Expo, non è ancora nata
e già non sopporta i gay
Nuove polemiche a Milano intorno all’esposizione universale
Il marchio della traballante e contestatissima Expo milanese appare a sorpresa sulla locandina di un convegno apertamente omofobo organizzato a Milano da un’associazione integralista cattolica con il beneplacito della Regione Lombardia. Le forze democratiche chiedono che il logo venga rimosso e che non vi siano titubanze e ambiguità. Sul tema ospitiamo un intervento scritto da Rosaria Iardino, consigliere comunale del Pd di Milano.
MILANO — Non ci devono essere titubanze o ambiguità: va rimosso il logo dell’Expo di Milano dalla locandina dell’evento Difendere la famiglia per difendere la comunità, in programma a Palazzo Lombardia il 17 gennaio.
Ci dev’essere più chiarezza. Mi parlano di una presunta vicinanza dell’amministratore delegato di Expo Spa, Giuseppe Sala, alle ragioni della comunità omosessuale. Ma oltre a frasi del tipo «ne parleremo coi soci», e «dobbiamo chiarirci sull’utilizzo del logo», di più non vedo. Invece bisogna bloccare con fermezza la possibilità di dare il patrocinio del più grande evento che riguarderà Milano, ad un convegno apertamente omofobo.
Su questa vicenda noto sin troppa ambiguità, mentre parliamo di un’iniziativa che sarebbe da condannare senza se e senza ma. Il Presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni, fa per esempio delle sottolineature ridicole. Dice che difenderà i gay da qualsiasi «tesi strampalata» pronunciata durante il convegno, immaginando di dover stoppare le aberrazioni di chi considera l’omosessualità una malattia; ma successivamente ricorda che «Il tema del convegno è la famiglia naturale, fondata sul matrimonio, prevista dalla costituzione»: una panzana assoluta, visto che nella nostra carta costituzionale non c’è nulla di tutto questo.
Invece Milano deve prendere le distanze. Chiedo a questa amministrazione di premere con forza su Expo, per decidere sulla rimozione del logo; dal canto mio, in quanto componente della commissione Expo, ho scritto al Presidente Ruggero Gabbai chiedendo di invitare a una apposta seduta Sala assieme alla comunità Lgbt milanese e decidere assieme il da farsi.
Del resto parliamo di un convegno fuori dalla storia, nei temi smentito prima di tutto dall’attualità. È notizia di ieri, infatti, che la Corte d’appello di Torino ha obbligato l’ufficiale di Stato civile del Comune ad accogliere la richiesta di una coppia lesbica e considerare figlia di entrambe la creatura avuta con inseminazione eterologa effettuata in Spagna. Unica nota stonata, la decisione dell’amministrazione cittadina di non accogliere immediatamente tale decisione, ma attendere il pronunciamento della Prefettura. Fatto sta che questo episodio dimostra che per la Giustizia l’omogenitorialità esiste!
Viceversa al convegno in programma in Regione, c’è tra i relatori un ricercatore clinico che nega per principio l’esistenza della famiglia omosessuale. È l’autore di numerosi volumi che inneggiano alle differenze tra maschio e femmina; cosa sacrosanta, ma scorretta nel momento in cui viene utilizzata per criticare e colpire ciò che è stato fatto per rendere questa società meno omofoba. Come, per esempio, glissare sulla distinzione tra padre e madre, nell’iscrivere il figlio di una famiglia omogenitoriale a scuola.
Obiettivo Chaire, associazione ultra-cattolica tra gli organizzatori del convegno, considera «astratte categorie gender» parole quali eterosessualità e omosessualità, stabilendo che non può esistere nient’altro se non la famiglia composta da uomo e donna. Una cosa che mi offende non solo dal punto di vista dei principi ma anche sul piano della vita reale, visto che io stessa ho costituito una famiglia con un’altra donna, con la quale ho una figlia e la figlia di un suo precedente matrimonio.
Sulla questione che i gay siano dei malati o meno, Obiettivo Chaire precisa di non averlo mai detto. Peccato che poi aggiunga: «Tuttavia il disagio per una tendenza omosessuale soggettivamente indesiderata esiste», un modo poco elegante per cambiare le carte in tavola, visto che l’eventuale disagio di una persona gay è dovuto agli stimoli omofobi che arrivano dalla società e non dall’omosessualità in sé.
Insomma sul tema famiglia, chi vuole difendere quella che chiama naturale, sta facendo solo una gran confusione. Viceversa, proprio in questo momento storico, sarebbe più costruttivo discutere su ciò che unisce, per fare in modo che, come in tutte le società di diritto, ogni cittadino veda soddisfatti i propri bisogni a prescindere da razza, religione o inclinazione sessuale.★