Lou Salomé:
diario
di un successo

Giorno per giorno le annotazioni del nostro uomo dentro il grande teatro

Auspicato cercato voluto ma non scontato, il successo della Lou Salomé di Sinopoli messa in scena alla Fenice per aprire la nuova prestigiosa fase della vita del teatro, è stato superiore anche alle più rosee aspettative. Soprattutto tra il pubblico, che ne è rimasto, secondo i nostri sondaggi veramente informali, particolarmente entusiasta. E questo di solito è molto bene. Ecco in esclusiva il diario, da dentro e in tutti i sensi dall’inizio, della preparazione di questa riuscitissima scommessa.

Nel 1982 Giuseppe Sinopoli portò in scena il personaggio di Lou Salomé, dedicandone un’opera. Ora a distanza di trent’anni, Lou è tornata: e non poteva che farlo a Venezia, al Teatro la Fenice, luoghi dove ancora sono intrecciati i ricordi di una personalità straordinaria come quella di Sinopoli e ora, che l’opera è andata in scena con quattro recite straordinarie, questo legame con la sua città ha acquisito quella magia che solo a Venezia è così forte. Dopo aver assistito a questo ritorno di Lou, ora accade magicamente quello che lo stesso Giuseppe ci raccontò nel suo Parsifal a Venezia, quando uscì quella volta dal Teatro la Fenice a sera tarda dopo una prova del Parsifal di Wagner e si perse tra le calli con in mente un tema dall’opera che risuonava con leggera e ineffabile insistenza: l’Irr Motiv (Il tema dell’errore). Solo che adesso, al posto del tema del Parsifal, riecheggia silenziosamente il coro dell’inizio del primo atto della Lou Salomé e le relative parole «Senza futuro ora noi siamo qui». Venezia è questo: vista dall’alto è piccolissima, circoscritta e con un confine con l’acqua chiarissimo e netto, ma una volta che si trova al suo interno, ci si rende conto che è infinita e senza tempo, dove passato e futuro sono la stessa cosa, dove quando accade qualcosa di quel qualcosa ne rimane traccia per sempre. Così non poteva che rinascere qui la Lou Salomé di Giuseppe Sinopoli.

Cominciamo dall’inizio e da un’altra parte

Mancavano cinque giorni a Natale quando arrivai a Berlino e tutto fu come sempre, come negli anni passati, a parte una piccola incognita: dal Teatro la Fenice avevo avuto la comunicazione che molto probabilmente mi avrebbero fatto lavorare alla produzione dell’opera inaugurale della nuova stagione a gennaio e quindi avrei dovuto anticipare il mio volo di ritorno di qualche giorno. Così rimasi in attesa. Due giorni dopo arrivò la mail: «Riesci ad essere a Venezia il 27/12? Alle 15 è previsto l’incontro di compagnia…». Arrivai a Venezia verso ora di pranzo e mi diressi direttamente in Teatro senza passare per casa; durante il viaggio mi passò per la testa quello che avevo letto a proposito di quest’opera che avrebbe aperto la nuova prestigiosa stagione lirica della Fenice, ma ciò che sapevo fu molto in realtà ed erano quasi solo cose che di per se non davano molti spunti: un’opera di Giuseppe Sinopoli, straordinario direttore d’orchestra veneziano, in occasione del decennale dalla sua scomparsa su un personaggio storico vissuto a cavallo tra ottocento e novecento che si chiamò Lou Salomé, amica di Nietzsche, Rilke, Freud, Tolstoj, Paul Rée, Wagner e tanti altri.

Sulla carta non si annunciò nulla di troppo promettente, anche perché quest’opera fu messa in scena una volta sola a Monaco di Baviera e il fatto di chiedersi la classica domanda: «se non è mai stata rifatta ci sarà anche un motivo?» è automatico.

Però ci fu anche qualcos’altro… Lou… era come se questo nome fosse circondato da una specie di mistero, come se comunque emanasse un fascino indipendente dalla figura storica della Salomé. Sicuramente una cosa di cui fui curioso era la notizia che avevo sentito a proposito dell’allestimento che avrebbe rivoluzionato la pianta della sala teatrale, portando tutta l’azione in mezzo alla platea con il pubblico attorno, a stretto contatto con i cantanti. Da questo punto di vista la cosa sarebbe stata sicuramente molto interessante.

