Studi d’artista — 02
Francisco Goya e Gustave Courbet

Considerazioni ed esempi
sullo spazio di lavoro
dell’artista lungo i secoli

Lo studio per l’artista è uno spazio unico, luogo di creazione, di estraniamento dal mondo esterno dove egli può isolarsi dal mondo e ritrovare sé stesso, qui spesso anche gli oggetti, oltre gli strumenti di lavoro, sono fonte d’ispirazione e di meditazione. Numerose testimonianze rivelano la particolarità di questa realtà, che, spesso, nel passato, è stata dipinta e, nel secolo scorso, fotografata. In questa puntata vediamo come accadimenti storici e personali influirono potentemente nello spazio di creazione di due grandi artisti, Goya e Courbet.

Francisco Goya (1746-1828)
Le Pitture Nere della Quinta del sordo

Nel 1792 una grave e inspiegabile malattia conduce il pittore ad una completa sordità. La grave menomazione fisica lo porta ad isolarsi e a ritirarsi completamente dalla vita di corte. L’instaurarsi del regime borbonico e le conseguenti restrizioni del nuovo governo accrescono questo suo desiderio di isolamento.

Nel 1819 Goya acquista nei dintorni di Madrid una casa di campagna che, ironia della sorte, è conosciuta come la Quinta del Sordo. Forse voleva anche isolarsi per non rendere di dominio pubblico la sua convivenza con Leocadia Weiss. Prima di potervisi trasferire si ammala di nuovo gravemente come era avvenuto nel 1792. Nell’autoritratto del 1820, in cui si ritrae insieme al medico che gli ha salvato la vita, il pittore appare molto più vecchio dei suoi 73 anni. In questo dipinto, oltre all’artista e al suo medico, inquietanti figure popolano lo spazio, sono esseri presenti solo nella mente delirante di Goya malato.

Chi lo salva e lo sostiene non è una presenza divina ma un altro uomo.

Le consolazioni date dalla religione, le promesse dell’illuminismo, l’amor di patria tutto è aleatorio e deludente.

L’idea di aver sfiorato la morte gli dà una nuova libertà di espressione al di fuori di regole e convenzioni. Il risultato saranno appunto Le pitture nere degli ultimi anni.

Esse vengono stese sui muri dei due piani della casa. Le pitture di questa casa-atelier sono chiamate nere per la predominante presenza del non-colore nero. Goya elimina quasi del tutto i colori come farà il suo connazionale Picasso cent’anni più tardi per rappresentare la tragedia del massacro nazista di Guernica (1937).

Sono dipinti che scaturiscono da una necessità interiore e improrogabile. La critica li ha paragonati ai disegni, che per gli artisti sono spesso attività privata e di ricerca.

Il fatto che Goya li dipinga in solitudine sulle pareti di casa sottolinea anche la propria rinuncia a renderli pubblici.

Attraverso l’arte esorcizza i suoi demoni, cerca di liberarsi dalle sue cupe ossessioni.

Goya vivente non le menziona mai né negli scritti né alle persone amiche. Per la prima volta nella sua vita non si rivolge ai suoi contemporanei ma le immagini sembrano destinate soltanto a lui, un diario privato.

L’artista lascia che i demoni del suo inconscio, della sua anima prostrata e disillusa si materializzino in immagini.

Dipinge per liberare l’anima e non per condividere, tanto che una volta dipinti i muri dei due piani della casa la lascia in eredità al nipote e inizia una vita altrove.

Le pitture nere sono il polo opposto dei giocosi cartoni per arazzi che avevano caratterizzato l’inizio della sua attività artistica.

Che cosa queste pitture realmente rappresentino è una domanda destinata a rimanere senza risposta; tanto più che alcuni riquadri della “Quinta del Sordo” risultano mutilati e una scala decorata che collegava le due stanze è scomparsa.

La produzione di Goya è costantemente percorsa da streghe che festeggiano il sabba, folli, malati e scene di violenza inaudita.

Forse gli esseri grotteschi con cui Goya trascorre gli ultimi anni della sua vita hanno una dimensione più satirica che tragica e servono a dargli sollievo.

Gustave Courbet (1819-1877)

Scrisse di sé: «Non ho fatto parte di alcuna scuola, di alcuna chiesa, di alcuna istituzione, di alcuna accademia e men che meno di alcun sistema».

Uno di quadri più importanti e più emblematici di questo artista molto indipendente ed anarchico è sicuramente: L’Atelier dipinto tra il 1854-55. L’artista prende a pretesto il dipinto per un’indagine di carattere storico su alcuni dualismi: povertà-ricchezza, uomo-donna, arte-vita per citarne solo alcuni.

L’Atelier è solo un travestimento per indicare un nuovo modo di intendere la pittura ad una società nuova quale quella che si andava sviluppando nella seconda metà dell’ottocento e che porterà alla nascita dell’Impressionismo.

Il punto mediano dell’enorme tela (cm 359x598) è costituito dal pittore davanti al cavalletto. La figura femminile nuda alle sue spalle è la Verità a garantire la sua opera insieme al bambino-innocenza. L’artista aggiunge al titolo Allégorie Réelle déterminant une phase de sept années de ma vie artistique (et morale) — gli anni dal 1848 al 1855 — e questo ci dà un indizio ulteriore, in quanto il 1848 è l’anno della rivoluzione borghese contro la presidenza di Luigi Bonaparte, che aveva fondato un regime autoritario e limitato le libertà repubblicane.

Secondo Werner Hofmann, Courbet nel suo quadro mostra al pubblico «una sorta di contro-esposizione all’interno dell’esposizione». Quindi «L’Allegoria reale» rappresentata nel dipinto si contrappone all’allegoria messa in scena dal despota Luigi Bonaparte.

Solo l’artista agisce, gli altri sono statiche presenze o spettatori passivi e mancano di qualsiasi legame tra loro. A destra sono ritratti gli amici, i lavoratori, gli amanti del mondo dell’arte, a sinistra un rabbino, un prete, un vecchio, un cacciatore, un ebreo, un curioso, un buffone, ragazzo di strada, disoccupato.

Il pittore al cavalletto produce una nuova realtà e quello che produce è spirituale e realizzato in piena autonomia. Solo l’artista fa qualcosa che è sotto gli occhi di tutti e a tutti appartiene.

Al cavalletto l’artista dipinge e ridesta la natura e ne viene a sua volta rigenerato. Per Courbet il centro di tutto è la donna che non è musa, ma natura rigenerante e origine del mondo che rappresenterà in un altro famoso dipinto: L’origine del mondo del 1866.

Francisco Goya (1746–1828), Goya curato dal dottor Arrieta …

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