La leggenda di Moira

La regina del circo italiano scomparsa a Brescia

Moira Orfei, che avrebbe compiuto ottantaquattro anni il ventuno dicembre, ha continuato ad andare in pista fino all’ultimo spettacolo. Entrava a bordo di un’automobilina e si intratteneva con il pubblico. Nel corso della sua carriera è stata addestratrice di colombe e di elefanti, cavallerizza, trapezista e acrobata. Era sposata al domatore Walter Nones e aveva due figli e tre nipoti, anche loro tutti artisti di circo. Negli ultimi tempi faticava a riconoscere le persone. Solo quattro giorni fa l’ultima sua denuncia contro i finti Orfei.

BRESCIA – Com’era nata per caso in Friuli, a Codroipo, dov’era attendato il circo di papà, così per caso si è spenta a Brescia, l’ultima domenica di spettacoli del suo circo, il 15 dicembre 2015. Sarebbe scesa in pista anche questo pomeriggio, due volte, come faceva ogni giorno che c’era spettacolo, Moira Orfei nata Miranda, la regina indiscussa del circo italiano, moglie del domatore Walter Nones. Avrebbe compiuto ottantaquattro anni il ventuno dicembre.

Era da tempo ormai che in pista, per via dell’età, non faceva più danzare i suoi elefanti e le sue colombe, le sue specialità (ma in gioventù era stata anche cavallerizza, trapezista, acrobata, oltre che attrice di cinema). Però non rinunciava a scendere sotto i riflettori. Era stata da sempre la sua vita e non poteva rinunciarci. «E poi il pubblico mi vuole vedere, il pubblico mi vuole bene, e se non mi vede, se non sa che ci sono, non crede che questo sia davvero il mio circo, l’unico, l’inimitabile, l’originale. Purtroppo ci sono in giro tanti, troppi falsi circhi Orfei che rovinano la piazza».

Allora si preparava ogni giorno, con molta cura, come sempre, nella sua casa-roulotte lunga dodici metri, tappezzata di marmi rosa, di locandine e di trofei, dalla quale non si era mai voluta separare. Voleva stare sempre col circo, viaggiare col circo, non concepiva altra vita, per questo aveva venduto anche la villa che aveva acquistato, molti anni fa, a San Donà di Piave, dove c’erano i suoi quartieri d’inverno. «Cosa me ne faccio – rideva con il suo modo di fare spontaneo e contagioso – tanto non ci vado mai!».

Il suo trucco richiedeva molto tempo. Due ore soltanto per pettinare e arrotolare la leggendaria  cofana di capelli che aveva in testa, chiome lunghe ormai due metri e mezzo che erano il suo vanto e il suo orgoglio. «È da quando sono ragazzina che non li ho più tagliati – spiegava – una tradizione di famiglia».

Era sempre pronta con largo anticipo quando c’era lo spettacolo. Fremente come una puledra da corsa, come quando doveva andare in scena davvero per un numero difficile. E, impaziente, spiava da dietro il sipario per vedere quanta gente c’era. Se lo chapiteau era pieno, come spesso accadeva, sorrideva. Prendeva sottobraccio Giorgio Vidali, il suo fido Monsieur Loyal che per lei aveva storpiato la celebre canzone di Dean Martin  That’s amore in  That’s Moira, saliva su una vetturetta rossa, e a bordo di quella faceva un paio di volte il giro della pista, in piedi dentro la vetturetta, salutando il pubblico che l’acclamava.

Poi Giorgio le passava il microfono e lei, sempre sorridente, parlava. Le piaceva molto quel contatto speciale con il suo pubblico. Poche parole, per carità, ma profonde, sentite, per dire della bellezza e della magia del circo. Uno spettacolo sempre uguale ma sempre diverso. Diverso da tutti gli altri. E per questo unico. Inimitabile. «Il successo del mio circo – spiegava – sta nel fatto che non si tratta del solito spettacolo circense, bensì di un vero e proprio show che coniuga circo, teatro, danza e musical. Il tutto contornato, attraverso un’attenta regia, da musiche dal vivo, costumi sfavillanti, scenografie e luci».

Amava la vita, Moira. E amava la notte. Andava a dormire tardissimo, come facevano gli artisti di un tempo, e si svegliava, logicamente, tardissimo. A Montecarlo, dove andava ogni anno, fino a quando era in salute, per il festival del circo, amava andare a cena dopo lo spettacolo al Café de Paris, sulla piazza del Casinò. Erano tavolate lunghissime e allegre, cene interminabili piene di storie, di scherzi, di aneddoti e ricordi, con gli artisti, i familiari, e tanti amici gay («Li adoro, hanno qualcosa di speciale»), che ne avevano fatto un’icona. Il figlio Stefano aveva il suo bel daffare per convincerla ad andare a letto, nella sua stanza al Fairmont, nel cuore della notte.

Negli ultimi tempi le sue condizioni di salute, già minate da un ictus che peraltro aveva brillantemente superato una decina di anni fa, si erano aggravate. Faticava a riconoscere le persone e a ricordare le cose. Il suo umore invece non ne aveva risentito. Era sorridente, allegra, giocosa. E battagliera come sempre. L’ultimo suo atto è datato 11 novembre, quattro giorni prima di morire: un documento, firmato insieme al marito, in cui, in relazione ad un’inchiesta della magistratura sull’immigrazione clandestina che vedeva coinvolti i titolari di alcuni circhi, prendeva le distanze da quei complessi «che utilizzano il nome Orfei», ma che «non sono conosciuti dalla famiglia dei signori Moira Orfei e Walter Nones».

Una bella famiglia, quella di Moira, alla quale lei era molto legata: dal marito, il domatore e direttore del circo, Walter Nones, ai figli Stefano (domatore di belve feroci come il padre e addestratore di cavalli ed elefanti), e Lara, cavallerizza e illusionista, fino ai nipotini Moira Jr. somigliantissima alla nonna (acrobazia e hula-hoop) e Walter Jr. (acrobata), e al piccolo Manfredi, figlio di Stefano e della soubrette Brigitta Boccoli, già alle prese con gli elefanti.

Per decisione della famiglia, e come vuole l’usanza della gente del viaggio, il circo non ha sospeso gli spettacoli. Per la prima volta da più di mezzo secolo il circo di Moira ha acceso le luci senza la sua regina. Ma continuerà a portare avanti il suo nome. E la sua leggenda.

Una giovane Moira Orfei con l'autore (collezione privata).

La leggenda di Moira