La prima volta, in loggione

Arrivai con un po’ di anticipo in sala loggione del teatro, dove si tengono le prove di regia prima di scendere in sala grande, e un po’ alla volta giunsero tutti, Direttore e segretario artistico, direttore di palcoscenico, maestri di sala, il cast. Trovai pronta per me una copia dello spartito dell’opera e ci diedi subito un’occhiata: era una riduzione per canto e pianoforte edita da Ricordi ed era stata scritta a mano, come anche la partitura, che potei vedere poco dopo, la quale era di un formato enorme, da guardare bellissima… Così un po’ alla volta arrivarono tutti e dopo le presentazioni iniziò la prima prova: Tutti attorno al pianoforte, il direttore che diresse i cantanti e tutti in silenzio ad ascoltare le prime note di un’opera sconosciuta. Dopo la prima mezzora pensai che non sarebbe mai potuto venirne fuori qualcosa… o meglio, realizzai a pieno che quando ci si siede in platea e si guarda uno spettacolo non ci si rende conto di ciò che significa aver messo in piedi quello a cui si sta assistendo. Mi sembrò impossibile che da quello, che fu la prima prova, potesse venirne fuori uno spettacolo! Ma seppi anche che non era così, fui conscio che poi alla fine tutto magicamente avrebbe preso forma… per lo meno lo speravo! Però fu affascinante poterlo vivere direttamente, in maniera così forte, anche perché ciò fu dovuto alla natura stessa di quest’opera: nessuno la conosceva, nessuno la aveva mai cantata, nessuno sapeva come muoversi, nessuno aveva un parametro di riferimento. L’unica cosa che c’era fu la partitura e una registrazione della prima di Monaco.

Sinopoli scrisse per la Lou Salomé anche diverse parti recitate, tutte in tedesco, e la difficoltà dell’ufficio casting del Teatro nel trovare e convincere artisti a partecipare alla realizzazione di questa impresa fece si che non ci fu, come dire, la possibilità di scegliere tra una vasta rosa di canditati e quello che ne venne fuori fu un gruppo di cantanti \ attori decisamente avventurosi. Mi resi conto che il cast formato da Angeles, Georgia, Claudio, Gian Luca, Mathias, Roberto, Julie, Marcello e Alessandro fu un cast di persone che si erano messi in gioco in tutto e con tutto, solo con la certezza dell’incognita di quello che sarebbe venuto fuori. Subito si palesò una questione che il direttore artistico mi chiese di seguire: la pronuncia del tedesco. Allora capii che cosa vuol dire cantare e recitare in una lingua che non ti appartiene. Giorno dopo giorno le varie scene dell’opera iniziarono a prendere forma, imbevute di difficoltà a non finire, dalla complessità delle parti vocali che dovevano essere assimilate, passando per le decisioni di tagliare alcune parti dell’opera per poi riaprirne altri, di trovare la forma migliore per chiudere il secondo atto, per arrivare a trovare le soluzioni sceniche più funzionali. Nei giorni di prove dei primi giorni di gennaio, durante le pause mi affacciai spesso alla balaustra del loggione per osservare quello che stava succedendo giù in platea: un po’ alla volta furono smontate tutte le poltrone, poi fu montata una struttura in legno che coprì tutta la platea sulla quale furono rimontate tutte le poltrone come in un’arena e al centro ad un certo punto spuntò una betulla di dieci metri. La sala aveva all’improvviso tutto un altro aspetto, diverso, nuovo.

