La vita l’é bela
il cinecabaret
di Pozzetto
Al Teatro Nazionale di Milano
Torna in scena da solo a settantacinque anni Renato Pozzetto, con uno spettacolo dal titolo «Siccome l’altro é impegnato» (l’altro sarebbe Cochi), che mescola cinema e cabaret. Spezzoni di alcuni suoi celebri film intervallati a monologhi surreali e a quelle canzoncine folli e divertenti che ci hanno accompagnato per mezzo secolo. Lo accompagna una band ruspante di cinque elementi. E nessun bisogno di innovare un repertorio fortunato. Il comico, sempre uguale a sé stesso, accolto con grande calore.
MILANO – Per fortuna che non ha niente di nuovo da proporre. Niente da innovare. Niente da cambiare. Che non ha il bisogno di inventarsi più alcunché. Né di storpiare quello che gli era venuto bene un tempo. Per fortuna che c’è. E basta. Con qualche ruga in più e con qualche chilo in più. Ma sempre splendidamente uguale a sé stesso. E per fortuna che continua a riproporre pari pari, ogni tanto, così per non stare a casa ad annoiarsi, pezzi più o meno celebri, più o meno felici, del suo vastissimo repertorio. In fondo, basta avere l’ombrela, portare i capelli alla bella marinara, e il gioco è fatto.
Ha settanta cinque anni, normalmente portati come un uomo della sua età, Renato Pozzetto, e torna in teatro, al Nazionale di Milano, con uno spettacolo dal titolo “Siccome l’altro è impegnato”, che fa il verso al fatto che in scena va da solo, perché Cochi, il suo antico compagno di viaggi (Aurelio Ponzoni, per l’anagrafe), è impegnato di questi tempi in altre avventure. Trattasi di uno spettacolo di cinecabaret, spiega, che racconta, per pillole s’intende, un percorso artistico di originalità assoluta che attraversa dieci anni di cabaret, quindici di teatro e trenta di cinema.
Proprio il cinema in teatro è la novità. Su un grande schermo scorrono abbondanti spezzoni, tratti dai più divertenti di due soli dei suoi innumerevoli film, due pellicole di culto della prima ora come “Il ragazzo di campagna” e “E’ arrivato mio fratello”. Parecchio tempo è passato, si vede da com’era magro Pozzetto, e da come il pubblico, peraltro non più giovanissimo, che riempie la sala, ride di gusto a quelle battute, come se le sentisse per la prima volta.
Anche Pozzetto, maglioncino da casa, nessun effetto speciale, nessuna concessione allo spettacolo, si riguarda, seduto su una sedia di legno bianco. Non commenta quelle immagini. Quando finiscono, si alza, e attacca, accompagnato da un’orchestrina piuttosto ruspante di cinque elementi, a canticchiare le sue famose canzoncine, da “La vita l’è bela” a “Ma come porti i capelli bella bionda”, fino al trionfo finale de “L’oselin de la comare”, intervallandole ogni tanto da alcuni raccontini surreali in perfetto stile cabaret, con qualche punzecchiatura alle mode e ai personaggi dei tempi passati e presenti.
Altro non c’è. E altro non doveva esserci. Siccome non c’è Cochi, non c’è neanche la gallina, e non c’è neanche bravo sette più. Ma Pozzetto c’è, per fortuna, e per una sera regala buona parte del meglio di sé. Apre la scatola della memoria e fa tornare indietro nel tempo. Senza alcuna nostalgia e col divertimento di sempre. La gente lo capisce, si sente che gli vuole bene, e lo applaude così tanto che non lo vorrebbe più far andare via. Finché non lo fanno sbottare (sempre simpaticamente): “Ma non avete una casa?”. Finisce in gloria con quell’oselin de la comare “che proprio lì volea volare”.
Voto: 8