Ma che gay che sei

Ti vorrei. Ti vorrei anche se fossi un gay. Canta così una canzoncina un po’ stupidina di un cantante un po’ così che non vale la pena di nominare. Viene soltanto da chiedersi: ma perché? Voglio dire, perché se uno è gay dovrebbe desiderare una donna? È evidente, infatti, che a questo allude la canzone, a una donna. Cioè, vorrei te che sei una donna anche se io fossi un gay. Paradossale. E incomprensibile. Ma significativo di una certa mentalità.

Vale a dire, dell’impossibilità di essere normale, e di rapportarsi in termini  normali a qualcuno che è gay, o se preferite culattone, frocio, busone, reciòn a seconda della latitudine, anche adesso che con la legge sulle unioni civili approvata dal Senato L’Italia colma un ritardo storico e diventa finalmente un Paese migliore.

Ma i pregiudizi, o almeno certi pregiudizi, come quelli sugli omosessuali, sono duri, durissimi a morire. Passi per quel pugile filippino, che non vale la pena di nominare, peraltro otto volte campione del mondo e candidato al Senato del suo Paese per un partito conservatore, che ha detto che i gay «sono peggio degli animali». Non si può chiedere a un pugile di essere anche intelligente.

Lo si dovrebbe chiedere, invece, a chi già ricopre un ruolo politico. Per esempio, a quel consigliere regionale leghista della Liguria, che non vale la pena di nominare, che ha scagliato il terribile anatema: «Se avessi un figlio gay lo brucerei nel forno». Ma lo si dovrebbe chiedere anche a chi sostiene, con motivazioni diametralmente opposte e anch’esse comunque prive di equilibrio, l’esatto contrario, come quel ministro in carica del governo italiano, che non vale la pena di nominare, che ha squittito: «Se avessi un figlio gay lo amerei di più».

Ma perché? Lasciamo perdere la storia del forno, che si commenta da sé. Ma per quale diavolo di motivo uno dovrebbe «amare di più» un figlio se il figlio è gay? È omofobia alla rovescia. Razzismo al contrario. Ma sempre omofobia, sempre razzismo. Perché se ritieni di amarlo «di più» dal momento che è gay, significa che pensi, magari inconsciamente, che appartenga, poverino, a una razza inferiore, maggiormente bisognosa di cure, affetto e protezione. Diversa, appunto. Un culattone, ecco. Da bruciare nel forno o da riempire di coccole proprio perché non è normale. Perché la normalità gli è proibita.

Già, la normalità. Che fatica. Non si potrebbe, semplicemente, amare un figlio gay allo stesso modo in cui si ama un figlio che non lo è? Basterebbe solo questo per non farlo sentire più diverso ma normale. Ma proprio questo è il passo più difficile. Forse ancora impossibile nel Paese dell’ipocrisia.

Fortuna che, per contraltare, non mancano i buoni esempi. Come quello offerto dai calciatori del Positano, squadra di cui è presidente Alessandro Cecchi Paone, uno dei primi gay confessi, i quali hanno confidato di essere «molto contenti» degli incontri che hanno con il noto conduttore televisivo negli spogliatoi. (ps. Non hanno specificato se prima, durante o dopo la gara).

LA PAGELLA

° Il cantante, il pugile, il consigliere regionale, il ministro:  voto 4
° Alessandro Cecchi Paone, i calciatori del Positano:  voto 8

roberto.bianchin@ilridotto.info

Alessandro Cecchi Paone con i calciatori del Positano …

Ma che gay che sei