per parola ma non lo faremo perché vi consigliamo di comprarlo al prezzo di tre euro, riassume senza parossismi il nodo intricato della questione: il rapporto tra l’economia cittadina e il moderno turismo da crociera su grandi navi. Cifre, bilanci, percentuali, proiezioni, storia. Ci trovate tutto spiegato meglio di quanto potremmo mai fare qui.
Questo strano rapporto, un balletto da paura, tra Venezia e le Grandi Navi, ha un fulcro: l’Autorità del porto di Venezia, cioè l’ente che coordina, sviluppa e decide lo sviluppo della struttura portuale della città.
Compendiando in una sola frase: il turismo delle Grandi Navi è l’unico mezzo che l’Autorità Portuale di Venezia ha per sopravvivere, dato che l’industria (chimica, pesante, leggera) e qualsiasi altra opportunità economica che non sia il turismo ce la siamo giocata da anni.
Concludiamo con le parole dell’autore: «Ha dell’incredibile che in tutta questa partita la città sembri non avere né parte né voce, salvo barattare i problemi con l’obolo di un ticket di 2 o 3 euro per ogni passeggero, e che l’Autorità portuale faccia le sue scelte come se si trattasse di un corpo estraneo, o meglio come se Venezia e i suoi destini fossero estranei e in fondo indifferenti alle politiche portuali. È il porto a servizio di Venezia oppure Venezia e la Laguna sono sacrificabili al porto? […]» ★