Studi d’artista - 04

Gli opposti cubisimi di Picasso e Braque

Lo studio non è soltanto uno spazio fisico, è soprattutto spazio mentale, lo studio è l’artista come sosteneva il pittore cileno Sebastian Matta che traendo spunto da Luigi XIV diceva: «Lo studio sono io». In questa puntata del nostro viaggio immaginario negli studi, e nelle vite, dei grandi artisti, visitiamo i molti atelier, le molte polveri, e le molte donne di Pablo Picasso; e gli spazi chiari e razionali di Georges Braque.

Gli atelier alcova
di Pablo Picasso (1881-1973)

COSMOPOLI — Nessuna definizione si adatta meglio a Pablo Picasso, l’artista che ha attraversato e condizionato l’arte di tutto il novecento. La tumultuosa biografia di Picasso s’intreccia con le donne che furono tutte sue muse e gli atelier che furono alcove oltre che luoghi di vita e di lavoro.

Della sua opera Picasso ha scritto poco, ma diverse sono le testimonianze delle compagne che gli furono accanto.

Fernande Olivier, sua prima convivente così descrive lo studio di quel tempo: «Dal 1903 al 1912 una scomoda casa di legno, soprannominata Bateau-Lavoir, al numero 13 di Rue Ravignan, a Montmartre, ospitò pittori, scultori, letterati, comici e attori…
Un ghiacciaio d’inverno e una stufa d’estate».

Fernande conosce l’artista alla fine del periodo blu e rimane colpita e attratta dalla sua opera. L’atelier è pieno di tele incompiute, in un grande disordine di cose ed opere che sarà il motivo dominante di tutti gli studi di Picasso.

Compagna degli anni di miseria e di gioventù Fernande ricorda quel tempo come il più prezioso della sua vita.

Nonostante il trasloco in un appartamento più dignitoso in Boulevard Clichy, Picasso non volle disfarsi del suo vecchio studio e ci andava tutti i giorni non solo a dipingere ma per incontrare altre donne. Nella vita di Picasso il cambiamento di studio segnò spesso anche l’inizio di una nuova avventura amorosa.

Lo studio di Boulevard de Clichy viene ancora una volta descritto dalla sua compagna Fernande: «Ora lavora in un grande studio ben areato nel quale nessuno entra senza il suo permesso, dove è proibito toccare qualunque cosa e dove bisogna rispettare un disordine che non fu mai sapiente, variopinto, intrigante».

L’abbandono di Fernande e l’incontro con Eva vide anche il passaggio dal cubismo analitico a quello sintetico, ma è con Fernande che Picasso dipinse il quadro che segna l’inizio dell’arte moderna e del cubismo: Les Demoiselles d’Avignon 1907. Con Eva viaggia a Ceret e poi a Sourges e infine ritorna a Parigi. Eva morirà nel 1915. Gli ultimi quadri che hanno come tema Eva rivelano l’angoscia e il turbamento dell’artista.

Un’altra caratteristica comune a tutti gli studi che l’artista occupò nella sua lunga e appassionata storia artistica riguarda la polvere. Molte storie si tramandano a tale proposito da quando ventiduenne ritornò a Barcellona e la madre gli ripulì i vestiti mentre dormiva. Picasso si arrabbiò molto perché lo aveva privato della polvere parigina.

La polvere era per lui il tempo, la memoria: «La terra non ha una cameriera che la spolveri… Tutto quello che ci è stato tramandato dal passato è la polvere che l’ha salvato».

La polvere, per Picasso, preservava il suo particolare ordine delle cose. «Il modo in cui l’artista sistema gli oggetti che lo circondano rivela tanto quanto i suoi quadri».

Molte sono le rappresentazioni di atelier da parte di Picasso e altrettanto ricorrenti e numerosi i dipinti che rappresentano il pittore e la modella nello studio.

In Picasso come in Cézanne vi è l’ansia di collocare la pennellata giusta al suo posto in relazione unica e permanente con lo spazio circostante.

Una svolta nella vita di Picasso avvenne quando creò le scenografie di Parade, uno dei balletti russi di Dialighev. Fra tutte le ballerine pensò di aver conosciuto la donna giusta per lui e nel 1918 sposò Olga Koklova.

Gli sembrava di aver trovato una donna vera, diversa dalle prostitute, cocotte e modelle che aveva conosciuto fino ad allora.

