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Storie

Giorgione,
un artista misterioso

Si continua a discutere a cinquecento anni dalla morte di Giorgione da Castelfranco pittore. Recentemente alle Gallerie dell’Accademia di Venezia dove è conservato il suo dipinto più conosciuto: La Tempesta alcuni studiosi (Renata Segre, Alfredo Stussi, Lionello Puppi e Piermario Vescovo) hanno dibattuto sull’opera e su di un inventario di oggetti trovati nell’ultima dimora di Giorgione a Venezia.

Maria Luisa Pavanini

VENEZIA — L’artista morì di peste nel Lazzaretto Nuovo, si presume tra settembre ed ottobre del 1510. Le poche notizie sulla sua vita e sull’opera hanno alimentato il mito e il mistero di questo grande e sfortunato pittore.

L’inventario trovato da Renata Segre elenca una serie di abiti e biancheria consegnati quale eredità ad Alessandra vedova del padre del pittore tale Giovanni Gasparini. Tra l’altro vi sono dieci lenzuola, un fazuol de bombaso (fazzoletto da testa di cotone leggero e pregiato), un tapeto peloso, tre barete vechie, una bareta a la francese e altre povere e domestiche cose che mostrano la semplicità e la povertà del vivere quotidiano di questo poeta del colore.

L’inventario non indica dove fosse l’ultima dimora dell’artista né con chi vivesse, e l’altra stranezza riguarda il fatto che tra gli oggetti inventariati manchino opere di pittura ed oggetti quali pennelli, colori e tele, questo fa supporre che l’elenco sia incompleto.

La prima notizia del dipinto identificabile con La Tempesta risale al 1530, quando Marcantonio Michiel lo vide e lo annotò in casa di Gabriele Vendramin, il quadro viene indicato con la sua cornice «de noghera con intagli e paternostri dorati […] nella camera per notar», forse lo studio del proprietario. Viene da supporre che proprio il Vendramin fosse il committente del quadro, in quanto appassionato d’arte e amico di artisti.

Questa piccola tela fu subito famosa e alla base dell’entusiasmo le motivazioni sono diverse. Il titolo deriva dal suo concreto contenuto visivo ben chiaro: un cielo annuvolato con al centro della tela un fulmine e due figure ai lati, che suggerì al Michiel la nota descrizione: «el paeseto in tela cun la Tempesta cun la cingana et soldato». La Tempesta” è il titolo che ha retto a tutte le interpretazioni in seguito avanzate alla ricerca di un soggetto, ancora in parte misterioso.

Questo piccolo paesaggio tempestoso affascina tutti perché le figure appaiono immerse nella natura e questo per l’immediatezza della pittura che non chiude le forme con la linea del disegno. Il colore ora più denso ora leggero ora caldo ora chiaroscurato sopra l’ombra crea «quell’unione sfumata nei colori» così felicemente descritta dal Vasari e che rese famosi i pittori del Cinquecento a Venezia.

Rivoluzionario in quest’opera non è solo il soggetto dove le figure e lo sfondo hanno eguale importanza, ma anche la tecnica pittorica che fonde ed immerge le figure nella natura. Giorgione fu artista indipendente e a me piace pensare che l’opera sia l’espressione di uno stato d’animo, del piacere personale del pittore nei confronti di un paesaggio all’approssimarsi del temporale.

Piccolo pettegolezzo. All’ottima conferenza alle Gallerie il pubblico ha potuto seguire attentamente tutti gli interventi, tranne il contributo di Lionello Puppi: il celebre e dotto esperto se n’è andato già alle presentazioni di Matteo Ceriana, che ha involontariamente introdotto prima di lui lo studioso Piermaria Vescovo; forse per questo o chissà perché, Puppi si è alzato e se n’è andato resistendo indomitamente alle perorazioni dell’amico Augusto Gentili e dello stesso Matteo Ceriana, che hanno inutilmente tentato di trattenerlo. Del resto non poteva non esserci almeno un po’ di tempesta. ★

Giorgione
Tempesta
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Renata Segre
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Lionello Puppi
Piermario Vescovo
Ven, 06/01/2012 - 12:00

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