Je suis Calderolì

Tutti no, ma molti sì. Moltissimi anzi. Molti hanno detto, scritto e gridato «Je suis Charlie» dopo la strage di Parigi nella redazione di Charlie Hebdo. Molti, anzi moltissimi, hanno difeso in tutto il mondo la libertà di satira contro ogni tentativo di censura. Nove anni fa accadeva il contrario: un uomo che aveva mostrato una maglietta con una vignetta satirica su Maometto veniva insultato, cacciato e messo all’indice.

Era il 15 febbraio del 2006 quando, nel corso di un’intervista al TG1 sul tema della libertà d’espressione in Europa in seguito alle proteste di parte del mondo islamico per la pubblicazione di alcune caricature di Maometto sul giornale danese Jyllands Postn, l’allora ministro delle riforme del governo italiano Roberto Calderoli, uno degli esponenti più pittoreschi del partito della Lega Nord, si aprì all’improvviso la camicia e mostrò alle telecamere, molto divertito, la maglietta che portava sotto.

Vi era riprodotta una delle dodici vignette incriminate del giornale danese, che il quotidiano France Soir aveva ripreso e pubblicato in prima pagina nell’edizione del primo febbraio. Nella vignetta, per la verità molto meno feroce di quelle di Charlie Hebdo, si vedeva Maometto in cielo sopra una nuvoletta in compagnia di altre tre celebri divinità: Budda, Jahvè (che sarebbe il Dio degli ebraici), e il ben noto Dio dei cristiani.

Proprio quest’ultimo lo rimproverava: «Non brontolare, Maometto, siamo stati messi in caricatura tutti quanti, qui». Non una gran battuta, a dire il vero. Neanche una grande invenzione. Nemmeno troppo satirica. E neanche tanto divertente. Da strappare un sorrisino, al massimo, niente più. Comunque, il titolo a tutta pagina diceva: «Sì, abbiamo il diritto di prendere in giro Dio». Più sotto si leggeva: «La pubblicazione di dodici vignette sulla stampa danese ha provocato l’irritazione del mondo musulmano per il quale la rappresentazione di Allah e del suo profeta è proibita. Ma poiché nessun dogma religioso può essere imposto a una società laica e democratica, France Soir pubblica le caricature incriminate».

La maglietta mostrata in tivù dal vivace Calderoli scatenò reazioni durissime in tutto il mondo. Il 17 febbraio ci fu una violenta protesta davanti al consolato italiano di Bengasi, in Libia, la polizia sparò sulla folla e uccise undici manifestanti. Ci furono anche tensioni diplomatiche tra il governo italiano e lo Stato libico. Il consolato italiano di Bengasi venne chiuso e non fu mai più riaperto.

Il 19 febbraio il vivace Calderoli fu costretto a dimettersi da ministro dietro esplicita richiesta non solo di tutta l’opposizione ma anche dell’intero governo di cui egli stesso faceva parte. Una cosa mai vista. E non bastasse ci si era messo pure il capo dello Stato. Carlo Azeglio Ciampi aveva invocato «comportamenti responsabili» per chi aveva responsabilità di governo.

La morale di questa storiella è che a quel tempo il vivace Calderoli – a torto o a ragione, fate voi – fu insultato, cacciato e vilipeso. Per lo stesso motivo, cioè per le stesse vignette, Charlie Hebdo è stato preso a modello della libertà di satira e di espressione.

Chi ha ragione? Fate voi, come sempre. Ma almeno, non dico di chiedere scusa, però restituiamo al vivace Calderoli la dignità perduta. Diciamogli che abbiamo sbagliato a dire che era sbagliato mostrare quelle vignette. Senza pregiudizi, e nonostante tutto, confessiamogli che in fondo aveva ragione. Che si può scherzare su ogni dio.

Oui. Je suis Calderolì.★

France Soir, 1 febbraio 2009.

Je suis Calderolì