E sul corpo dell’uomo
spuntò la testa
del cavallo
«Le centaure et l’animal» l’ultimo strabiliante spettacolo di Bartabas nell’unica data italiana al Festival della danza contemporanea di Torino, con il danzatore giapponese Ko Murobushi
TORINO (r.b.) – I cavalli sono il suo mestiere. Ma anche, e forse prima, la sua passione. La sua più importante, e probabilmente unica, ragione di vita. Come unici sono i suoi spettacoli. Come unica è la sua capacità di sbalordire, di lasciare gli spettatori impietriti fino alla fine, aggrappati ai braccioli delle poltrone, senza che voli una parola, senza che scatti un applauso. Come se cercassero di penetrare il suo mistero. Poi, quando le luci si spengono, e lui resta immobile, come il suo cavallo, solo allora la tensione si scioglie, si stempera la magia, e quasi sempre gli applausi sono scroscianti e durano a lungo. E’ successo così anche a Torino per Bartabas, l’inventore del teatro equestre, che insieme al danzatore Ko Murobushi ha aperto lo scorso settembre, con lo spettacolo «Le centaure et l’animal» (unica data italiana), il Festival di danza contemporanea diretto come sempre con mano sapiente da Gigi Cristoforetti.
Un’autentica chicca. E non solo per gli appassionati. Sia perché Bartabas viene raramente in Italia, sia perché lo spettacolo, andato in scena sul palco delle Fonderie Limone di Moncalieri, è strabiliante. Perché è danza ma anche no, perché è anche teatro, è musica, è misticismo e magia. È arte pura. Danza a cavallo Bartabas, alternando i suoi quattro animali, che si chiamano Horizonte, Soutine, Pollock e Le Tintoret. Danza a torso nudo e vestito di ali, di veli, di tuniche e di ampi cappucci, colorato di bianco, di rosso e di nero. Danza lentissimo, corre veloce e sta immobile. Crea sogni e figure, quadri viventi e illusioni. Sensazioni ed emozioni. Come quando si siede e alza le mani, il cavallo gli sta dietro, immobile, e la testa del cavallo nera si sostituisce alla testa dell’uomo, e l’uomo parla con corpo e braccia e gambe di uomo e testa di cavallo, con le parole forti prese dai «Canti di Maldoror» di Lautréamont. Poi scarta e galoppa e regala sul finale uno stupefacente dressage d’alta scuola.
E come danza Bartabas coi suoi cavalli, danza anche Ko. Ciascuno sembra danzare per conto suo, come lungo due percorsi paralleli nel mistero dell’esistenza, due percorsi che non si incontrano mai salvo a cercarsi nel finale dove arrivano solo a sfiorarsi. Ko Murobuschi, giapponese, è considerato il più grande danzatore di buto nel mondo. Più che una danza, intesa in senso classico, i suoi sono movimenti del corpo, sull’onda delle musiche stranianti di Jean Schwarz, che lui spinge allo stremo, fino a raggomitolarsi come un ragno, sconfinando nei territori del contorsionismo, dell’acrobazia e financo del masochismo come quando sbatte con furore la testa contro una parete di lamiera vibrante e scaraventa con forza il suo corpo magro contro le tavole del palcoscenico.
Uno spettacolo raffinatissimo e profondo, geniale e sconvolgente. Assolutamente fuori dal comune. Decisamente imperdibile.