L’ansia catartica
del millenarismo
apocalittico
Profetismo, Apocalisse e Giudizio Universale nell’immaginario medioevale e contemporaneo
Fin dal Medioevo la cultura occidentale è pervasa dalla fregola sfrenata della fine del mondo. Che sia paura vera, presunta, o istillata per bassissimi scopi commerciali, nonostante il passare dei secoli il fascino perverso del Giudizio Finale rimane costante. Forse perché più di cultura si tratta di psicologia, e non sono in ballo i secoli, ma le giornate.
L’immaginario è uno dei campi in cui meglio si esprimono le fantasticherie di un’epoca storica, di una società, comprendendo in questo processo tutti i ceti sociali. Diversi luoghi, nella società medioevale, divennero i centri, i focolai, i diffusori di questi differenti immaginari.
Il castello fu un centro di diffusione dell’immaginario colto attraverso le traduzioni di opere latine. In esso le nutrici raccontavano ai giovani e alle fanciulle nobili le storie, le fiabe, i miti e le leggende provenienti dal loro ambiente contadino d’origine, veicoli dell’immaginario medioevale. Nelle corti dei re e dei principi, menestrelli, giullari, trovatori e trovieri, cantastorie, ma anche chierici che vivevano del mecenatismo dei principi, facevano circolare l’immaginario. I monasteri con i loro monaci viaggiatori, i pellegrini e gli erranti di passaggio, i frati laici e i domestici contadini furono, sin dall’alto medio evo, focolai di elaborazione e di diffusione di un immaginario ibrido.
Il monastero, a partire dal sec. XII, venne soppiantato dalla città come centro di diffusione di molteplici immaginari e in particolare dell’immaginario popolare, introdotto nelle taverne e sulla pubblica piazza dai contadini.
Infine il sermone, uno dei mezzi mass-mediatici per eccellenza del Medioevo, fu un grande diffusore di immaginario: i predicatori utilizzavano, in particolare, l’immaginario dei quattro elementi, del cosmo e degli astri, dei cicli naturali, delle piante, degli animali e soprattutto del corpo umano.
L’immaginario medioevale è erede del mondo fantastico tipico di quei retaggi su cui si fonda la cultura cristiana del Medioevo. In primo luogo quello fondamentale della Bibbia. L’immaginario del Paradiso, del Diluvio e dell’Arca di Noè, della Torre di Babele, di Nabucodonosor, dei Re Magi, dell’Apocalisse, la Gerusalemme Celeste, l’Anticristo — per citare solo alcuni temi che maggiormente hanno acceso la fantasia degli autori e degli artisti medioevali — ha costituito attraverso le opere d’arte e i sermoni un elemento essenziale dell’immaginario degli uomini e delle donne medioevali.
A proposito dell’immaginario collettivo è opportuno ricordare i grandi cicli affrescati di stupefacente bellezza riguardanti alcuni dei temi più sentiti dagli uomini del medioevo, cioè l’Apocalisse e il Giudizio Universale.
Ora che il mondo ha oltrepassato la soglia del II Millennio l’attuale stadio della civiltà pare aver cancellato dall’inconscio collettivo la paura della venuta dell’Anticristo e dei tempi di Armageddon, ma l’ha sostituita con altre paure, a cui in definitiva, è stato cambiato soltanto il nome. Ancora continua a risuonare l’usata litania del «a morbo, a fame, a bello libera nos Domine», anche se le nuove pestilenze, i disastri ecologici e bellici, gli spettri della miseria sono configurati in spazi che preferiamo allontanare dalla nostra riflessione.
Da sempre le culture della fine hanno ricordato che vi sarà un termine alla storia e, in particolare, il mito cristiano degli ultimi giorni in cui vi sarà battaglia in cielo e in terra fra i cittadini della «civitas Dei» e quelli della «civitas diaboli» ha percorso non solo il Medioevo, ma anche gran parte della storia moderna.
Riguardo il Giudizio Universale, le concezioni riguardanti il destino individuale degli esseri umani in seguito al giudizio di Dio presenta notevoli somiglianze tra ebrei, cristiani e musulmani. L’Antico Testamento offre scarni riferimenti all’oltretomba. Si dice che tutte le anime, dopo la morte, scendano nello Sheol, dove condividono un’esistenza di ombre. Lì soggiornano in modo più o meno piacevole, in conformità con l’esistenza passata e con la regolarità con cui i discendenti assolvono certi doveri rituali. In ogni caso, nel giorno del Giudizio gli eletti saliranno al cielo mentre i malvagi saranno annientati. Anche il Nuovo Testamento non è molto prodigo di particolari sull’Aldilà. Gesù Cristo accennò alle fiamme della Gehenna, alla separazione dei buoni dai cattivi, al pianto dei dannati e a generici benefici di coloro che hanno rispettato le «regole di beatitudine», ma niente di più.
Sarà l’Apocalisse di Giovanni (assieme a vari scritti apocrifi) a coprire questa lacuna mostrando il destino ultimo dell’umanità per mezzo di una serie di visioni sconvolgenti.
L’apocalittica giudaico-cristiana influì notevolmente sulla cultura musulmana. L’inferno islamico è simile a un animale mostruoso che nel giorno del Giudizio si avventerà sulla Terra e divorerà i peccatori. Nelle viscere della Gehenna i dannati saranno sottomessi a una schiera di Shayàtin e non avranno mai pace. Al contrario i fedeli saranno accolti in Paradiso, dove vivranno eternamente circondati da splendidi frutteti, fiumi di acqua incorruttibile, di latte, di vino delizioso, di miele. Si dice pure che gli eletti, rivestiti con abiti di finissima seta verde, potranno giacere con le bellissime Huri e assieme agli Angeli canteranno lodi a Dio.
