Scossa
continua

Scossa continua. Non c’è persona, o quasi, che non abbia una memoria personale del «suo» terremoto, in un Paese come l’Italia che per la sua conformazione geofisica piuttosto pericolosa, esattamente sopra la faglia che divide la placca africana da quella asiatica, è da sempre tra quelli a forte rischio sismico. Difatti le tredici placche su cui poggia la crosta terrestre si muovono di continuo alla ricerca di un equilibrio impossibile.

Non c’è più nessuno ormai che ricorda il terremoto di Messina del 1908. Ma sono ancora in molti, e io tra quelli, la corsa fuori in strada nella notte col bimbo di tre mesi in braccio, che ricordano il terremoto del Friuli del 1976, l’orcolat, come lo chiamano da quelle parti, dal nome di un orcaccio (spregiativo del friulano orcul, l’orco appunto), immaginato come un essere mostruoso che la tradizione popolare indica come la causa dei terremoti.

E tanti ancora ricordano altri tragici terremoti, quello dell’Irpinia del 1980, di San Giuliano del 2002, dell’Aquila del 2009, dell’Emilia Romagna del 2012.

I terremoti, al di là delle chiacchiere di perdigiorno, ciarlatani e politici d’accatto, non sono in alcun modo prevedibili. E su questo terreno non c’è altro da dire. C’è da dire invece che, ci piaccia o no (ed è evidente che non ci piace affatto), noi siamo il Paese dei terremoti. Le scosse, grandi o piccole che siano, ci spaventano ben duemila volte l’anno, da Nord a Sud del Belpaese, secondo una stima, molto attendibile, del presidente del consiglio nazionale dei geologi, Gian Vito Graziano. Questo tanto per gradire.

Inoltre, ci informa il navigatissimo giornalista Giorgio Dell’Arti che si occupa quotidianamente in modo molto egregio dei fatti del giorno dalle pagine della Gazzetta dello Sport (ottimo giornale, che ha meritevolmente dedicato le prime quattro pagine alla tragedia anziché ad eventi sportivi), ci sono ben tre milioni di persone che in Italia abitano in zone ad alto rischio sismico, mentre sono ventuno i milioni che vivono in zone a rischio medio.

Le zone ad elevato rischio sismico, secondo il presidente dei geologi, sono circa il cinquanta per cento del territorio nazionale. I Comuni potenzialmente interessati da un alto rischio sismico sono 725, quelli a rischio medio 2.344. E gli edifici che si trovano in zone a rischio sismico sono poco più di sei milioni, mentre le abitazioni sono più di dodici milioni.

Se questa dunque è la situazione del Paese, e non c’è da dubitarne, si capisce quanto il rischio che corriamo sia elevato, data anche, come detto, l’imprevedibilità dei terremoti. Non possiamo dunque fare davvero nulla per difenderci dal terribile orcolat? Dobbiamo proprio arrenderci alla sua violenza? Alla sua cattiveria? Come si fa, in queste condizioni, a mettere in sicurezza un Paese intero?

Non c’è, francamente, alcuna possibilità. L’unica è quella di mettere in sicurezza le zone sismiche con case e costruzioni antisismiche. Ma questo, è evidente, è possibile farlo, costi a parte, solo in caso di nuove costruzioni, o di rifacimento di quelle esistenti. Non era certo possibile (nemmeno logico e neanche auspicabile, tantomeno economico) radere al suolo Amatrice, si fa per dire, o qualcun altro di quei bellissimi borghi andati distrutti, per rifarlo ex novo con strutture antisismiche.

Non ci resta che sperare che l’orcolat si rimetta a dormire e si risvegli il più tardi possibile.

L'orcolat disegnato da Erika Ronchin (fonte: mononbehavior…

Scossa continua