La mossa
della sfinge
La battaglia della Biennale
Manovre sotterranee e colpi bassi nella disputa per il rinnovo del presidente della Biennale di Venezia. L’ingegnere ottantenne Paolo Baratta, che ha già fatto quattro mandati per la bellezza di 17 anni complessivi negli ultimi 22, non ha alcuna intenzione di andarsene in pensione. E’ pronto a rifiutare la proroga di un anno propostagli dal sindaco di Venezia e dal governatore del Veneto per puntare a un altro mandato quadriennale con la complicità del suo amico Dario Franceschini tornato al ministero della cultura. Ma serve un’altra modifica alla legge. Meglio sarebbe cambiare cavallo, e mandare casomai Baratta alla sfida impossibile contro Brugnaro alle elezioni dell’anno prossimo per il nuovo sindaco della Serenissima.
E’ stata abile, non nobile, la mossa della sfinge. Rifiutando la proroga di un anno alla presidenza della Biennale di Venezia, propostagli da quegli ingenuotti di sindaco veneziano e governatore veneto, l’ottantenne ingegnere milanese Paolo Baratta, che chiamano la sfinge per la sua espressività, non ha compiuto il bel gesto che molti si aspettavano. Al contrario. Ha fatto il furbacchione. Se avesse infatti accettato la proroga annuale, si sarebbe automaticamente chiuso le porte a un eventuale rinnovo quadriennale su cui invece ardentemente spera (e trama), a dispetto di un’età ormai piuttosto importante.
Alla domanda della cronista infatti (l’ottima Alda Vanzan del Gazzettino), la sfinge non dice, come sarebbe stato logico, ringrazio, torno a casa e finalmente vado in pensione. Ma non dice nemmeno spero in un rinnovo. L’ex pluriministro del centrosinistra (partecipazioni statali, commercio estero, ambiente, lavori pubblici), non è abituato a chiedere, almeno alla luce del sole. Democristianamente (grande scuola, quella), fa il pesce in barile: “Questa è una di quelle domande di fronte alle quali non posso che invocare il diritto di non rispondere”. Pescione, altro che.
In realtà la sfinge, il cui mandato scade a gennaio, non potrebbe ottenere il rinnovo, che sarebbe nientemeno che il quinto (!) avendone incredibilmente fatti già quattro (!). Un regno più che una presidenza. Imbarazzante, no? Ma come ha fatto? Grazie a un piccolissimo ma prezioso codicillo inserito da un precedente governo (ministro Franceschini) nel 2015, in un decreto di riforma degli enti locali, che modificava il decreto legge del gennaio 1988 che regola la vita della Biennale e prevedeva per la presidenza non più di un solo rinnovo consecutivo. E’ bastato sostituire le parole “una volta sola” con “non più di due volte”. Ora basterà scrivere “non più di tre volte” e il gioco è fatto. La sfinge conta molto –di nuovo- sul suo amico Dario Franceschini per questo ennesimo piacere. Ma il neoministro della cultura non sembra, almeno per il momento, di questo avviso. Farebbe bene infatti a cambiare, finalmente.
Non certo perché la sfinge abbia fatto male il suo lavoro alla Biennale. Anzi. Lo ha fatto bene (benissimo per alcuni, benino per altri), raccogliendo consensi, e non solo nazionali, da destra come da sinistra. Quello che è strano, stranissimo, in questa vicenda, è che chi loda (giustamente) Baratta, non sia in grado di immaginare che qualcun altro al suo posto avrebbe potuto fare bene ugualmente, e magari anche molto meglio. Ancora più strano è che si pensi che Baratta sia insostituibile (!?) e che non vi sia nessun altro al mondo che possa prendere il suo posto. Che si debba insomma tenere Baratta alla Biennale tutta la vita. Incredibile. E, come detto, inspiegabile.
Tra le cose inspiegabili, c’è anche da chiedersi come abbia fatto Baratta a restare presidente di un ente di tale rilievo per ben 17 anni negli ultimi 22. Non ci credete? Leggete qua. Primo mandato: 1998, 1999, 2000, 2001, 2002. Secondo mandato: 2008, 2009, 20010, 2011. Terzo mandato: 2012, 2013, 2014, 2015. Quarto mandato: 2016, 2017, 2018, 2019. Ottenesse anche il quinto mandato, arriverebbe alla bella età di ottantaquattro primavere.
Ora, può ben darsi che la sfinge non sia attratta dalla prospettiva (peraltro non trascurabile, per vari motivi), dei giardinetti sotto casa. Se proprio non ce la fa a stare fermo, troviamogli un’alternativa, proponiamogli un baratto. Ecco, un baratto, sì. Un baratto per Baratta: Ca’ Farsetti al posto di Ca’ Giustinian. Sempre di Ca’ sulla laguna si tratta, in fondo. E un nome noto e stimato come il suo sarebbe (forse) spendibile nella corsa alle elezioni comunali del prossimo anno, forse l’unico in grado –almeno allo stato- di tentare di contrastare l’annunciata riconferma, e senza molta fatica, del sindaco uscente Gigio Brugnaro, favoritissimo dalla mancanza di avversari all’altezza.
Quanto alla Biennale, non sarebbe poi così difficile trovare un’altra figura di spicco. Basta che Franceschini si guardi un po’ intorno. E non servirebbe nemmeno guardare troppo lontano.