La casa che Picasso aveva a Montrouge non piaceva ad Olga così andarono a stare in Rue La Boetie, una strada elegante. Erano i felici anni venti, un’epoca di grande fermento e la moglie trascinò Picasso a conoscere la buona borghesia parigina. Il rapporto burrascoso e infelice con Olga, nonostante la nascita di Paulo, portò Picasso a soggiornare a La Boetie e lasciare ad Olga il castello di Boisgeloup.

Picasso rimpiangeva la vita bohème e ben presto si consolò con Marie Thérèse.

Da quanto si ricava dagli scritti e dalle testimonianze i cambiamenti non furono mai né semplici né indolori. La sofferenza della fine del matrimonio portò Picasso ad una profonda depressione e all’incapacità di lavorare per un lungo periodo di tempo.

La giovanissima e bionda Marie Thérèse era una adolescente gioiosa e spensierata. Nel 1928 numerosi sono i collage di un minotauro mostruoso nel quale l’artista si identifica e si sente prigioniero nel labirinto dell’infelice legame con la prima moglie.

Nel 1931 Picasso comprò il Castello di Boisgeloup in Normandia grigio e severo, il portale introduce in un grande cortile, vicino all’ingresso vi è una elegante piccola cappella gotica. È una grande imponente dimora di pietra grigia con un tetto di ardesia, l’enorme austero spazio rispondeva al suo stato d’animo e alla necessità di avere un nuovo studio per scolpire le enormi teste che ritraevano Marie Thérèse.

A Parigi portò la nuova amante a Rue la Boetie, la giovane adolescente era diventata la sua musa, le creature mostruose scomparvero per lasciare il posto a morbidi nudi femminili. Nel 1933 salì al potere Hitler, nel 1934 nacque Maya la sua secondogenita figlia di Marie Thérèse, Picasso non dipinse nulla fino al 1936.

All’inizio della guerra civile spagnola lo stato di sopore dell’artista nei confronti della politica finì, il drammatico bombardamento di Guernica lo portò ad accettare di eseguire un murale per il Padiglione Spagnolo del governo repubblicano di Manuel Azana.

Nella sua vita entrò la fotografa Dora Maar che gli trovò anche un nuovo studio per lavorare al murale commissionato per il Padiglione Spagnolo.

Lo studio era in Rue Des Grands-Augustins n. 7, un sottotetto di duecento metri quadri ( è notizia di questi giorni come i proprietari della famosa soffitta hanno sfrattato l’associazione culturale che l’occupava e ne conservava la memoria perché diventi un albergo).

La testimonianza di questo nuovo studio è di Dora la fotografa e una delle compagne più intelligenti di Picasso.

«Una bella facciata sobria e patrizia. All’interno scale e corridoi. Vecchie stufe panciute e scalini consunti. Nel giro di poche settimane l’onda picassiana dilagò a poco a poco in tutte le stanze e il Minotauro non tardò a farci la sua tana. Era incapace, come me di disfarsi di checchessia; d’altra parte le sue capacità di accatastamento e di riciclo andavano oltre ogni misura umana».

Qui Picasso dipinge Guernica: otto metri di larghezza e tre metri e mezzo di altezza. Dora fotografa tutte le fasi della realizzazione dell’opera, è la musa tragica, la testimone della nascita di uno dei capolavori di Picasso. Egli esprime il dramma della guerra, della cieca violenza e per dirlo utilizza le figure della corrida : il cavallo e il toro simbolo di brutalità, anche la tavolozza esprime il lutto:bianco e nero. Lo sfondo sinistro della guerra e delle privazioni è presente in molte opere di questo periodo.

Nel 1945 l’artista si dedica all’incisione nel laboratorio di Mourlot. Fin dalle prime litografie compare un volto nuovo quello di Francoise Gilot è il nuovo sole, è il ritorno alla vita.

A Vallauris quieta e ridente cittadina di provincia va ad abitare nel 1948 con Francoise ed il piccolo Claude. Nel Midi ritrova i contrasti di luce tipici dei pittori spagnoli, la limpida aria del meridione gli impone una visione nitida e precisa. La villa La Galloise di Vallauris alta sulle colline è un edificio giallo a due piani, sul pavimento a piastrelle moresche del suo studio-salotto giacciono nuovi dipinti, alle pareti i suoi ricordi. Uno scaffale è sovraccarico dei più svariati oggetti, ovunque lo stesso disordine di Parigi. Lo studio non ha molta luce, la luce non sembra un elemento fondamentale per Picasso che lavora prevalentemente di notte. Qui sulle colline della Costa Azzurra è vicino alla Spagna è di nuovo felice accanto alla sua donna-fiore o donna-sole.

