Sarà una bella società
Il ritorno di Shel Shapiro
Al teatro Miela di Trieste
Shel Shapiro, cantante e leader dei Rokes, uno dei migliori complessi dell’epoca beat, torna sulle scene con uno spettacolo di musica e parole scritto insieme a Edmondo Berselli: «Sarà una bella società», il titolo preso in prestito da una delle sue canzoni più famose. Il cantante, che a settanta cinque anni appare ancora in splendida forma, si muove a suo agio fra le canzoni e i ricordi della rivoluzione culturale del Sessantotto. Sul filo della nostalgia si alternano, applauditissimi, non solo i grandi successi dei Rokes, ma anche storici brani di Bob Dylan e Johnny Cash. Peccato per la pessima acustica del teatro.
TRIESTE (r.b.) – Per i brividi bisogna aspettare l’ultima canzone. Quella che comincia: “Sotto una montagna di paure e di ambizioni c’è nascosto qualche cosa che non muore”…C’è un pubblico adulto in sala, molti i capelli bianchi, qualcuno si commuove. Anche Shel, settanta cinque anni, ha tutti i capelli bianchi ormai. Ma sempre lunghi. E braccialetti, collane e orecchini. Tatuaggi no. Non erano di moda ai tempi del beat. Altri tempi, appunto.
E’ a quei tempi, nel cinquantenario del Sessantotto, che Shel Shapiro, inglese di origini russe, leader e cantante dei Rokes, uno dei gruppi migliori dell’epoca beat, oggi produttore, compositore, arrangiatore, dedica il suo nuovo spettacolo. “Sarà una bella società”, si intitola, l’ha scritto insieme alla penna felice di Edmondo Berselli (ci manca, ci manca…) e racconta, tra parole e musica, aneddoti e ricordi, la storia e le canzoni di quel periodo.
“Il Sessantotto ha provocato una rivoluzione intellettuale –spiega- e ci sono state conquiste importanti. Avevamo dei sogni, che però non si sono realizzati, o solo in piccola parte. E la società, da aggregativa, è diventata autoreferenziale. Si è tornati a una forma di aggregazione virtuale sui social, ma postare un like non è come scendere in piazza. La musica di Bob Dylan e di altri artisti di quel periodo ha contribuito a prestare un’attenzione più forte sulla società. Purtroppo abbiamo avuto la colpa di pensare che avevamo ragione noi”.
Già. Ma che colpa abbiamo noi, E’ la pioggia che va, C’è una strana espressione nei tuoi occhi, e via andare. Sul filo di una nostalgia che è insopprimibile. E non solo con i pezzi dei Rokes, ma anche con quelli di Dylan e Johnny Cash.
Alto, imponente, stivaloni di pelle, camicia bianca con jabots, chitarra acustica, non appare molto cambiato Shel, a parte il colore dei capelli. Stessa voce, stesse pose, stesso accento british che cinquantacinque anni di vita in Italia (arrivò nel 1963 e non andò più via), non sono riusciti a cancellare. Come Mal dei Primitives.
Shel ha carisma, è un ottimo musicista e una persona intelligente. Mette piacere ed emozione rivederlo, il concerto è lungo e piacevole, la musica è buona e gli applausi calorosi. Delude l’accompagnamento musicale, un po’ povero, affidato com’è a due ragazzotti, uno alle tastiere, l’altro a un’altra chitarra acustica (ma perché una seconda chitarra acustica?).
Si sente la mancanza di un basso e di una batteria, indispensabili per la musica di quel periodo. Orribile poi l’acustica del Teatro Miela. Uno spazio brutto e caldissimo (l’aria condizionata non funzionava o se funzionava non si sentiva). I bagni, in compenso, erano una ghiacciaia. Per fortuna che almeno hanno una programmazione intensa e di qualità.
LA PAGELLA
Shel Shapiro, “Sarà una bella società”. Voto: 8