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Le moleche dormivano silenziose

da Punturine 2 — La Vendetta

Il primo gruppo di turisti si presentò, ordinato e puntuale, al mattino molto presto. Era da poco spuntata l’alba in piazzetta Vigo. I pescatori di Chioggia non avevano ancora aperto il mercato, e le moléche dormivano silenziose, ignare del destino che le attendeva, nei loro cesti di vimini. L’aria sapeva da freschìn. I turisti, che erano di molte età e di varie nazionalità, indossavano berretti di lana scura alla pescatora, giacche di fustagno, braghe acqua alta di velluto a costicine, e tenevano in bocca, com’era stato loro suggerito, antiche pipe chioggiotte dipinte a mano con scene di naufragi dal Vladi, un tipico artista locale.

Roberto Bianchin

Liòn, lo storico capo delle guide turistiche della laguna, che era stato incaricato dalla nota agenzia di viaggi-avventura IMIN (Impossible is nothing), di accompagnare i gitanti, fece l’appello e li contò. Cinquantaquattro. Era un numero che non portava bene. Alla guida sfuggì, sottovoce, l’esclamazione che rese celebre il generale Pierre Jacques Etienne visconte di Cambronne quel giorno a Waterloo. Per vincere l’imbarazzo decise di stappare all’istante cinquantaquattro bottiglie di prosecco doc millesimato dei colli asolani. Una per ogni gitante.

Partirono allegri dopo le foto di rito, i discorsi delle autorità e la benedizione del parroco. Erano i primi turisti al mondo a fare il viaggio inaugurale, in bicicletta, lungo la pista ciclabile sotto le bocche di porto, dentro i tunnel del Mose, il grande sistema contro le acque alte inventato dai geni delle tangenti. Il parroco benedisse anche loro. Avevano bici sgargianti e esagerate. Ultramoderne, fosforescenti, in titanio trasparente. Alcune, curiosamente, senza sella. I più raffinati esibivano cicli primi Novecento e magliette in lana urticante. I più previdenti avevano sostituito l’acqua nelle borracce con grappa a settanta gradi.

La discesa nel primo tunnel, trecentosessanta metri di lunghezza a ventuno di profondità tra Chioggia e Ca’ Roman, non fu delle più felici. Un guasto tecnico, causato da un folpo di grosse dimensioni che aveva incautamente infilato negli ingranaggi una quindicina dei suoi tentacoli, aveva messo fuori uso gli ascensori. Dovettero immergersi con le maschere e le bombole, e le bici appese al collo per la catena. Trovarono tutto molto pittoresco. Nessuno aveva detto loro che c’erano gli ascensori. Lanciarono gridolini di gioia anche quando improvvisamente andò via la luce nel tunnel, mentre erano lanciati in una corsa sfrenata. Pedalavano come dannati facendosi le corna ogni volta che si sorpassavano. Qualcuno gridò che erano nel tunnel dell’orrore e che sarebbero arrivate le streghe. Per non deluderli inviarono sul posto alcuni impiegati del consorzio con le maschere di Halloween.

Nel secondo tunnel, trecentottanta metri a ventidue di profondità tra Santa Maria del Mare e gli Alberoni, si bloccarono le paratoie, e i gitanti furono costretti a intervenire, rimuovendo le incrostazioni provocate da una famiglia di peòci, con degli spazzolini da denti (setole in ferro) forniti dall’organizzazione. Trovarono anche questo molto pittoresco. Come il fatto che nel terzo tunnel, quattrocento metri a venti di profondità tra San Nicolò e l’isola nuova del bacàn, cominciasse a entrare l’acqua alta, con un effetto molto veritiero, e si dovesse pedalare con gli stivali tra le onde.

Ma gli applausi più fragorosi scoppiarono nel quarto e ultimo tunnel, quattrocentoventi metri a dieci di profondità tra l’isola del bacàn e Punta Sabbioni, quando una sapiente regia replicò l’alluvione del 1966 e allagò interamente il tunnel. I gitanti, ormai allo stremo, ma entusiasti, furono salvati da mezzi anfibi della Marina. Li guidava un comandante vestito da Corto Maltese.

(Tratto dal libro “Punturine 2 la vendetta, seconda e ultima perfida raccolta di una rubrica di culto”, pubblicato nel 2015 da I Antichi Editori Venezia, disponibile in e-book su www.iantichieditori.it)

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Vladi
Chioggia
Mar, 09/01/2015 - 12:00
Le moleche dormivano silenziose.

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