La Spoon River
di Augusto Daolio

Sulla tomba del leader dei Nomadi a vent’anni dalla scomparsa

Il fondatore e cantante della band italiana più longeva e più amata si spegneva il 7 ottobre del 1992 sconfitto da un tumore al cervello. Da allora la sua tomba a Novellara, il suo paese natale, è meta di un pellegrinaggio continuo di fan e amici di tutta Italia, che gli portano lettere, messaggi, fotografie e regali di ogni tipo. Un culto paragonabile solo a quelli di Jim Morrison, Elvis Presley e Jimi Hendrix.

NOVELLARA (Reggio Emilia) – Il fiume scorre lento portando suoni e parole, e la pianura è piatta che pare un biliardo. I paesi sono antichi e quieti, poche auto, le piazze con i ciottoli e i portici, i vecchi ai tavolini dei caffè con le carte in mano. C’è profumo di bucato appena steso e di ragù sul fuoco. Il profumo di un’Italia semplice. Un’Italia di provincia semplice e buona. Un’Italia che non c’è quasi più.

Augusto abita alla fine di un lungo viale alberato. Non c’è bisogno di chiedere dove. La sua tomba la vedi subito, per terra, là a sinistra, appena entri al cimitero. Più che una tomba è una cameretta. La cameretta di un ragazzo degli anni sessanta, un ragazzo del beat. Con tutte le sue cose care. Il suo mondo. Tutte le cose, e le parole, che gli hanno portato e continuano a portargli i suoi amici. Tanti. Di tante età e di tanti paesi.

Sono passati vent’anni dalla scomparsa di Augusto Daolio. Per questo sono venuto qui. Per la sua Spoon River. Il fondatore, cantante e leader dei Nomadi, la band italiana più amata, che il prossimo anno compie cinquant’anni di carriera, come i Beatles (ma della formazione originale è rimasto solo il tastierista Beppe Carletti), se ne andò il 7 ottobre del 1992, colpito da un tumore al cervello. Aveva solo 45 anni.

I Nomadi sono ancora vivi e in ottima salute. Hanno un nuovo cantante (Cristiano Turato) che ha preso il posto di Danilo Sacco che negli ultimi vent’anni ha degnamente sostituito Augusto, e hanno appena sfornato un nuovo disco, Terzo tempo, quasi a significare un’altra e diversa fase della vita della band.

Anche di Augusto continuano a uscire dischi che raccolgono le sue interpretazioni migliori, come È stato bellissimo e Canzoni nel vento, un prezioso live 1987-1989. Ma soprattutto Augusto continua ad essere ricordato dai suoi fan. Ma lui non amava questa parola. Preferiva dire amici. E anche compagni. Perché era semplicemente, sanamente, di sinistra. Credente e di sinistra.

La sua Spoon River, sulla sua tomba così affollata di ricordi, è un caso raro. Unico in Italia. Come quella di Jim Morrison al Père Lachaise di Parigi, come quella di Elvis Presley a Graceland, come quella di Jimi Hendrix al Greenwood Memorial Park di Renton (Seattle). Ma Augusto non era bello come Elvis né talentuoso come Hendrix, e non aveva nemmeno il fascino tenebroso del cantante dei Doors.

Augusto non era bello. Non secondo i canoni classici, almeno. Neanche elegante. E quelli della tivù dicevano anche che portava sfiga perché si vestiva sempre di nero. Per questo non volevano mai i Nomadi nelle trasmissioni. In realtà i Nomadi facevano breccia (e continuano a farla) nel cuore e nell’anima della gente. E tanta gente continua ad andare a trovare Augusto e a portargli dei bigliettini sulla tomba proprio come facevano quando lanciavano dei bigliettini sul palco durante i concerti che Augusto leggeva tra una canzone e l’altra. Gente che aveva capito che Augusto, che era anche poeta e pittore, era autentico. Semplice e vero. Che non era manipolabile, che non era costruito nei laboratori delle case discografiche, che non faceva la star, che diceva quello che pensava. Che aveva tempo per starti ad ascoltare. Che era uno contro. Uno di cui ci si poteva fidare. Sempre.

