Fine del Cammino
Il giorno che muore un giornale, qualunque sia il suo nome, il suo orientamento, il numero dei suoi lettori, è sempre un brutto giorno. Perché è un giorno in cui l’informazione diventa più povera. E con lei si impoveriscono anche la cultura e la democrazia.
Se poi il giornale che muore è un giornale di carta, è più grave. Perché l’era di internet, se ha avuto il merito di favorire la nascita di nuovi giornali telematici in rete — come appunto questo che state leggendo — ha provocato anche la sparizione di molti giornali di carta, colpiti al cuore dalla perdita di lettori (è noto che molti, specialmente i giovani, preferiscono leggere le notizie sui siti anziché acquistare un giornale all’edicola), dal calo della pubblicità, dall’aumento dei costi di gestione.
Se infine il giornale di carta che muore è un giornale di nicchia, volutamente minoritario, perché si occupa di tematiche élitarie che interessano solamente una cerchia ristretta di appassionati, allora la scomparsa è ancora più grave. Perché si perde una cosa rara, preziosa, non sostituibile.
Il giornale che muore si chiama In Cammino. Esce da vent’anni. È una bella rivista trimestrale a colori, tante pagine, carta patinata, che si occupa di circo e, in misura minore, anche di luna park. È una delle due riviste italiane dedicate alle arti circensi (l’altra è il mensile Circo, organo ufficiale dell’Ente nazionale circhi). Viene edita dalla Fondazione Migrantes, che è l’ufficio nazionale della Pastorale per i fieranti e i circensi della Cei, la Conferenza Episcopale Italiana.
Il direttore del giornale, Monsignor Giancarlo Perego, che è anche il direttore generale della Fondazione Migrantes, non spiega esattamente i motivi della chiusura della testata. Allude solo genericamente, nel suo editoriale, ad una «riorganizzazione dei mezzi di comunicazione sociale» della Fondazione, che in ossequio alle nuove mode del momento punterà maggiormente la sua attenzione verso i «nuovi strumenti» di comunicazione. Anche i vescovi!
Nulla da eccepire, per carità, sulle decisioni — assolutamente legittime — di un editore, sia pure un editore sui generis come la Cei, di porre fine al cammino di una sua creatura quando lo ritiene opportuno. Salvo il pensiero che non ce l’aspettavamo proprio dai Vescovi questa specie di scherzo da preti. Bisogna invece constatare che anche la potente consorteria dei vescovi italiani è probabilmente alle prese con gli stessi problemi economici che di questi tempi affliggono quasi tutte le aziende editoriali.
Oppure, dato che i Vescovi non pubblicavano certo questa rivista per fini di lucro, prendere atto che a Migrantes, per motivi che sanno solo loro, il circo oggi interessa meno di un tempo. Quindi non merita più le attenzioni del passato. Non c’è più motivo, in sostanza, di dedicargli una rivista. Forse non ci sono più anime volanti da conquistare sotto gli chapiteaux.
Quale che sia la vera ragione, resta il fatto che la morte de In Cammino è una brutta perdita per chi ama il circo. Perché, sotto la regia competente e appassionata di Dario Duranti, ne raccontava le storie, anche quelle personali di artisti e di famiglie, scavando nel profondo, spesso anche nei bauli della memoria, con una ricca e spesso rara documentazione fotografica. Inoltre, aveva il merito di occuparsi non solo dei circhi e degli artisti celebri, quelli dai nomi famosi, ma di accendere i riflettori anche sui circhi più piccoli, quelli di cui i giornali non parlano mai.
Anche per questo ci mancherà In Cammino. Tutte le volte che arrivava in casa, con la posta, era una festa, perché voleva dire che ci sarebbero stati giorni di letture spensierate. E spesso, nascosta tra le pagine, anche qualche nuova scoperta. O il sapore di qualcosa che avevamo dimenticato. A voler trovargli per forza un difetto, era troppo buonista, mancava di spirito critico. Ma nessuno è perfetto.
Adesso la collezione de In Cammino sta in piedi, bene allineata, sulla libreria dietro la mia scrivania. Dalla copertina dell’ultimo numero, Yann Rossi è voltato verso di me, ma non mi vede. Non poteva esserci un’immagine migliore per un addio. Il clown bianco, solo al centro della pista, dentro un taglio di luce soffusa, il mantello blu tempestato d’argento, gli occhi socchiusi, le note del sax. La musica non si sente, ma suppongo sia un po’ malinconica.
Grazie comunque. ★