Il clown

Intorno all’arte di un comico

Tra i molti sentiti omaggi alla figura di Paolo Villaggio spicca quello di Roberto Benigni che, unico fuori dal coro delle banalità e delle frasi fatte, utilizza per il comico genovese la parola clown. Lo definisce «il più grande clown della sua generazione, un clown grandissimo». E poi aggiunge: «I clowns sono come i grandi poeti, sono rarissimi». Eppure oggi i clowns non godono -come il circo- di una grande popolarità. Colpa dei tempi e delle mode, ma anche di alcuni pregiudizi e di molta ignoranza. Anche Benigni in fondo altro non è che un clown. Un grande clown. Come Totò e come Dario Fo.

Tutti quelli che hanno voluto ricordare Paolo Villaggio hanno usato delle belle parole di simpatia e di apprezzamento. Un attore di talento (Sergio Mattarella). Un talento comico straordinario (Paolo Gentiloni). Un genio (Fabio Fazio). Il re della risata (Ricky Tognazzi). L’uomo più divertente che abbia mai conosciuto (Carlo Vanzina). Sveltissimo di testa (Adriano Panatta). Parte della mia vita (Neri Parenti). Un cialtrone (Lino Banfi). Solo per fare qualche esempio.

Solo una persona, un artista anche lui, un attore straordinario anche lui (Roberto Benigni), ha fatto a meno di parole usurate e delle solite banali frasi fatte. Per usare invece un linguaggio diverso. E pronunciare, lui solo, una parola strana, forse anche un po’ desueta (clown), che a nessuno, in questa circostanza, è venuto in mente di usare. Nessuno, tranne lui, è stato capace di dire questa semplice, semplicissima, ma rivoluzionaria verità: Paolo Villaggio era un clown.

Benigni, che lo ha definito “spietato, rivoluzionario e liberatorio”, lo racconta così: “Villaggio è stato il più grande clown della sua generazione. Un clown grandissimo. I clowns sono come i grandi poeti, sono rarissimi”.

Verissimo. Anche perché clown non si diventa. Si nasce. Puoi imparare a fare l’attore, ma non puoi imparare a fare il clown se non nasci clown. Il clown non recita a fare il clown, non è un attore che interpreta la parte del clown. Clown o si è o non si è. Un attore cambia mille personaggi nella sua carriera. Un clown no. Un clown farà sempre e soltanto il clown.

Benigni lo sa perché anche Benigni è un clown. Un grande clown. Come lo sono Charlie Chaplin, Stanlio e Ollio, Totò, Dario Fo, Paolo Rossi. Non molti, appunto. Anzi, rarissimi. Se i circhi in Italia fossero stati e fossero importanti com’erano una volta (ma in Francia, Svizzera, Germania, per non andar lontano, lo sono ancora), non avrebbero avuto bisogno del cinema, del teatro e della tivù, e sarebbero stati applauditi sotto gli chapiteaux, come accade tuttora ai grandi clowns di circo rimasti in circolazione (non molti peraltro), come Fumagalli, Larible, Housh Ma Housch, Bello Nock, Jigalov, Torres.

La stessa parola clown è quasi scomparsa dal linguaggio dell’attualità. E’ una parola che puzza di vecchio, che sa di malinconico. Che ricorda tendoni strappati e sporchi di fango, nani maldestri, leoni spelacchiati, facce grottesche, trucchi esagerati, abiti stracciati, e poi urla e schiaffi, cadute e risate forzate. Tristezza, non gioia.

Troppa cattiva letteratura in passato, troppa ignoranza oggi. I clowns non interessano più quasi a nessuno. Reperti di un passato da buttare. Nessuno ricorda più nemmeno perché si chiamavano clowns. Qual era l’origine di questa parola. Se derivava dal tedesco o dall’islandese (klunni) o non piuttosto dallo scandinavo (klaun) o addirittura dal latino (colonus). Se voleva dire contadino oppure campagnolo. Comunque un tipo rozzo, che “si comporta in modo ridicolo, con assoluta mancanza di serietà, di dignità, di coerenza, e sul quale non si può fare alcun affidamento” (Enciclopedia Treccani).

Definendo Villaggio un clown, anzi “il più grande” dei clowns, Benigni ha fatto al papà di Fantozzi l’omaggio più bello, più sentito e più autentico. Al contempo ha riscattato e reso giustizia alla figura del clown, degno erede dei pagliacci, dei buffoni e dei giullari di un tempo.

Questo personaggio bizzarro, irriverente e surreale, che un po’ ci rappresenta tutti, nel bene e nel male. Proprio come Fantozzi. Perché i clowns “sono sempre esistiti ed esisteranno sempre, buoni o cattivi”, sostiene Tristan Rémy, uno dei massimi storici del circo (“I Clowns”, a cura di Renzo Renzi, Cappelli, Firenze, 1970). “Essi avranno, come li hanno avuti per il passato, nomi diversi. Ecco tutto. Ogni volta che è stato necessario, sono risorti dalle ceneri. Sono emersi dai ricordi. Il tempo, con la sua falce, non li ha mai sfiorati. Essi sono eterni, come l’erba dei sentieri, come i frutti selvatici e i fiori di montagna”.

La PAGELLA

Paolo Villaggio: voto 9
Roberto Benigni: voto 9
Tristan Rémy: voto 9
I Clowns: voto 10

Joseph "Joe" Grimaldi, il primo clown della storia (fonte:…

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