Le sue case, i suoi atelier rivelano lo stratificarsi della sua lunga vita.

Le muse, le modelle, gli atelier di Picasso possono sembrare eccessivi, Paul Eluard ne dà una sorta di spiegazione: «Picasso ama intensamente, ma uccide ciò che ama».

Egli fu uno spirito libero ed indipendente, che non ha mai obbedito a nient’altro che alla tensione creativa.

Nel 1955 lascia lo studio di Vallauris e si trasferisce a Cannes in una villetta piena di sole: La Californie, un edificio Belle Epoque. Stanze ampie, luminose con grandi vetrate, vuole fuggire da tutti dopo che Francoise l’ha lasciato portando con sé i bambini. Qui ritrova la calma, a settantaquattro anni si è rimesso a dipingere con nuova lena, Jacqueline è entrata nella sua vita. La Californie è un’abitazione laboratorio, un museo, qui stipati stanno tutti gli oggetti che lui ama: non solo mobili, quadri ma anche un numero inverosimile di cose a lui care, tutto il suo paesaggio interiore come è ben rappresentato in numerosi dipinti che rappresentano La Californie.

Nel quadro Atelier de la Californie 1961 spicca al centro una tela vergine, a destra un ritratto di Jacqueline in costume turco, una scultura e il motivo decorativo delle finestre che unisce la composizione. Nel 1958 l’artista annuncia all’amico collezionista Kahnweiler: «Ho comprato la Sainte Victoire!»

Nell’antico castello di Vauvenargues può vedere la montagna amata da Cézanne.

Ogni volta egli deve distruggere l’ultimo volto amato, liberarsi da tutto quello che glielo può far ricordare per ricominciare di nuovo, è un’ansiosa continua ricerca di libertà: «Io provo un certo orrore delle cose finite. La morte è qualcosa di finito. Ciò che è incompiuto è vita.»

Picasso sorprende sempre perché ha capito il ritmo, la velocità del secolo scorso, fino alla fine delle sua vita non smetterà mai di creare, di cambiare, perché finire sarebbe stato per lui cedere alla morte.

Cubismo di Georges Braque (1882-1963)

Lo studio di questo protagonista della nascita del Cubismo insieme a Picasso era in Normandia vicino a Dieppe, a Varengeville. La luce dello studio è mitigata da vetrate di un bianco latteo.

Semplicità, pulizia, ordine, l’artista ha diviso lo studio in settori separati, ciascuno dedicato ad una funzione diversa: spazio per il disegno, l’incisione e l’acquarello e la pittura. Anche Braque prende ispirazione da oggetti sparsi tutt’intorno quali scudi polinesiani, sculture etrusche, tappeti indiani e anche oggetti provenienti dalla natura come stelle marine, pietre particolari, frammenti di ossa.

Dalle vetrate si vede la grigia distesa dalla spiaggia nordica, ghiaiosa, con gli scogli incombenti che gettano ombre più scure.

Ovunque i colori delle terre e i grigi tanto amati dall’artista.

Anche la facciata in mattoni ripropone il beige e marrone e le porte e le finestre sono ornati da elementi neri in ferro battuto.

Tutto emana la sensazione di ordine e un lusso contenuto.

Gli atelier dei due protagonisti del cubismo non potrebbero essere più diversi.

Per Braque dipingere è una meditazione, il quadro si fa nella testa, la pittura è solo una restituzione.

Ventitré secoli dopo Platone, Braque, con la meditazione, ha realizzato l’immagine pittorica dell’anima, creatura alata che si libra verso l’alto. L’uomo ha bisogno di ali per elevarsi, librarsi nel cielo della speranza.

Il tema di Braque della serie degli uccelli è il tema della solitudine, ma nella sua prigione l’uomo vede un tratto di cielo, di luce verso cui l’anima può volare. L’uccello bianco di Braque è il simbolo delle più pure aspirazioni dell’uomo, l’eterna speranza, di elevarsi e purificarsi. Braque nel cubismo è rigoroso, metodico, le forme si giustappongono. Per questo artista solitario e riflessivo i rapporti di forme e colore sono un fatto non più sensorio, ma mentale. Il messaggio di Braque è semplice: «Nell’arte conta una cosa soltanto quello che non si può spiegare».

Pablo Picasso nell'atelier di Rue Des Grands-Augustins n. 7…

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