Il caso
di Goli Otok

16.105 torturati nel gulag di Tito: quasi tutti comunisti

L’apertura degli archivi dei servizi segreti della ex Jugoslavia consente soltanto adesso di fare un calcolo preciso delle vittime del regime del maresciallo Tito: per lo più comunisti filosovietici, incarcerati e torturati brutalmente da altri comunisti. 446 morirono per le torture. Le nuove rivelazioni dello storico Giacomo Scotti sul caso di Goli Otok, l’unico gulag d’Europa, di cui fino a pochi anni fa non si conosceva nemmeno l’esistenza.

GOLI OTOK (Croazia) – Le gallerie degli orrori dimenticati non finiscono mai. Ventuno anni fa, nel 1991, lo storico Giacomo Scotti, scrittore e giornalista napoletano, che vive e lavora a Fiume dalla fine dell’ultima guerra (aveva risalito l’Italia con gli alleati ed era andato coi partigiani in Jugoslavia per costruire il socialismo), aveva rivelato una storia terribile, fino a quel momento tenuta nascosta: l’esistenza del «Gulag di Tito» sull’isoletta croata di Goli Otok.

Era l’unico campo di concentramento d’Europa per comunisti, dove, spietatamente torturati da altri comunisti, erano stati deportati tra il 1949 e il 1955, e fino al 1960, migliaia di oppositori al regime del maresciallo Tito. Erano comunisti che non approvavano la scelta di non allineamento fatta da Tito e si erano schierati a favore di Stalin e della linea dell’ortodossia comunista dettata dal Cremlino. Non c’erano dati ufficiali. Scotti raccontò questa storia in un libro agghiacciante, Ritorno all’Isola Calva (questo il suo nome in italiano), che uscì per i tipi della Lint di Trieste, sulla base di una serie di testimonianze di alcuni superstiti che con fatica si era andato a cercare e che, per paura di ritorsioni da parte del regime, si convinsero a parlare soltanto dopo la dissoluzione dell’ex Jugoslavia.

Trovai quel libro dalla copertina bianca, che mi incuriosiva, su di una bancarella del porto triestino. Cercai Giacomo Scotti, andai a prenderlo nella sua casa di Fiume, e volli andare a vedere, insieme a lui, cos’era rimasto di quell’isola (le foto che vedete nella galleria che accompagna questo articolo sono tratte da quel viaggio). Raccontai la storia di Goli Otok, che in Italia era ancora inedita, sulle pagine culturali di Repubblica. Lo stupore fu grande. Tra i molti che mi telefonarono, Giampaolo Pansa. Voleva conoscere Scotti e leggere il suo libro. Fu da allora che Pansa, uomo di sinistra, cominciò a interessarsi delle vittime del comunismo. «Quel libro bellissimo e terribile — dice Pansa di Goli Otok — è uno di quei libri che hanno cambiato il mio modo di guardare alla storia dell’Europa di ieri e di oggi».

Giacomo Scotti, che oggi ha 83 anni, e nel frattempo non ha mai smesso di scrivere e di cercare altre verità, ora ha completato il suo lavoro su Goli Otok, sulla base dei documenti segreti della polizia jugoslava che fino a ieri non erano disponibili, prima finché il regime era ancora in vita, e dopo a causa della lunga guerra che ha insanguinato per anni i territori dell’ex Jugoslavia. «Ancora negli anni successivi alla disgregazione della Jugoslavia — racconta — gli archivi degli ex servizi segreti, già rigorosamente vietati, rimasero comunque inaccessibili a causa delle guerre che contrapposero le diverse Repubbliche e del disordine derivato da quei conflitti».

Adesso che finalmente gli archivi dell’ex Jugoslavia sono stati aperti, è stato possibile ricostruire con esattezza il numero dei comunisti vittime dei comunisti nel gulag di Tito e nelle altre prigioni del regime, grazie a un’accurata ricerca compiuta da una commissione dell’associazione croata degli ex deportati e carcerati Ante Zemljar, e al lavoro del partigiano Ivan Kosic, uno dei torturati di Goli Otok, che ha trovato un documento del segretario federale degli affari interni della Jugoslavia, dal titolo «Elenco delle persone punite con l’obbligo del lavoro socialmente utile e dei condannati per aver aderito al Cominform». Grazie a questi documenti, e ad altre testimonianze da lui raccolte negli ultimi anni, Scotti ha scritto, sempre per la Lint Editoriale di Trieste (giugno 2012, 337 pagine, 18 euro), un altro prezioso libro, il Gulag in mezzo al mare, che porta il sottotitolo esplicativo di Nuove rivelazioni su Goli Otok.

