Le mani della mafia
sul turismo a Venezia
Un fenomeno sempre più allarmante
La commissione parlamentare antimafia in visita a Venezia legittima le preoccupazioni sul rischio di infiltrazioni della mafia e delle altre organizzazioni criminali nel territorio lagunare. L’allarme lanciato dal sociologo e scrittore Gianfranco Bettin, già assessore comunale. Il caso inquietante del terminal del Tronchetto, l’eredità della banda di Felice Maniero, e il ruolo oscuro di un boss di Cosa Nostra, Vito Galatolo, che lavorava per una società turistica veneziana, e che ha deciso di collaborare con gli inquirenti.
VENEZIA – La visita della commissione parlamentare antimafia a Venezia, lo scorso trenta marzo, ha rappresentato una forte legittimazione delle preoccupazioni sul rischio di infiltrazioni della mafia e delle altre grandi organizzazioni criminali nel nostro territorio.
Nel quadro di una perlustrazione della nostra provincia che, come il Veneto, registra da tempo l’insidiosa anche se mimetica presenza delle grandi organizzazioni criminali (soprattutto la camorra nel Veneto orientale e una strisciante Cosa Nostra nel veneziano), la commissione ha fatto il punto sulla realtà del Tronchetto, sia per i suoi storici connotati sia per le recenti connessioni emerse proprio con Cosa Nostra, confermando la grande preoccupazione per il suo eventuale inserimento a Venezia (comunque già documentato, ad esempio, negli appalti ai cantieri navali).
Non è la prima volta che l’antimafia si occupa del Tronchetto. Nel 2003, in particolare, sulla scorta delle indagini della Procura e dell’approfondito lavoro del Ros dei Carabinieri, si era occupata del nesso con la mala del Brenta. Non si capisce, infatti, cosa succede al Tronchetto se non si capisce cosa sia stata e come sia mutata, dopo gli arresti, il pentimento di Maniero e le frammentazioni e ristrutturazioni successive, questa entità criminale, niente affatto scomparsa, in particolare nel suo corpo centrale e più pericoloso, i cosiddetti mestrini.
Per capirlo, occorre fare un passo indietro. Attorno al Tronchetto e in generale alle attività turistiche – un’industria in continua crescita – si sono sempre sviluppate a Venezia attività irregolari, tra l’arte di arrangiarsi e il vero e proprio crimine. Al Tronchetto, ad esempio, molte persone con voglia di lavorare si sono improvvisate intromettitori, taxisti d’acqua, trasportatori, addetti al piccolo commercio, ambulanti, guide eccetera, trovando un modo onesto di sbarcare il lunario e a volte, per così dire, di rifarsi una vita.
Ma c’è anche chi ne ha fatto invece il cuore di un’impresa criminale a suo modo originale, sia occupando lo spazio con i metodi violenti e illegali mille volte documentati dalla Procura e dal Ros (o da sentenze come la n.129/2009 della Corte d’Assise, su questo punto non smentita dai gradi successivi) sia facendone la copertura, e l’ambito di riciclaggio, di attività criminali classiche: spaccio di droga, rapine, estorsioni e via malfacendo.
Nel 2003, l’interesse della commissione antimafia era motivato dal controllo ferreo sul Tronchetto esercitato dal nucleo ancora in campo della banda Maniero, l’unica organizzazione criminale del nord riconosciuta ufficialmente come mafiosa, cosa che molti tendono a dimenticare, fingendo che quella storia sia finita. Non è affatto così, men che meno al Tronchetto, dove il predominio della banda si è affermato con omicidi, aggressioni, intimidazioni, corruzione.
Nell’imponente mole di documenti, sentenze, rapporti, intercettazioni mirate e ambientali su vecchi e nuovi protagonisti del business – ora all’attenzione anche della commissione antimafia – tutto questo emerge evidente. A volte sono documenti perfino esilaranti, con boss patentati che parlano fra loro chiamandosi «amore» (anzi «’more») o «cocco mio», eccetera, come in una gag dei nostri grandi comici Carlo e Giorgio, ma che hanno carriere malavitose di rango, parlano con grande intimità di e con politici di maggioranza e opposizione o con i loro collaboratori, si comportano con arroganza con gli addetti regolari alle varie attività del Tronchetto (quando una donna del Ros vi si infiltra e risponde a tono a un intromettitore, questi rimane basito e poi si inferocisce: «Noi siamo il Tronchetto, ti ga capìo?». Lei lo sapeva, era lì per quello, forse sono altri a non capirlo…).
A motivare oggi la visita dell’antimafia si inserisce l’arresto, lo scorso giugno a Mestre, di Vito Galatolo, boss di Cosa Nostra, che subito dopo ha cominciato a collaborare con la giustizia e che risultava assunto, come poi il figlio, in una società operante al Tronchetto. Che ci faceva, lì (cioè qui), il boss Galatolo? Nello scorso dicembre, la Procura lagunare ha indagato, con l’ipotesi di concorso in associazione di stampo mafioso, alcuni dei più noti esponenti della realtà del Tronchetto, mentre i Ros hanno eseguito decine di perquisizioni sequestrando parecchi documenti.
Non si sa ancora cosa stia dicendo Galatolo agli inquirenti. Quel che è certo è che l’ipotesi di un interesse di Cosa Nostra sul Tronchetto e cioè su una delle componenti centrali dell’economia turistica della città – con un giro d’affari multimilionario – è sommamente inquietante. Due altri pilastri dell’economia veneziana sono stati o forse sono ancora in mano al malaffare: il business della salvaguardia e del Mose attraverso la mafia in guanti bianchi del Consorzio Venezia Nuova e il business delle bonifiche di Porto Marghera con la banda di affaristi, funzionari ministeriali e politici, che vi ha lucrato a mani basse.
Venezia non si può permettere che anche la grande e produttiva industria del turismo, una risorsa strategica della città, resti in parte cospicua in mani criminali o addirittura passi in mani mafiose. A Venezia si voterà, fra poco. Di tutto ciò non si è ancora parlato abbastanza, ma la questione criminale, a cominciare dal Tronchetto, non può non essere cruciale nel lavoro della prossima amministrazione. ★