Quell’arte senza confini
tra Klein e Fontana

Al Museo del Novecento di Milano

Una mostra originale, curiosa, bizzarra, anche intrigante, mette a confronto la vicenda artistica e umana di Lucio Fontana e di Yves Klein, in un dialogo continuo tra i due artisti che va ben oltre l’arte, oltre la sensibilità, oltre la vita. E anche oltre la morte. Il senso vivo dello spazio nei tagli e nei buchi di Fontana come nei monocromi blu di Klein.

MILANO – Appare sempre più importante al giorno d’oggi, per il successo delle mostre d’arte moderna, la capacità del curatore di sviluppare un dialogo con le mostre permanenti dei musei d’arte contemporanea.

È quanto accade, ad esempio, a Milano ,al Museo del Novecento (quattro piani nella centralissima Piazza del Duomo), dove i curatori Silvia Bignami e Giorgio Zanchetti analizzano e riflettono con acutezza sul rapporto tra Lucio Fontana (1899-1968) e Yves Klein (1928-1962) in quegli stessi spazi dove già sono presenti altre opere del maestro rimasto celeberrimo per i tagli sapienti che infliggeva alle sue tele.

Ancora una volta, in questa mostra, si indaga su un periodo molto creativo e rivoluzionario dell’arte mondiale, quale fu quello degli anni Sessanta.

La vicenda artistica di Klein e di Fontana, e il dialogo tra i due artisti, troppo presto interrotto da un terzo e fatale infarto di Klein, vengono indagati attraverso oltre novanta opere e una ricca documentazione fotografica.

Molti dipinti sono presenti per la prima volta in Italia, come Antropometrie di Klein proveniente dal Centre Georges Pompidou di Parigi, mentre altri capolavori sono stati prestati dal Gam di Torino e Gnam di Roma.

Alcune sale della collezione permanente con opere di Fontana sono state riallestite per l’occasione, allo scopo di accogliere il confronto visivo con le opere di Klein. Questo è forse uno degli aspetti più interessanti e innovativi della mostra.

Lucio Fontana fu tra i primi ad acquistare un monocromo dell’artista francese, e diventerà, negli anni Sessanta, uno dei suoi più importanti collezionisti.

I numerosi soggiorni parigini di Fontana documentano lo stretto scambio tra i due artisti, rapporto che le intelligenti soluzioni dei curatori rendono ampiamente visibile nell’esposizione.
Valga per tutti l’esempio, all’ultimo piano del Museo, tra il segno al neon di Fontana del 1951, una delle opere più significative della collezione permanente di Milano, e la grande installazione Pigment di Klein che occupa il pavimento della stessa sala.

Entrambi gli artisti hanno evocato nelle loro opere un altro spazio. Fontana lo indaga con i tagli ed i buchi nella tela, Klein evoca con i suoi monocromi blu uno spazio immateriale, cosmico.

«Ora voglio andare oltre l’arte, oltre la sensibilità, oltre la vita. Voglio entrare nel vuoto – diceva Klein – la mia vita dovrebbe essere come la mia sinfonia del 1949, una nota continua, liberata dall’inizio alla fine, legata ed eterna al tempo stesso perché essa non ha né inizio né fine… voglio morire e voglio che si dica di me: ha vissuto perciò vive».

Il segno al neon di Fontana del 1951 e Pigment di Klein

Quell'arte senza confini tra Klein e Fontana