Mentre la cultura islamica, al pari di quella ebraica, è sempre stata restia a raffigurare l’Aldilà non si può dire altrettanto dei cristiani. Non staremo qui a ripercorrere la storia dell’iconografia infernale in Occidente, ma è interessante vederne i momenti cruciali. A partire dal IX-X secolo si diffusero nei monasteri numerosi commentari dell’Apocalisse accompagnati da notevoli illustrazioni. Nel XIII secolo le scene del Giudizio finale fecero la loro apparizione nelle vetrate, nei portali e sulle pareti delle cattedrali romaniche.
È interessante osservare che le speculazioni sul Paradiso e sul modo per raggiungerlo si protrassero in ambito ebraico sino al XVIII secolo, influenzando anche la mistica cristiana. Presso i musulmani, più ligi ai dettami religiosi, la conquista del Paradiso è tuttora un’aspirazione comune non solo ai mistici, tanto che la guerra santa, concepita come una battaglia interiore all’essere umano, è stata esteriorizzata da talune frange integraliste facendo leva sulla promessa del Paradiso riservato ai martiri della fede.
Non dobbiamo dimenticare come oggi sia costante oggetto di studi, anche autorevoli, l’analisi sul profetismo degli ultimi giorni, ad iniziare, solo per citarne alcune, dagli studi sull’interpretazione nascoste presenti nella Bibbia e nella Kabbala nonché sulle profezie enunciate dai popoli maya e dai veggenti di ogni secolo.
Ritornando al Medioevo, occorre dire che la paura della fine dei tempi, come enunciata dalla celebre frase «mille e non più mille», fu a mala pena sentita. Il nostro pensare al contrario si deve ad un’analisi storiografica troppo indulgente verso scritti di fantasia, ritenuti tuttavia corrispondere a cronache reali.
È sopravvissuta una sola cronaca feudale che tratta della paura dell’Anno Mille come di un anno tragico: la Chronographia di Sigeberto di Gembloux: «Si videro in quei giorni molti prodigi, uno spaventoso terremoto, una cometa dalla coda folgorante; la luce vivida e intensa inondò fin l’interno delle case, e nel cielo che pareva fendersi tracciò l’immagine di un serpente». L’autore desunse la notizia del sisma dagli Annales Leodienses, ma non conosciamo le altre fonti. In ogni modo Sigeberto scriveva per sentito dire e non per esperienza personale dato che il suo testo apparve all’inizio del XII secolo. Sta di fatto che sulla sua parola venne a fondarsi la leggenda di cui si trovano le prime tracce nel XVI secolo. Gli Annali di Hirsau, compilati a quell’epoca, riprendono e coloriscono quanto scritto da Sigeberto: «Nell’anno mille dell’incarnazione violenti terremoti fecero tremare 1’Europa intera, distruggendo dappertutto edifici solidi e magnifici. Lo stesso anno apparve nel cielo un’orribile cometa. Molti al vederla credettero fosse l’annunzio dell’ultimo giorno…».
Venendo ad oggi e al grande tam-tam sulla profezia Maya che individua nel 21 dicembre 2012 il giorno dell’Apocalisse, trovando sostegno su quanto da essa asserito in diverse altre profezie (Bibbia, Nostradamus, ecc), occorre sottolineare la similitudine di questa interpretazione con l’atteggiamento assunto da Sigeberto. Se è pur vero che quest’ultimo scrisse a profezia mancata ignorando del tutto come fossero andate realmente le cose, lo stesso vale per i sostenitori della prossima Armageddon, i quali più per sentito dire che per reale conoscenza, hanno messo in piedi l’idea del più grande dei pericoli. L’idea e non la certezza, perché la profezia maya attesta solo la fine di un epoca e non la fine del mondo. Infatti, in base a quello che era il loro calendario, i Maya fanno iniziare dal 22 dicembre 2012 un nuovo ciclo, ciclo che tuttavia appare non del tutto rassicurante per la vita sulla terra in quanto ricco di disastri e di guerre.
Al di là degli interessi commerciali finalizzati a trarre profitto da questo immaginifico disastro, occorre chiedersi il motivo della grande attrazione che questo ipotizzato evento sta esercitando sulle menti: che esplosioni solari possano emettere radiazioni in grado di privare gli uomini dell’energia elettrica per una decina di anni (cosa d’altronde già avvenuta in passato senza alcun danno per l’umanità data l’allora assenza di centrali elettriche); che gli alieni possano finalmente farsi riconoscere in maniera eclatante, smentendo i governi che hanno voluto tenere l’umanità all’oscuro della loro esistenza; che un fantomatico pianeta di nome Nibiru possa scontrarsi o che terremoti spaventosi possano inabissare parti del globo ora popolate, eccetera, tutte queste cause e ancor più fanno assumere un atteggiamento contraddittorio nell’uomo. Se da un lato infatti — e non potrebbe essere diversamente — tutti temono un evento simile, il marcato senso di sfiducia con il quale ci si confronta con le tante situazioni negative che attanagliano l’umanità, induce i singoli a cercare, o meglio idealizzare, una via di fuga, una svolta che li assolva dall’impossibilità di dover affrontare i terribili problemi che inficiano la quotidiana esistenza.
Un’ansia, tuttavia, costretta a rimanere tale anche dopo il 21 dicembre 2012, nell’attesa che un nuovo evento profetico sulla fine del mondo faccia scaturire una grande onda — questa sì in grado di sommergere il mondo — di pubblicazioni, film e discussioni sulla quale l’immaginario dell’uomo dovrà ancora una volta confrontarsi con la propria realtà.