Aperto da una prefazione dello scrittore Predrag Matvejevic («Lo Scotti che conosco è sempre stato dalla parte delle vittime e dell’uomo»), che parla di un’opera «scritta col sangue e con le lacrime dei suoi protagonisti», il libro traccia infatti per la prima volta un bilancio definitivo delle vittime comuniste torturate, e a volte anche uccise, dai comunisti al potere. Compagni comunisti contro compagni comunisti, gli uni che accusavano gli altri, e gli uni e gli altri convinti di essere nel giusto; i carcerieri sicuri che i traditori erano i carcerati, i carcerati pronti a giurare che i veri traditori erano i carcerieri. Comunisti contro. Una storia tragica e angosciante.

Dai numeri ufficiali delle polizie e dei servizi segreti delle varie città jugoslave, racconta Scotti, si ricava il dato che a subire le terribili torture nell’isola di Goli Otok, e nelle altre carceri di quello che l’autore definisce come «l’arcipelago concentrazionario» del regime di Tito, furono 16.105 persone, 15.177 uomini e 928 donne, per la maggior parte comunisti filosovietici, tra i quali molti partigiani, ex combattenti, dirigenti del partito, e perfino protagonisti della rivoluzione d’ottobre in Unione Sovietica e fondatori del partito comunista jugoslavo. Erano soprattutto serbi, sloveni, montenegrini, croati, macedoni e albanesi, ma c’erano anche ungheresi, bulgari, slovacchi e italiani.

Secondo i dossier della polizia jugoslava, a esprimersi a favore delle due risoluzioni del Cominform a sostegno delle posizioni di Stalin, furono oltre 55.000 persone in Jugoslavia. Dal giugno 1948 al settembre 1952, dalle file del partito comunista jugoslavo furono espulsi per «cominformismo» 59.596 iscritti, mentre altri 31.142 vennero puniti con la cosiddetta «ammonizione». La punizione più severa, il carcere e le torture sull’isola calva di Goli Otok (così chiamata perché assolutamente brulla, una pietraia senza un albero e un filo d’ombra) e nelle altre prigioni, fu per 16.105 persone. Ma non solo: per ogni «cominformista» finito in carcere o nei campi di lavoro, si calcola che altre tre persone, per lo più familiari — racconta Scotti — ebbero a subire persecuzioni quali licenziamenti dal posto di lavoro, retrocessioni a lavori umilianti o sfratto dalle abitazioni.

E non tutti i carcerati tornarono a casa, molti segnati per sempre dagli stenti e da anni di inimmaginabili e ferocissime torture. Molti morirono a Goli Otok e nelle altre carceri del regime. Si calcola che i morti, a causa delle torture, furono 446. Di questi, racconta Scotti, cinque furono fucilati, gli altri stroncati dalle fatiche disumane, dalle torture, dalla lunga fame, da epidemie di tifo, dissenteria, epatite, distrofia e altre malattie. Parecchi anche i suicidi, da parte di coloro che non riuscivano più a resistere alle violenze e alle torture. E infine l’ultimo sfregio: Pavao Ravlic, uno dei superstiti, professore universitario, racconta che «gli uomini del regime violarono perfino i diritti delle famiglie dei morti, alle quali, già costrette a rinunciare ai resti mortali dei loro cari, fu negato anche semplicemente di conoscere il loro luogo di sepoltura».

Quattordici gli italiani che morirono a Goli Otok a causa delle torture subite. Giacomo Scotti ne ricorda i nomi: Mario Quarantotto, Francesco Godena, Domenico Buratto, Matteo Naddi-Nadovich, Romano Malusà, Libero Sponza, Pietro Renzi, Silvio Viscovich, Bruno Nacinovich, Egidio Nardini, Aldo Ogrizovich, Eugenio Diminich, Giulio Parenzan, Antonio Stamberga. Morirono per il loro ideale. Uccisi da uomini che avevano il loro stesso ideale, ma idee diverse sulla strada da fare per raggiungerlo. ★

Il caso di Goli Otok