Sale la tensione

Arrivò il giorno in cui dalla sala loggione scendemmo per le prove in sala grande: e cambiò tutto di nuovo. L’acustica, gli spazi e l’atmosfera erano molto diversi rispetto a quelli dell’anonima sala loggione. Ora si percepiva che si stava avvicinando il giorno della prima e con questo anche le tensioni e salirono. La cosa speciale che però notai, fu che ci fu sempre una sorta di fiducia, da parte di tutti, che non venne mai meno. L’opera doveva andare in scena e così sarebbe stato. Solo quale sarebbe stato il risultato rimase, per tutta la durata delle prove, un’incognita. Una cosa che però assecondava tutta la difficoltà era che man mano che i giorni passavano ci si legava sempre più e si creava sempre più una sorta di clima di confidenza, dove il sapere che c’era il supporto di chi ti stava vicino dava coraggio nei momenti difficili e allegria ed energia nei momenti di stacco e di pausa. È stato bello vedere per esempio quando durante la prova del valzerino del primo atto, dove i cantanti cantarono dalla parte opposta del direttore d’orchestra, Angeles aiutò Claudio che aveva difficoltà a seguire il direttore sul monitor, cantando insieme a lui a bassa voce, così come lo è stato vedere la dedizione di Gian Luca nel voler studiare, praticamente ogni volta che c’era occasione, insieme a me la sua parte per migliorarne la pronuncia.
Il giorno della prima prova assieme all’orchestra, che nel frattempo aveva lavorato separatamente: per i cantanti passare dalle prove con un pianoforte a quella con l’orchestra è sempre una cosa difficile, e lo è ancora di più con musica contemporanea. L’impatto fu forte, anche perché l’orchestrazione della Lou Salomé è molto raffinata, piena di timbri, effetti sonori suggestivi, al quale l’orecchio si deve prima abituare. Ma sempre di più l’opera prese forma, e ormai dopo due settimane dalla prima prova la musica era entrata in testa, la sera uscito dal teatro o la mattina dopo il risveglio, i vari temi dell’opera risuonarono in testa di continuo, e quando durante un giorno di riposo si facevano altre cose e si pensava ad altro, all’improvviso ritornava in mente senza preavviso un’aria di Lou o il quartetto del primo atto. Due giorni prima della prima, andò in scena finalmente la prova generale, con il pubblico, e fu la prima volta che facemmo l’intera opera da capo a fine, in costume: pochi minuti prima dell’inizio mi resi conto che l’esito di questa prova sarebbe stato decisivo, sia perché ormai non c’era più tempo per correggere e migliorare eventuali problemi, sia perché l’effetto sul morale del cast avrebbe avuto un peso enorme.

Che sollievo

Alla fine delle prova, dopo due ore e un quarto, sotto gli applausi calorosi del pubblico potei finalmente vedere una sorta di peso che si liberava da tutti, specialmente da parte della protagonista: finito di cantare la sua ultima aria, il suo lied finale, doveva aspettare una decina di minuti la fine dell’opera in fondo platea, dietro le tende dell’ingresso nella penombra del corridoio, ed era praticamente crollata sugli scalini nel silenzio, dove rimase per oltre cinque minuti, come se avesse perduto tutte le forze, ma allo stesso tempo col sorriso velato sulle labbra, abbracciata da una comparsa che la teneva come quando si tiene qualcuno che è riuscito a fare qualcosa di straordinario ma non ha ancora l’energia per festeggiare. Poi, durante i ringraziamenti finali, tornò la vita e con essa la soddisfazione sul volto di tutti. Solo allora, dopo tre settimane di prove si era capito che ogni sforzo ne era valso la pena, solo in quel momento, tanto atteso, ci fu la consapevolezza che avrebbe funzionato. E così fu anche due sere dopo, durante la serata inaugurale tanto attesa: ebbi modo di parlare con un importante critico a proposito di questa produzione la sera prima e mi confessò che fu già un successo prima che fosse andato in scena, perché tutti ne parlarono, i media, i giornali e il mondo della musica e che in quella serata inaugurale ci volevano essere tutti. Il successo che poi arrivò con la prima recita, da parte di pubblico e critica, è noto. Ma meno noto è l’effetto che Lou faceva sugli interpreti e su chi seguiva da vicino ogni recita: sempre di più era come se fosse diventato parte della vita di quei giorni, fu come se lo spirito che si creò in quelle due ore di spettacolo non scomparisse una volta lasciato il teatro, ma persisteva in ogni momento. Così durante l’ultima recita ci fu un’atmosfera molto particolare, difficilmente descrivibile, che si crea quando l’interpretazione non è più una qualcosa di fine a se stessa, ma quando diventa vera, reale; e chi ebbe la fortuna di assistervi non si dimenticherà come, quell’ultima volta, Angeles cantò il lied, prima che l’opera si chiuse con il coro della speranza.

E alla fine

Ora che — come canta la stessa Lou — è tutto finito, qualche traccia è rimasta nelle pietre di Venezia, nelle calli, lungo i canali e nei campi nascosti. Forse il segreto di questa città è proprio questo: anche se non sappiamo tutte le cose che sono successe qui o sappiamo i nomi di tutti i personaggi che hanno camminato su questi masegni, captiamo però che sono successe. Ora si è aggiunto un’altra tessera in questo gigantesco mosaico, ora Sinopoli è tornato finalmente a Venezia… per rimanerci per sempre.

Lou Salomé: diario di un successo