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Pasticcio sui generi

S’incaglia sul sesso la grande riforma elettorale

No: non abbiamo sbagliato citazione. Il pasticcio sui generi sessuali è l’ultima brutta figura dell’insensato regime delle larghe intese in materia di legge elettorale. La grande riforma Renzi-Berlusconi (che a noi sembra una grande abborracciata cavolata messa in piedi da un vecchio fanfarone e un giovane maganzese) s’incaglia quasi subito sull’attribuzione delle quote rosa; un’allocuzione ambigua che significa poco o nulla.

Luca Colferai

Nella sostanza sarebbe auspicabile che almeno il cinquanta per cento dei candidati alle elezioni italiane fossero di sesso femminile e l’altro cinquanta di sesso maschile. Per ottenere per legge ciò che per costume uso abitudine e preconcetto è impossibile ottenere, e cioè che entrambi i sessi biologici siano parimenti presenti nella rappresentanza politica del popolo italiano.

Non si tratta, ovviamente, della metà che non viene eletta, come per esempio icastico nella spassosissima scenetta di Stanlio e Ollio marinai in licenza che per difetto di denaro al chiosco dei giardinetti ordinano un bicchiere d’aranciata in due e Stanlio se lo beve tutto perché «la mia metà era quella sotto!». Per cui sarebbe necessario prevedere anche un modo di evitare che la metà in rosa fosse appunto: quella sotto, che non viene eletta.

L’obiezione immediata che molte persone di acuta sensibilità possono giustamente sollevare su questo meccanismo di protezione è che una parità elettorale di rappresentanza dei sessi imposta per legge suona un poco stridente. Una specie di discriminazione al contrario, che non fa che confermare al contrario il ruolo subalterno patito dal genere femminile in questo paese. Una ghettizzazione certificata con l’imposizione di un minimo vantaggio.

Non c’è dubbio che alcuni in buona fede si siano utopisticamente già schierati contro le quote rosa (che orribile eufemismo brachilogico) ma noi malignamente pensiamo che siano in tantissimi a sollevare questo legittimo dubbio solo per vedere ancora una volta confermata la loro maschia supremazia. Che nel caso specifico significa la possibile ascesa per molti omuncoli a tantissime pletoriche cariche elettive (per tanti oggi una sinecura simile ma più remunerata della carica di abate nel settecento).

In un paese come il nostro, gravato da arcaici pregiudizi preconcetti di inusitata rustica primitiva ignoranza, che si concretizzano quotidianamente in ogni aspetto del vivere sociale, politico e culturale (stavamo per scrivere civile, ma di civile non c’è poi molto) l’imposizione per legge della parità sessuale nelle elezioni politiche e amministrative è di importanza cruciale.

Sperare in un rivolgimento civile delle menti che a scapito di gretti privilegi, di ancestrali concezioni genitali, porti spontaneamente alla presentazione di rose di candidati equamente distribuiti tra ambo i sessi, è illusione suprema. O sfrontata dissimulazione. Soprattutto quando stiamo parlando di parlamentari italiani, che (non tutti sia chiaro, ma alcuni proprio sì) in moltissime occasioni hanno dimostrato coram populo di essere pietosamente e irrimediabilmente incivili. ★

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Sab, 03/01/2014 - 12:00
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