Monti pallidi
Se ci fosse ancora Silvio Papi Berlusconi alla guida del governo italiano, e Super Mario Monti non ne avesse preso il posto appena in tempo, staremmo molto peggio. Saremmo col cappello in mano, nelle condizioni della Spagna e della Grecia. Questo è poco ma sicuro.
Super Mario ha evitato, per il rotto della cuffia, il fallimento dell’Italia. Ci ha salvati dalla bancarotta che era imminente. Ci ha ridato la credibilità internazionale che quell’estroso giocherellone di Silvio Papi ci aveva fatto perdere. Ci ha tenuti nell’euro e nell’Europa. Di questo dobbiamo essergliene grati. Ma solo di questo.
Perché il seguito della sua azione di governo è stato molto deludente. E non è un caso che la sua popolarità sia in calo di consensi verticale, e la sua figura, tanto osannata all’inizio, cominci a perdere di peso e di spessore e a diventare sempre più pallida. Perché al di là degli annunci e delle promesse, e fatta eccezione per alcuni spettacolari blitz della Finanza nei paesi di vacanza, il governo Monti ha colpito unicamente i ceti meno abbienti, come i pensionati e gli operai, mentre ha risparmiato i grandi capitali, le grandi rendite, le grandi transazioni finanziarie, le grandi banche. Tutti i ricchi, insomma.
Tipico di chi non ha una mentalità politica rivolta verso il sociale, quindi verso gli interessi della maggioranza della popolazione, ma di chi viene, come Monti appunto, dal mondo di quei poteri forti che ora accusa di averlo, chissà per quali motivi, abbandonato: il mondo delle banche e della finanza, dell’economia e dell’università, delle agenzie di rating e delle società quotate in borsa. Gente che non ha — come si è visto dalle dichiarazioni dei redditi e dalla proprietà dei ministri di questo governo, a cominciare dal numero di case — la più pallida idea di cosa significhi per una famiglia vivere con il reddito di una pensione.
È per questo che è perfettamente inutile — e rischia di essere molto deleterio — che Monti e il suo governo si sforzino di tentare di mettere mano a tutti i problemi aperti dell’Italia e a tutte le questioni sul tappeto, che sono tantissime e spinose, comprese le nomine nei vari enti, tra cui la Rai, dove ne ha fatte di piuttosto curiose. Monti è stato chiamato con un unico compito: tenerci nell’Europa. Lo ha fatto, lo ha fatto bene, e dobbiamo dirgli grazie. Ma fatto questo, se ne deve andare a casa. Questi erano i patti. Per restituire il paese alla politica, come in tutti i paesi normali e civili.
Magari non subito, questo no. Andare a votare a ottobre, come qualcuno vorrebbe, anticipando le elezioni, rischia di essere pericoloso. Perché siamo ancora instabili, perché il fallimento è stato scongiurato ma è ancora dietro l’angolo, perché l’Europa continua a guardarci con diffidenza, perché chi verrà dopo Monti potrebbe non godere della sua stessa credibilità. Allora è giusto che Monti traghetti il Paese fino alla scadenza naturale delle elezioni, la primavera del prossimo anno, e che l’Italia venga riconsegnata ai partiti.
E qui si apre un altro, spinosissimo capitolo. La crisi dei partiti politici italiani, la corruzione, la mancanza di fiducia da parte dei cittadini verso la politica e verso i partiti. Quello che spiega il successo dei grillini. Tutto vero. Ma non ci sono scorciatoie né alternative. Nessuno ha ancora inventato un modo diverso e migliore della democrazia gestita dai partiti. Fuori dalla democrazia dei partiti, o dalla partitocrazia, come malignamente (e non senza giuste ragioni) la chiamava Marcone Giacinto Pannella, non c’è nulla. O meglio, c’è solo la dittatura.
Il Pd, il Pdl, e tutti gli altri, hanno uno scarso, scarsissimo appeal in questo momento. Ma non esistono strade che possano prescindere dai partiti. L’unica percorribile è quella di un rinnovamento profondo dei partiti. Di una loro rinascita. Ma anche, di una morte dei vecchi partiti, e della nascita di nuovi partiti. Che siano possibilmente migliori, un po’ più seri, e un po’ meno ladri. Chi ci racconta un’altra storia, ci inganna un’altra volta. ★