I primi cento anni
del campanile

Si festeggia senza troppo clamore il compleanno del nuovo campanile, uguale ma diverso

Il 25 aprile di un secolo fa, nel 1912, veniva inaugurato solennemente il nuovo campanile di San Marco. Era caduto su sé stesso dieci anni prima: il 14 luglio 1902. Senza fare vittime, se non nel morale dei cittadini. Il decennio di ricostruzione non fu facile. Il motto, che da allora accompagna molte decisioni veneziane: «com’era dov’era», nacque in quegli anni. Moltissime parole furono dette e scritte sull’opportunità o meno di ricostruirlo uguale, simile, diverso; nello stesso posto o in un altro.

Cadde mentre lo stavano mettendo a posto. La plurisecolare struttura sorta nel IX secolo come torre d’avvistamento, rimaneggiata, danneggiata, aggiustata nel corso della storia, venne giù un lunedì mattina, alle 9.47 secondo la storiografia ufficiale autorizzata. Il crollo fu preceduto da una preoccupante e serpeggiante fessura sul lato nord, che si era fatta strada, inarrestabile, da lunedì 7 luglio. Sotto gli occhi della folla, spinta dai vigili urbani nel portico delle Procuratie Vecchie, e dei tecnici presi alla sprovvista — crac crac crac! — caddero prima dei calcinacci, poi un pezzo di pietra lungo circa due metri, poi una larga falda di mattoni, poi tutto il resto. Con rapidità spaventosa. Si levò un polverone mostruoso, il boato percorse tutta la laguna, l’urto scosse la Piazza e la città come un terremoto.

Subito apparve chiaro che non era caduto per insufficienza di fondamenta. Forse cadde perché era troppo vecchio, come moltissimi si affrettarono a sostenere. O anche, magari e forse proprio perché, nel giugno precedente per rifare il tetto in piombo della Loggetta avevano rimosso una cornice di marmo che penetrava in orizzontale nel muro del campanile per circa due terzi di profondità, e per tutta la larghezza. Fatalità tutto il muro sopra questa fenditura era più spesso e pesante, essendo stato aggiunto a metà del Settecento come uno scudo di rinforzo dopo che un fulmine aveva colpito il campanile. Questa fu la tesi di Pietro Saccardo, proto di San Marco, che fu prima screditato e poi riabilitato (da morto) per le sue idee in proposito.

Fu un duro colpo anche per il governo nazionale della monarchia sabauda che, a poco più di trent’anni dalla conseguita Unità, si vedeva cadere in pezzi uno dei simboli dell’Italia del Risorgimento, con accuse dirette di incompetenza: «abbattuto dall’imperizia degli ingegneri governativi» titolava a tutta prima pagina il 16 luglio, il quotidiano triveneto e storicamente moderatissimo, Il Gazzettino.

Nel discorso celebrativo pronunciato alla posa della prima pietra, il 25 aprile 1903, dall’allora sindaco Filippo Grimani, a capo di uno schieramento clerico-moderato con cui governò la città dal 1895 al 1919, la frase «com’era dov’era» comparve ben sei volte. «Questa fu la sintesi del pensiero di tutti, e non dei veneziani soltanto», disse. Il nuovo campanile, uguale ma diverso, «sorgerà a legare il tempo nostro all’antico, poiché nel culto fedele delle passate grandezze è pur dato trarre questo auspicio ad eventi felici».

Come in tutte le grandi opere, la normalizzazione fu rapida. Le macerie inutilizzabili vennero affondate al largo di San Nicolò al Lido. I pezzi riutilizzabili vennero portati in gran parte nella prospiciente isola di San Giorgio. Furono scoperti resti antichi e antichissimi durante gli scavi per lo studio e il consolidamento delle fondamenta. Vennero intrapresi studi allora all’avanguardia per la realizzazione dei materiali da costruzione che dovevano sembrare antichi eppure essere moderni. Ci furono proteste e scioperi dei carpentieri e manovali impiegati alla ricostruzione: il sistema degli appalti allora imperante in città spingeva a paghe da miseria, all’uso di manovalanza foresta, alla disoccupazione dei lavoratori cittadini.

Ingabbiato da impalcature in legno, lavorato si potrebbe dire tutto a mano, il campanile crebbe di mese in mese.

Il giorno dell’inaugurazione, il 25 aprile 1912, nella Piazza gremita, più di duemila alunni delle scuole elementari cantano un inno Torre degli avi, faro di gloria sulle note del Salmo 32 di Benedetto Marcello; le campane suonano a festa, un po’ in anticipo, mentre il patriarca Aristide Cavallari sta ancora intonando Te rogamus. Sarà stata l’emozione ad agitare il campanaro: il papa Pio X, che era stato patriarca a Venezia ed era nato a Riese come Giuseppe Melchiorre Sarto, aveva voluto ascoltare in diretta telefonica il suono della Marangona (che era rimasta intatta nel crollo). Vengono liberati quasi duemila e cinquecento colombi e il sindaco Grimani, conte per concessione di re Vittorio Emanuele III, solennizza: «Ogni parola è misera e vana dinanzi a tanta solennità di avvenimento, a tanta grandiosità di spettacolo».

Segue pranzo ufficiale con menu e ospiti internazionali: salmone bollito del Reno, quaglie farcite alla tolosana, fagiani di Boemia arrosti; ambasciatori e delegati da tutta Europa. Ai bimbi delle elementari: un bicchiere di vetro di Murano, un sacchetto tricolore con dentro «due panini ripieni, un dolce, un arancio» per la merenda nel cortile di Palazzo Ducale.

Ai veneziani di oggi resta però infine un dubbio indelebile: se il vecchio campanile crollò dopo un millennio più per l’imperizia degli uomini che per il danno dei tempi; se il nuovo campanile, appena centenario fu rifatto più bello e più moderno che pria, più leggero, più ingegnerizzato, più studiato; le fondamenta rinforzate, la struttura rinsaldata, gli sforzi alleggeriti. Com’è che lo devono di continuo monitorare, sondare, restaurare? ★

I primi cento anni del campanile di San Marco