Se non siamo tutti Charlie

Cherif Kouachi, Said Kouachi, Amedy Coulibaly, non so se là dove siete finiti riuscite a leggere fin qui. Non so se siete finiti nel cielo di qualche eroe, nel paradiso di un qualche martire di una qualche causa più o meno nobile, o più probabilmente in nessun posto. In ogni caso, qualora riusciste a leggere, sappiate che la vostra battaglia, quella che avete combattuto in terra con tanto ardore, l’avete miseramente perduta.

Per più di un motivo. Il primo: che il nemico che credevate di avere ucciso, invece è vivo. «Abbiamo ucciso Charlie Hebdo», gridavate per strada, ebbri e scalmanati, i kalashnikov fumanti ancora in mano, un minuto dopo la mattanza delle matite. Sbagliato. Avete ucciso solo alcuni corpi umani. Corpi di persone anziane, per lo più, vecchi bambini che giocavano con le matite colorate e che ridevano a disegnare barbe e papaline, cazzi e profeti. Sono morti solo vecchi giullari. Charlie Hebdo è vivo, esce ancora, adesso lo conosce anche chi non lo conosceva prima, anche chi non lo aveva mai letto, il numero dopo la strage viaggia per tutto il mondo in milioni di copie, e il profeta viene sbeffeggiato più di prima. Avete ucciso per niente, banda di coglioni.

Il secondo motivo: pensavate che la vendetta verso i vignettisti bestemmiatori del profeta fosse una cosa buona per la vostra causa. Credevate di fare il bene dell’Islam. Avete sbagliato anche qui. La strage che avete compiuto sta provocando in tutto il mondo reazioni isteriche, rabbiose, razziste, contro i musulmani di tutto il mondo. Contro l’Islam. Cacciate i musulmani dall’Occidente, gridano in molti. Arrestateli. Torturateli. Uccideteli. Assaltate le moschee. Bruciate i negozi di kebab. Avete fatto più male al vostro Islam di quanta non ne abbiate fatta alle vostre vittime.

Il terzo motivo: non finirete in nessun pantheon di nessun martire e di nessun eroe. Non avrete targhe né strade né scuole intitolate. Nemmeno quelle coraniche. E tra pochi giorni cominceranno a dimenticare i vostri nomi anche quelli (pochi, non vi illudete, sono pochi), che adesso esaltano la vostra vigliaccata. Non eravate nessuno. Non siete nessuno. Non sarete mai nessuno.

Il quarto motivo: avete portato solo dolore in qualche casa, nelle famiglie delle venti vittime. E forse anche in quello che è rimasto delle vostre famiglie. E sempre per niente avete stroncato anche le vostre giovani vite. Penso con raccapriccio anche ai vostri pochi anni: trentadue (Said), trentatré (Amedy), trentaquattro (Cherif). Troppo pochi per immolarsi per una qualunque causa. Troppo pochi per morire. Avete ucciso venti vite e avete stroncato anche le vostre. Vi siete suicidati la gioia di invecchiare. Di avere dei figli e poi dei nipoti. Di trovarvi un lavoro. Una compagna. Di fare un viaggio. Di andare a un teatro. A un ristorante. Di comperarvi una giacca. Di leggere un libro. Via, spazzato via tutto, in tre giorni folli di terrore.

Amedy, Cherif, Said, non avete capito niente. Proprio niente. Non avete capito quanto è lunga la strada che conduce alla tolleranza. Spesso lunghissima, segnata da righe di sangue. Non avete capito che ci vogliono anni, decenni, forse anche secoli. Che ci vogliono pazienza e accoglienza, dialogo e rispetto, istruzione e cultura. Non imbecilli con i kalashnikov. E neanche idioti che rispondono attaccando kebab e moschee e pretendendo di cacciare i musulmani dall’Occidente.

Anche l’Occidente ci ha messo molto prima di capire che la libertà di espressione è la più grande, la più importante, la più insostituibile delle libertà. Perché non vuole dire solo libertà di opinione. Vuole dire anche libertà di informazione. Quindi libertà di stampa. E libertà di satira, che è sempre una libertà, ma è un’altra cosa ancora. Perché l’informazione trova un giusto limite, a difesa del cittadino, nelle leggi sulla stampa e sulla diffamazione.

La satira non è informazione, questo anche il civile Occidente a volte fatica a capirlo. La satira, che si esprime appunto in luoghi diversi dall’informazione (giornali dedicati, come Charlie Hebdo, vignette, disegni, rubriche, libri, film, spettacoli), è sberleffo, presa in giro, dissacrazione irriverente, iconoclasta, talora anche blasfema. Per sua natura è porto franco, terra di confine dove non vige alcuna legge, rifugio che non può e non deve essere soggetto ad alcun vincolo e ad alcuna censura. È il circo dei giullari, dove i giullari per volontà divina sono intoccabili. Sacri. Non a caso nelle corti medievali solo ai giullari era consentito sbeffeggiare il re, agli altri tagliavano la testa.

Non avete capito, Amedy, Cherif, Said, che se a voi non piace che si prenda in giro il profeta, a qualcun altro invece può piacere. E questo qualcun altro ha tutto il diritto di prendere in giro chiunque, mentre voi avete tutti i doveri di rispettare questo diritto e qualsiasi opinione contraria alla vostra.

Dovete capire, anche da lì dove siete finiti, che noi vogliano continuare a sbeffeggiare Maometto, se ci va di farlo. Perché questa, solo questa, è la libertà. E non solo lui. Insieme ad Allah, vogliamo farci beffe, se ci va, anche di Gesù Cristo con tutta la sua curiosa famiglia e i suoi numerosi discendenti, dai papi ai cardinali, dai frati ai preti alle suore, fino alle madonnine di Fatima, di Lourdes e di Medjugorje. Non solo. Ci piace continuare a sbeffeggiare anche Budda, Yemanja, Brahma, Siva e Visnu, il Dalai Lama, Milarepa, Sai Baba e Mahesh Maharishi. E via di seguito gli ebrei, i protestanti, i valdesi, gli ortodossi, i quaccheri, i mormoni, i pentecostali, gli avventisti del settimo giorno, i testimoni di Geova, gli hare krishna, e chi più ne ha più ne metta. Vogliamo prendere in giro tutti senza ammazzare nessuno. Difficile da capire, vero?

Quanto sangue ci è voluto e ci vuole per difendere le libertà di espressione. Non siamo tutti Charlie. E pensare che sarebbe tanto facile, senza bisogno dei kalashnikov, risolvere il problema, sempre ammesso che la libertà di espressione per qualcuno sia un problema. Basterebbe non comperarli, quei giornali. Non leggere quei libri. Non guardare quelle vignette. Non assistere a quegli spettacoli. Non vedere quei film. Ma lottare, al contrario, per dare la possibilità di vederli a chi li vuole vedere. Perché questa, solo questa, è la libertà più grande.★

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