E lucevan le stelle
E lucevan le stelle. Due signore a cinque stelle, appunto, vale a dire appartenenti all’omonimo movimento politico a denominazione alberghiera di origine controllata, hanno conquistato le poltrone più alte di due delle più importanti città italiane, Roma, la capitale politica, e Torino, la capitale dell’industria dell’automobile. Sconosciute fino a ieri, si chiamano Virginia Raggi e Chiara Appendino. Sono giovani, inesperte, e digiune di affari di governo.
Può essere un bene, per certi versi. Ma può anche essere un grosso problema. Auguri di cuore ai cittadini romani e a quelli torinesi. Che se le hanno votate, peraltro, un motivo l’avranno avuto. A Roma si capisce. Dopo i disastri fatti dal centrodestra dell’ineffabile Alemanno prima, e dal centrosinistra poi dell’inguardabile Marino, avrebbero votato chiunque, anche l’uomo mascherato. Diverso a Torino. La sconfitta di Piero Fassino è la vera sorpresa. Perché la sconfitta, più che di Fassino, che anche a detta delle opposizioni aveva governato con dignità, è del Pd. Un partito ormai allo sbando.
Le neo sindachesse grilline cinque stelle del comico che non fa più ridere, adesso avranno il loro bel daffare per dimostrare che quel bizzarro movimento nato dalla protesta del vaffa contro tutti, parole spesso di sinistra e gesti spesso di destra, non sa solo blaterale ma è capace anche di amministrare. Cosa più difficile e tutta quanta da provare. Una sfida intrigante, in ogni caso. Anche per tentare di rivalutare l’inutilità di quei voti grillini rimasti impantanati, inutilizzati, in Parlamento. Alla guida di città e paesi almeno serviranno a qualcosa. Forse.
C’è da dubitare invece che la lezione serva al Pd. Teste dure. E non solo il Pd, parliamo dell’intero centrosinistra, o di quei miseri brandelli che ne sono rimasti in giro per il Paese. Nelle cinque grandi città al voto, calcisticamente è finita 3-2: il centrosinistra ne ha vinte due, Milano e Bologna, con Beppe Sala e Virginio Merola (con fatica il primo, agevolmente il secondo), e ne ha malamente perse tre: Roma, Torino, Napoli.
E non è solo la sconfitta che brucia. E’ l’avversario. In nessuna delle tre città dove ha perso, il centrosinistra guidato dal Pd è stato sconfitto dallo storico avversario di sempre, vale a dire il centrodestra (praticamente scomparso dalla scena politica, complice anche il tramonto di Berlusconi), ma a Roma e a Torino è stato battuto da un rivale nuovo che non sta più a destra né a sinistra, come il movimento delle cinque stelle, e a Napoli, dove non era arrivato nemmeno al ballottaggio, dalla lista civica dell’inguardabile De Magistris, l’ex magistrato partito dall’ Idv di Di Pietro, che anche lui non sta più a destra né a sinistra, e che però evidentemente ai napoletani per qualche motivo, a noi non molto chiaro, piace assai .
E’ uno scenario del tutto nuovo, con il quale fare i conti. Ma che non induce assolutamente all’ottimismo.
Quanto al fanciullino Renzi e al suo governo, non era un voto contro di lui o in suo favore, questo, checché ne dicano politicanti da suburra e politologi da strapazzo. Era un voto per scegliere dei sindaci. Punto. Con una valenza politica, chiaro, e dei significati ben precisi, certo. Difatti il messaggio che esce dalle urne, visto anche che è andata a votare solo la metà degli elettori, è netto: gli italiani non si fidano più del centrodestra e del centrosinistra.
Meglio i comici.
LA PAGELLA
Virginia Raggi, Chiara Appendino: voto 7
Piero Fassino: voto 5
Beppe Sala, Virginio Merola: voto 7
Luigi De Magistris: voto 8