La Madonna del latte
di Boccafossa

Storia e misteri di una millenaria statuina

È salita agli onori della cronaca del Veneto orientale grazie al racconto della giornalista e scrittrice Giuseppina Piovesana, premiato qualche tempo fa al concorso letterario  Per fiumi e bonifiche del mondo, nella terza edizione di  Fiume festival di San Donà di Piave. È la Madonna del latte di Boccafossa, una millenaria statuina alta mezzo metro e spessa una trentina di centimetri custodita in una nicchia di pietra e legno nella chiesetta di Sant’Anna, a Boccafossa, fra Torre di Mosto (il paese con meno opere d’arte, e quelle poche esistenti mai valorizzate, di tutta la provincia veneziana) e Caorle, proprio davanti all’argine del fiume Livenza. Opera pregiatissima in pietra d’Istria, databile all’incirca poco prima del Millecento.

TORRE DI MOSTO – Giuseppina, l’autrice del racconto intitolato appunto  La madonna del latte, ci tiene a precisare che il suo è un testo di fantasia, che dalla statuina ha solo preso lo spunto. Eppure riporta in vita con brivido deciso l’epopea della bonifica e le tensioni, tra il sacro e il superstizioso, di una religiosità pregnante e nervosa, che pulsa vivace tra malaria, fatiche e povertà.

Ma andiamo con ordine: di stampo più longobardo che veneziano orientaleggiante (ci perdonino gli studiosi che la pensano diversamente), la Madonnina di Boccafossa stava a corredo della chiesa di San Lorenzo, già appartenente al complesso del convento dei Canonici di San Salvatore di Venezia, fondato agli inizi del Millecento e che, (come scrive lo storico torresano Dino Cagnazzi) dopo numerose vicissitudini, viene abbandonato nella seconda metà del Cinquecento per essere affidato ai parroci di Torre di Mosto, che lo riducono a casa colonica. Rimane la chiesetta di San Lorenzo, che però va in rovina, viene chiusa al culto nel 1821 e poi crolla. Nei primi anni del Novecento l’area, seicento ettari, passa in proprietà dei veronesi Mazzotto, che costruiscono l’attuale casa padronale e le relative case coloniche. E anche una nuova chiesetta, quella attuale, intitolata a Sant’Anna, abbellita anche dalle sculture di Servilio Rizzato (1884-1939), artista padovano a cui il Museo Civico al Santo dedicò (1989-90) una esaustiva retrospettiva.

E la statuina? Fu rinvenuta, stando a memorie locali, alla fine degli anni Venti, sotto le pietre dell’antica chiesa di San Lorenzo, usata come cava per trarne materiali per edificare le nuove case coloniche. Nel crollo della vecchia chiesetta la testa del Bambino si era staccata e, secondo le testimonianze del tempo, venne recuperata tra le macerie e in seguito riattaccata come si vede ora.

Questa la versione più «storicamente verosimile», anche secondo lo studio di Maria Cristina Ferraro, che nel 2002 ne trattò dettagliatamente nella sua testi di Laurea in Lettere e Filosofia.

Giuseppina Piovesana invece, per il suo evocativo e magico racconto intessuto di profonda religiosità contadina, raccoglie e sviluppa una diffusa leggenda orale, forse suggeritale da Adriano Caminotto, lo storico custode e animatore del locale Museo della Civiltà contadina (purtroppo ora chiuso): la statuina della Madonna del Latte sarebbe stata individuata da un traino di buoi, otto per la precisione, mentre aravano la terra strappata alla palude per piantare tabacco. Bloccatisi di colpo, le bestie avevano indotto i contadini a chiamare il parroco, per  desfantare, cioè sciogliere quella specie di bizzarro incantesimo: nemmeno le più violente frustate difatti inducevano i buoi a procedere. E, facendo scavare a un bambino proprio sotto agli zoccoli del primo bovino, tra lo stupore dei fittavoli era spuntata appunto la piccola scultura ad altorilievo della Madonna.

Nell’uno o nell’altro caso, comunque, la fuga dei canonici, o dei prelati, a cui era affidata l’antica chiesa unica rimasta del complesso conventuale, doveva essere stata repentina (causa l’invasione della soldataglia napoleonica?), se erano stati costretti ad abbandonare, forse seppellire in fretta, quella scultura, senza poterla salvare portandola con sé. Troppo bella e pregiata per essere lasciata alla mercé dei barbari anticlericali.

La devozione popolare poi si fissò, su quel seno che la Madre porge al Figlio: e, riprendendo antichi miti pagani di fertilità agreste, fece diventare quella scultura un talismano per le puerpere. Le madri di Boccafossa che perdevano il latte infatti, come voto, portavano in chiesa l’olio per tenere accesa la fiamma della lampada della Madonnina. Che le ricompensava con la grazia di riavere il latte per continuare a nutrire i figlioletti. Devozione andata in disuso, e che negli ultimi anni è rimasta solo nella memoria di più anziani e dei devoti che custodiscono la chiesa.

La statuina in trono della Madonna del Latte col Bambino in grembo, gelosamente conservata nella chiesetta di Boccafossa (quella vicino all’argine, con infisso in alto sopra il portale esterno il bassorilievo rotondo col volto del Salvatore), è visibile ogni domenica mattina, prima, durante e dopo la messa delle nove. Se ne sta lì, assisa sulla colonna di sinistra, decorata da una conchiglia e da un siparietto di broccato rosso (aggiunti in seguito) che le fanno da sfondo. Protetta da una teca in vetro chiusa da una chiave che non si trova. Continua la sua opera a protezione delle giovani mamme e, con il suo sorriso delicato antico di quasi mille anni, sembra non curarsi della giusta attenzione che ancora non gli viene concessa.

La Madonna del latte di Boccafossa (foto di Paolo Fiorindo).

La Madonna del latte di Boccafossa