Sciacalli
e trogloditi
Un terremoto di polemiche
Stupisce e sorprende, nelle vicende seguite al sisma che ha colpito l’isola d’Ischia, la «rivolta» popolare contro gli operatori dell’informazione. Come se fossero colpa dei giornalisti il terremoto e anche i materiali scadenti con sui sono state costruite abusivamente, in spregio a tutte le regole, quelle maledette case di cartapesta. Viviamo in un Paese sempre più ignorante e cialtrone. Dove sembrano scomparsi il pensiero, il ragionamento, l’intelligenza. Dove prevalgono l’arroganza, la volgarità, l’insulto e l’odio. Un vizio comune ai potenti quanto al popolino. Una deriva pericolosissima.
Dopo il terremoto che ha colpito l’isola d’Ischia, facendo clamorosamente più danni di quelli che avrebbe dovuto fare un sisma di così modeste proporzioni (magnitudo 3,6, “allucinante morire per questo” dicono i tecnici), è successo che negli uffici comunali di Ischia una piccola moltitudine vociante (urlante) di individui di incerta natura, non avendo evidentemente di meglio da fare, si sia messa ad inveire piuttosto vigorosamente, al grido di “Andate via sciacalli”, contro i giornalisti presenti sul posto per raccontare l’accaduto.
Come se la colpa del terremoto fosse loro e non della natura o magari e soprattutto — come dovrà accertare l’inchiesta aperta dalla Procura di Napoli per disastro colposo- di chi ha costruito con materiali scadenti e al di fuori di ogni controllo e di ogni regola quell’orribile miriade di costruzioni abusive che tappezza l’isola come una vecchia coperta piena di buchi.
Storia non nuova peraltro, anzi abitudine inveterata, sia da parte del popolino come da parte dei potenti di turno, quella di dare sempre e comunque la colpa ai giornalisti per ogni cosa brutta che accade, dal massacro di una famiglia all’arresto di un parlamentare. Alibi buoni a scrollarsi di dosso ogni e qualsiasi responsabilità.
Ma quello che sconcerta di più, in questa piccola ma significativa vicenda, è l’ennesima dimostrazione di quanto in basso stia cadendo (sia caduto) il Paese Italia. Quanto il ragionamento, il pensiero, l’intelligenza, siano scomparsi quasi del tutto. In quasi ogni vicenda. In quasi ogni città. Quanto prevalgano, quasi ovunque, l’ignoranza, la volgarità, l’insulto e l’odio. Stiamo diventando, o tornando ad essere, un popolo di trogloditi.
Come può infatti una persona normale, intendo dotata di una normale intelligenza –niente di particolare, per carità- a pensare che i giornalisti siano degli sciacalli che amano fare gli sciacalli, che in soldoni significa poi divertirsi e lucrare su lutti e tragedie- e non pensino invece che fanno semplicemente un lavoro, che è quello –delicatissimo, e fondamentale in una democrazia- di informare su quanto di bello o di brutto accade nel mondo. Di raccontare il mondo e la vita, in sostanza, bene o male, come sono capaci, è chiaro.
Lo sciacallaggio è ben altro. Raccontare è un lavoro. Nessun giornalista sarebbe andato a Ischia per sfizio o sciacallaggio. Se avessero potuto scegliere sarebbero rimasti a casa o andati al mare o altrove. Se sono andati a raccontare il terremoto non l’hanno fatto per divertimento né per sciacallaggio né perché non avevano di meglio da fare. Lo hanno fatto perché è il loro lavoro e perché i loro giornali li hanno mandati.
E porre domande, anche scomode, come quelle sull’abusivismo, sulle regole, sui criteri e sui materiali con cui sono state costruite quelle maledette case di cartapesta, non è sciacallaggio. Come non lo è avanzare dubbi, critiche, sospetti. E’ il contrario. E’ fare, appunto, il giornalista. E’ fare il proprio mestiere e farlo bene. Ed è anche un dovere civico. Anziché insultarli, bisognerebbe dire grazie a questi “sciacalli” dell’informazione. A vergognarsi non devono essere loro. Ma quegli ischitani terremotati nei neuroni, che stoltamente li insultano.