Nostalgie

In Francia c’è una radio che va per la maggiore. La senti suonare, specie la mattina, in molte case, nei bar, nei negozi, nei saloni dei parrucchieri. Pochissime parole e tantissime canzoni, di quelle che la gente conosce, quasi tutte, e si diverte a cantare. Senti che cantano, mentre fanno i lavori domestici, dalle finestre aperte. È piacevole stare ad ascoltare, perché sembra una cosa di paese, di altri tempi, e mette allegria.

Si chiama Radio Nostalgie e, come dice la parola stessa, è una radio nostalgica della bella musica che fu, quella degli anni cinquanta e sessanta, che era musica (magari non tutta) di un certo spessore, specie se paragonata a certi obbrobri sonori di oggidì. Una dopo l’altra, come piccole perle di una collana preziosa, passano i pezzi di George Brassens, di Jacquel Brel, di Leo Ferré, di Juliette Greco, di Serge Gainsburg, di Yves Montand, di Gilbert Becaud, di Charles Trenet, di Charles Aznavour, di Antoine, di Johnny Hallyday, di Marie Laforet, di Boris Vian, di Michel Polnareff, e di molti altri grandi interpreti di quel fenomeno — irripetibile e ormai scomparso — che è stata nel novecento la canzone cantautorale francese. Un unicum, legato a una particolare stagione, che non ha avuto più seguito né eredi.

Era quasi tutta buona musica, a quel tempo. Quella degli autori citati lo era senz’altro. Ma capitava anche, ogni tanto, che fra tante perle spuntasse anche qualche canzone mal riuscita. Diciamolo pure, qualche emerita schifezza, che magari, per motivi misteriosi, o soltanto perché era un motivetto orecchiabile, faceva successo e scalava le classifiche. Quella volta non te ne accorgevi, ci facevi meno caso. Adesso, ascoltando meglio, a distanza di tempo, lo noti di più, e la contraddizione è stridente. Devi fermarti mentre ascolti la radio e ogni tanto, fra molte canzoni note e per lo più bellissime, ne senti una che fatichi a riconoscere di primo acchito ma capisci subito che è una schifezza. E ti domandi: ma cos’è questa porcheria?

La stessa nostalgie per quelle meravigliose canzoni di un tempo come Les feuilles mortes, ce l’ho di questi tempi — pensa fino a che punte di aberrazione ti può portare il delirio odierno — per quei partiti politici italiani di una volta, che a quel tempo giudicavamo (giustamente) orribili, ma solamente perché non avevamo idea di come sarebbero stati quelli venuti dopo.

Ebbene, di fronte agli sfaceli compiuti da partiti effettivamente orribili come Lega e Forza Italia, tanto per citare due dei maggiori responsabili dello sfascio italiano degli ultimi vent’anni, mi prende una profonda nostalgie della Dc, ma anche del Psi, e perfino del piccolo Pri, del piccolissimo Pli e dell’ineffabile Psdi. Tangentopoli, che li spazzò via (giustamente), avrebbe dovuto ripulire il paese, rigenerare il sistema dei partiti. Non è successo. Quelli di oggi rubano più di quelli di prima. Con l’aggravante che se prima rubavano più per il partito (avevano un maggiore senso dello Stato), adesso rubano più per sé stessi. Sono tutti Batman.

Certo, è imbarazzante avere nostalgie di tipini come Nicolazzi («Si fermò un’auto blu, si aprì la portiera, non scese nessuno. Era Nicolazzi», scriveva Fortebraccio in uno dei suoi celebri corsivi su L’Unità). Ma persino i peggiori protagonisti di un tempo, come le brutte canzoni di un’epoca felice, sembrano preferibili ai pessimi protagonisti di oggi. Che nostalgie. ★

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