sim SALA bim
sim SALA bim. Com’era apparsa all’improvviso, la candidatura di Beppe Sala a sindaco di Milano, così all’improvviso rischia di scomparire, bruciata in pochi mesi, come in un gioco di prestigio del meraviglioso mago Silvan (Aldo Savoldello, veneziano, per l’anagrafe), che prima di ogni sparizione pronuncia – è ancora in attività e in splendida forma – quella formuletta che a molti suona misteriosa: sim SALA bim, appunto. Ma non è stato Silvan a far sparire Sala.
Sono stati i milanesi. A sorpresa, ma non del tutto. L’impressione è infatti che con il 41,7 per cento dei voti raccolti al primo turno, Sala abbia già fatto il pieno dei consensi del centrosinistra. Anche perché non sarà facilissimo (tutt’altro) che quel 10 per cento che ha votato per il candidato a cinquestelle traslochi sul discusso uomo dell’Expo visto dai grillini come il fumo negli occhi.
Più facile che al ballottaggio ampli i propri consensi, tra i moderati, tra chi non vuole più la sinistra, tra chi non è andato a votare al primo turno, il meno conosciuto, quasi insignificante ma rassicurante Stefano Parisi, manager, candidato del centrodestra, che a sorpresa – lui sì, davvero – è arrivato a uno spettacolare 40,8 spiazzando persino il suo mentore, quel Papi Silvio Berlusconi che non è andato nemmeno a sostenerlo al comizio finale preferendogli a Roma la compagnia del bello ma perdente Alfio Marchini. Bizzarrie della politica. Se il pallone è tondo, il voto anche.
Viene da interrogarsi, piuttosto, sui perché del flop di Sala in una città come Milano dove il centrosinistra, e un centrosinistra allargato per di più, sia a sinistra che al centro, veniva da una stagione, quella di Giuliano Pisapia, considerata da molti, anche nel centrodestra, piuttosto positiva, se non proprio felice. Con la città più pulita, più ordinata, più sicura, più efficiente, più vivace, con l’economia in ripresa e la cultura e gli spettacoli in gran spolvero.
Ma forse il voto di Milano non è proprio un voto contro il centrosinistra. È un voto contro Sala. Candidato sbagliato a dispetto del buon esito dell’Expo. Poco conosciuto. Poco amato. Poco simpatico. Poco convincente. Poco chiaro. Poco deciso. Anche poco di sinistra: aveva lavorato come city manager con il centrodestra quand’era sindaco Letizia Moratti. Nessuna continuità, dunque, con Pisapia. Anzi, tutto il contrario. Pisapia aveva la barra tutta a sinistra, anche troppo per alcuni, Sala la spostava dove gli faceva più comodo. Pisapia vinse le primarie contro il Pd che non lo voleva, Sala se l’è scelto il Pd, e si è visto.
Uno dei tanti errori di un partito ormai allo sbando. E non solo a Milano. Deludente a Bologna e a Torino, dove pensava di vincere al primo turno e invece si è fermato al 39 di Merola e al 41 di Fassino, secondo a Roma, addirittura terzo, e fuori dal ballottaggio, a Napoli. Indizi precisi, precisissimi, di qualcosa che non va. Segnali di un disastro annunciato.
Persino fanciullino Renzi, col musetto imbronciato, dice di non essere soddisfatto. E ti credo. Aggiunge, bontà sua, che il Pd «ha dei problemi». Ma se ne accorge adesso, benedetto ragazzo? Pensare che qualcuno gli aveva detto, e in tempi non sospetti, che non era buona cosa, e non avrebbe portato frutti gustosi, fare insieme il presidente del consiglio e anche il segretario del più grande partito del centrosinistra.
I risultati si vedono. Se da premier qualcosa ha fatto (si può discutere), da segretario del Pd è riuscito solo a distruggerlo. I maligni dicono che forse era proprio questo che voleva. Può darsi. Ma se non vivono i partiti, non vivono neanche le democrazie. Non si sono mai viste democrazie senza partiti. Solo dittature.★
LA PAGELLA
Beppe Sala: voto 5
Stefano Parisi: voto 7
Giuliano Pisapia: voto 8
Letizia Moratti: voto 6
Piero Fassino: voto 5
Virginio Merola: voto 5
Matteo Renzi: voto 5
Pd: voto 4
Aldo Savoldello in arte Silvan: voto 8,5