Sono temi che ricorrono anche nella sua Spoon River. La sua tomba, un’onda di pietra scolpita all’ombra di un cipresso, segnata da una stele con due mani che si intrecciano, e una delle due mani spunta dalla terra, come in uno dei suoi disegni, è coperta di conchiglie, di quelle che si sente il mare se le accosti all’orecchio, e guardata da due aironi di metallo. Animali che amava, proteggeva e cantava (Gli aironi neri).

Sopra la tomba, da un ramo, penzola una maglietta bianca con la scritta Ma noi no, dal titolo di un’altra canzone. Il cipresso sembra un albero di Natale. Ci hanno appeso di tutto. Magliette, sciarpe, cappellini, bandiere (anche una del Che e una della Sardegna), pupazzetti, giocattoli, braccialetti, accendini, fotografie, foglietti, disegni, poesie. E a terra, tutto intorno, piantine, sculture, targhe, angioletti, automobiline, ritratti, una chitarra di ceramica, dei nani da giardino e una bottiglia di vino rosso.

Una scritta dice: «Noi aironi in cerca di libertà, lungo questo fiume Po, cavalcando da Dolo siamo arrivati a te nella speranza che un giorno tutta la gente del mondo sia gente come noi. Sempre solo Nomadi». È firmata da Gianni, Mirca, Carlo, Loriana, Bruno, Antonella, Marina, Antonio. Ci sono anche delle scritte fatte col pennarello sui ciottoli attorno alla tomba. «Il tempo distrugge ogni cosa, solo Augusto per noi rimane immortale», scrivono Marzia e Katiuscia da Terni.

Poi gli amici di Sossano «con nostalgia e rimpianto», i fan club di Valpolicella, Savona, Piansano, Lomellina, le «famiglie nomadi» di Murisengo e Valcerrina. »Anche se ti si è rotto lo specchio, rifletti lo stesso». «Grazie alle tue parole la vita ogni giorno ci sorride”, scrivono Nadia, Oscar, Giuseppe e Luigi di Riese Pio X. «Fra troppa polvere nel vento luccica l’oro del tuo sentimento», dicono Pier, Vittorio, Beppe, Angelo e Leo da Parma.

«La vita è un attimo, il resto è eternità», scrivono gli amici di Pescara. Mentre quelli di Barletta lo ringraziano «per averci trasmesso la vera essenza della vita cantando con la tua immensa voce e soprattutto con il tuo splendido cuore». Beppe, Davide, Michela e Chiara, da Dronero, ricordano anche «chi sogna ancora la rivoluzione con la musica», mentre Pierino dice: «Ci manca il tuo sorriso capitano, ma con il nostro ricordo e le vostre canzoni andremo avanti sempre». E poi Brenda, Mary e Rocco di Monza, quelli di Ossola e gli amici della Brianza: «Sarà come il tempo vuole, ma il suono delle idee continua».

Poi Assunta e Piero, con Guerrino e Stefania: «Grazie alle emozioni, a tutte le emozioni». E un cartoncino stinto, scritto con il pennarello blu, la firma cancellata dalla pioggia: «Da quando non ci sei più il mio cuore batte forte, forte, forte…». Gli amici di Grottaminarda (Avellino) ricordano Augusto come «grande uomo, grande umanità, immenso sapere, infinita umiltà», e gli dicono: »La tua scuola è stata una gran cosa per noi, ci hai insegnato ad amare». «La felicità va e viene, ma l’amicizia dura per sempre», è scritto su un altro cartello. E su un altro ancora: «Noi siamo ancora qui a cantare le canzoni che solo tu sapevi intonare». «Passa il tempo ma il ricordo non cambia». «Per sempre Augusto».

Alla base del tronco del cipresso, c’è la foto incorniciata di una giovane ragazza bruna che sorride. Silvia Ancellotti, 1-10-1983, 30-1-2010. C’è scritto: «Vogliamo però ricordarti com’eri, pensare che ancora vivi, vogliamo pensare che ancora ci ascolti, e che come allora sorridi». Sono i versi di un altro brano dei Nomadi, Canzone per un’amica, scritta da Francesco Guccini. Poco lontano, un’altra foto. La faccia simpatica di un giovane uomo, castano, barba e capelli corti. Non c’è il nome. Sulla foto, una scritta a pennarello: «Papà, ora sei un nomade». ★

La Spoon River di Augusto Daolio