Regionopoli

Aboliamole. Non facciamoci prendere più in giro. Approfittiamo di questa occasione — o meglio, ne approfitti il governo — e facciamola finita una volta per tutte. Aboliamo le Regioni. Enti inutili. Tane di ladri e malfattori. Dalla Lombardia al Lazio, dal Piemonte alla Sicilia, dall’Emilia-Romagna alla Calabria, la Tangentopoli di vent’anni fa si è trasferita nelle istituzioni locali. E in un crescendo di corruzione è diventata Regionopoli.

Fino a ieri si era discusso, tutto sommato invano, visto che non è stato abolito ancora niente di niente, di abolire le da tempo inutili Province. Diventate superflue proprio da quando sono state istituite le Regioni, con poteri ormai ridicoli e ridotti al lumicino (tipo la concessione delle licenze di caccia), e soprattutto ridotte a ricettacolo di politici trombati, covo di tangentisti e di affari molto poco puliti, come tante inchieste giudiziarie, conclusesi con condanne definitive, hanno ormai ampiamente dimostrato.

È per questo che l’abolizione delle Province, che tutti vogliono a parole ma che nei fatti non vuole nessuno, proprio per i motivi appena citati, non è in discussione. Va fatta e basta. O meglio, andrebbe fatta. Difatti non sono mica convinto che verrà fatta. E insieme alle Province, andrebbero abolite anche le Regioni. Un bel po’ di piazza pulita non guasterebbe. Il risparmio sarebbe notevole per le casse del Paese, e la sparizione di questi enti, che sono diventati ormai solo centri di potere e di malaffare, sarebbe molto salutare.

Non ci sarebbe da preoccuparsi nemmeno sul piano amministrativo della gestione dei territorio. Via le Regioni, e via le Province, le competenze resterebbero ai Comuni — quelli sì importantissimi, grandi e piccoli — il cui ruolo verrebbe di molto rafforzato, mentre altre competenze, quelle più strategiche, tornerebbero allo Stato, che si è dimostrato comunque molto meno ladrone al centro che in periferia.

Non c’è alcun valido motivo, infatti, per difendere l’esistenza delle Regioni. Da quando sono state istituite, quarantadue anni fa, nel 1970, per favorire il decentramento in periferia dei poteri dello Stato (allora il federalismo si chiamava così), non ne hanno combinata una di giusta. Non sono riuscite a dare la prova di fare meglio di quanto lo Stato, il ben miserevole Stato italiano, già faceva. In nessun campo. Né in quello della scuola, né in quello — tanto strombazzato — della sanità, né in quello della gestione e dello sviluppo del territorio, delle infrastrutture, della viabilità, della cultura e di quant’altro voi vogliate aggiungere.

Al contrario, oltre a dare prova di massima inefficienza, e di nuova burocrazia, sono diventate la casa di riposo di una casta di politici di serie B (a volte anche C e D), che sperperano fiumi di denaro pubblico e si arricchiscono vergognosamente alle spalle dei cittadini a favore dei quali dovrebbero invece amministrare. Sono diventate i luoghi in cui ogni tangente è lecita e ogni porcheria è possibile. Dove ruba la destra e ruba (ma un po’ meno) anche la sinistra. Dove entrano la malavita e le organizzazioni criminali che vendono voti e controllano appalti. Dove si è parcheggiato un ceto politico parassitario che in un paese normale non sarebbe riuscito a fare nessun altro mestiere normale. Com’è il caso del governatore, molto noto, di una regione del Nord, che venne licenziato per incapacità dall’azienda (di un suo cugino, oltretutto) in cui, prima di entrare in politica, aveva cercato (raccomandato) di fare un lavoro, appunto, normale.

Le Regioni italiane, chi più chi meno, sono state la grande speranza delusa. Il penoso fallimento di ogni, pur nobile, tentativo di decentramento. E con i loro scandali continui di questi tempi hanno segnato irrimediabilmente la fine dell’utopia federalista. Aboliamole senza rimpianti. ★

Regionopoli