Il collezionista

Quello che colpisce non è solo il numero, piuttosto elevato, di libri che i carabinieri di Monza per ordine della Procura di Milano, hanno sequestrato all’ex senatore ed ex manager di Publitalia Marcello Dell’Utri: ventimila volumi. No, non è un errore di stampa. Ventimila, avete letto bene, ventimila libri. Tutti di grande rilevanza storica, datati tra il quindicesimo e il diciannovesimo secolo, del valore di alcuni milioni di euro.

No, quello che colpisce è che si tratta di libri rubati. O meglio, per usare le parole degli inquirenti, di «opere asportate, in epoca e con modalità ancora ignote, da biblioteche pubbliche ed ecclesiastiche sull’intero territorio nazionale». Per questo l’ex senatore, che attualmente sta scontando nel carcere di Parma una condanna a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa, è stato accusato di ricettazione ed esportazione illecita di opere d’arte.

I sequestri sono avvenuti a Milano, nel magazzino di un deposito Opencare, e nella biblioteca dell’elegante Fondazione Dell’Utri in via Senato (attualmente chiusa), che negli anni felici, nel suo vezzoso Teatrino di Verzura innalzato nel giardino interno, è stata il cuore di importanti eventi artistici e culturali, tra i quali vale la pena di ricordare un indimenticabile concerto di quello che fu, per una breve stagione, il citaredo di Papi Silvio Berlusconi, l’inarrivabile Mariano Apicella.

Del resto è notoria la passionaccia di Dell’Utri, settantaquattro anni, palermitano, collezionista vorace di libri, per i volumi antichi, rari e preziosi. La sua ultima impresa risale ad appena cinque anni fa, quando annunciò trionfante, e in pompa magna, di aver ritrovato in Svizzera, in circostanze rimaste misteriose, l’ultimo diario del Duce, il sesto, quello del 1942. Solo tre anni prima aveva sparso urbi et orbi la notizia di essersi accaparrato anche altri cinque diari, che proclamò «autentici», di Benito Mussolini. Peccato che a stretto giro di posta alcuni eminenti studiosi, tra cui Emilio Gentile, uno dei massimi storici internazionali del fascismo, li avessero bollati senza appello come falsi. Dei clamorosi falsi.

Ma colpisce ancora di più che l’ex sodale di Papi Silvio abbia impiegato un certo tempo della sua vita – e si presume non poco – nella titanica impresa di asportare da chiese e biblioteche del Belpaese non uno, non cento, non mille, ma la bellezza di ventimila (20.000, lo scrivo anche in cifre perché non ci siano equivoci) volumi. Ma come avrà fatto mai?

Per ora si possono fare soltanto congetture. La prima: che li abbia rubati di notte travestito da Diabolik. La seconda: che li abbia rubati di mattina con una maschera sul volto. La terza: che li abbia rubati di pomeriggio indossando la maschera di Papi Silvio Berlusconi. La quarta: che li abbia rubati sul far della sera indossando la maschera di Marcello Dell’Utri. La quinta: che li abbia rubati travestito da vecchia turista americana. La sesta: che li abbia rubati travestito da seminarista. La settima: che si tratti di furti su commissione fatti eseguire da specialisti. L’ottava: che abbia incaricato dell’impresa la banda della Magliana. La nona: che si sia avvalso dei servizi delle cosche di Enna e Caltanissetta. La decima: che abbia corrotto i funzionari delle biblioteche. L’undicesima: che abbia ricattato i parroci delle chiese. La dodicesima: che abbia convinto i sacrestani. La tredicesima: che non sia vero niente, e che sia solo un complotto dei soliti giudici comunisti.

Per essere equilibrato – e ovviamente garantista – personalmente propenderei per quest’ultima ipotesi. Almeno fino a prova contraria.

Marcello Dell'Utri (fonte commons.wikimedia.org).

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