Studi d’artista - 07

Scultori a Venezia: Alberto Viani e Giorgio Zennaro

Viani e Zennaro ebbero molti tratti in comune anche se vent’anni li separavano. Entrambi maestri ed insegnanti, entrambi, agli inizi del loro operato artistico, avevano guardato ad Arp, Brancusi, Moore, Pevsner. Entrambi perseguirono per tutta la vita una ricerca della forma nella sua purezza e nella sua semplicità. Entrambi erano abili nel creare manualmente le loro opere. Entrambi subirono e furono influenzati dal fascino arcano di Venezia. Entrambi credettero nella ricerca di forme sempre nuove.

Entrambi si posero il problema spazio-temporale della scultura. La pura spazialità, in entrambi, fu l’idea a priori che poteva inquadrare una esperienza cosciente della realtà. Entrambi furono seguiti da un critico veneziano importante e conosciuto a livello internazionale: Giuseppe Marchiori.

Alberto Viani
(Mantova 1906- Venezia 1986)

Nel 1952 Sergio Bettini scrisse: «La scultura di Viani è il grafico del tempo di Viani, cioè del suo sentimento, il quale prende forma in uno spazio ch’esso stesso viene creando, con una crescita si direbbe spirale o elicoidale, riassumibile in quella linea-limite che non può avere,ovviamente, principio né fine». Altrove la critica di Giuseppe Marchiori evidenzia come il purismo di Viani sia un raggiungimento dello spirito, la conquista di una spiritualità stilistica «tagliente come le faccette di un diamante».

Viani ebbe anche il merito di staccarsi dal regionalismo, provincialismo imperanti nella scultura italiana del tempo per essere europeo.

La scultura di Viani ha uno sviluppo molto più articolato e diramato rispetto al semplice riferimento ai grandi protagonisti delle avanguardie, l’artista ha un suo percorso che si allontana dalle forme fitomorfe per concentrarsi sui nudi maschili e femminili che egli sviluppa lungo tutto il suo percorso artistico che è un processo continuo di riduzione ed essenzializzazione della forma che più che scolpita sembra disegnata nello spazio.

Lo studio di Viani era all’Accademia di Belle Arti, una significativa foto di Ugo Mulas lo ritrae seduto con i guanti di lavoro circondato dai suoi gessi imponenti del 1966 fra cui La grande madre e il Grande Idolo.

Nella suggestiva foto in bianco e nero lo scultore appare piccolo, quasi intimidito e perplesso a contemplare queste arcane, misteriose, grandi sculture in gesso che lo sovrastano e lo circondano.

Laconico, riservato, lo scultore medita lungamente e pone in opera il progetto soltanto quando ogni elemento è perfettamente chiarito, quando non esiste eventualità che altre occasioni possano mutare l’opera. Quando nulla può esser più aggiunto o tolto a modificare la scultura.

Sicuro, ma indubbiamente problematico il cammino di Viani animato e sempre aperto verso nuovi orizzonti, verso un’estensione ed una apertura sempre più ampia dello spazio, con forme che divengono via via lamellari e acuminate.

Le bagnanti e le Grandi odalische degli anni settanta sono, a mio avviso il punto più alto e significativo della poetica dell’artista. «…la poesia di Viani diverge dalla pura sperimentazione sui valori di spazio e di tempo, come dal naturalismo organico di Arp: per Viani spazio e tempo non sono altro che pensieri umani, e come tali riducibili alla storia». (Giulio Carlo Argan) Kouroi e Korai del nostro tempo i bianchi e levigati torsi di questo scultore non evocano la nostalgia di un’Arcadia perduta, ma ci ricordano un ideale di bellezza per placare l’inquietudine assillante della realtà contemporanea.

Giorgio Zennaro
(Venezia 1926-Venezia 2005)

Tutta la vita e l’opera di questo artista è strettamente legata alla città di Venezia. Come Viani la sua è una ricerca costante della forma. Le forme di Zennaro sono però modulari, poste in sequenza a scandire un ritmo e un dinamismo che evoca il movimento dell’acqua che si frange sulla riva, dell’onda che s’innalza in un movimento ritmico e continuo.

Le sue forme, a differenza della classica staticità di Viani, si inseriscono nello spazio con slancio, talvolta con aggressività ad esprimere la drammatica ricerca di liberazione dell’uomo.

Egli, che ha vissuto giovanissimo la tragica realtà della guerra, della distruzione, vede come unica alternativa all’alienazione della società, alla crudeltà della morte il porsi dell’uomo nel divenire delle cose. Questo volgersi spiritualmente all’azione è drammatico, per Zennaro solo il dramma dà all’uomo la consapevolezza della continua modificazione dell’essere con quello che è al di fuori di noi.

Egli usa tutti i materiali: marmo, bronzo, ottone, legno, ferro e sostituisce il vetro della tradizione artigiana lagunare con il plexiglas, che nei suoi riflessi restituisce, in parte, il fascino immaginativo dell’acqua della laguna. Nelle successioni e interpolazioni curvilinee delle strutture la luce gioca un ruolo importante e lascia intravvedere il nascere della traccia formale dal ed entro il vuoto.

Zennaro ha avuto inizialmente studi in casa, in cantina, dove molti gessi e strutture filiformi sono andate distrutte dall’acqua alta. Negli anni settanta il gallerista Ravagnan gli mette a disposizione un ampio spazio, una vecchia cavana, da cui vengono ricavati due ambienti: uno molto vasto con porta acquea per poter agevolmente trasportare e spedire le opere, e un altro più piccolo con soppalco dove l’artista disegna e progetta. Qui viene posta anche una comoda poltrona riservata ai visitatori, ma soprattutto al suo vecchio amico il critico d’arte Giuseppe Marchiori.

Nello studio completamente rivestito di perline di legno, per isolarlo parzialmente dall’umidità, l’artista ha i suoi colori, i pennelli e le matite appuntite ed ordinate in modo quasi maniacale. Una biblioteca raccoglie i cataloghi ed i libri degli artisti più amati, sulle pareti i suoi quadri, alcune foto che lo ritraggono all’inaugurazione delle mostre più importanti.

Il soffitto non molto alto e caratterizzato da un ampio arco fa pensare a una cuccia calda e avvolgente, un isolato pensatoio lontano dalla realtà quotidiana ma dove l’artista con grande disponibilità accoglieva tutti quelli che volevano vedere le sue opere o semplicemente parlare con lui.

Questo studio che l’artista occupa fino alla fine degli anni ottanta viene improvvisamente venduto e dismesso dal gallerista e Zennaro ritorna a lavorare in casa a Castello dove si era nel frattempo trasferito. In una delle stanze più ampie e luminose del piano nobile l’artista colloca le sue opere ed i suoi quadri che diventano negli ultimi anni la parte più importante del suo lavoro.

Dal 1968 Zennaro persegue e crea infinite, dinamiche varianti delle sue Sequenze plurime che nel loro ritmico ed ampio succedersi occupano lo spazio-ambiente. L’opera plastica di Zennaro è un’articolazione tramata e ritmica dello spazio. Le sue sculture sembrano assorbire e rimodulare la realtà circostante dissolvendosi in essa. Come le note in uno spartito gli elementi plastici scandiscono in sequenza lo spazio interrotti talvolta da un elemento contrario ed opposto, un contrappunto.

La forma per Zennaro è comunicazione e liberazione esistenziale per creare una realtà nuova e dinamica, una continua progettualità perché la morte dello spirito sta nel fermarsi a posizioni ormai raggiunte per profitto, per pigrizia.

Alberto Viani nel suo studio all'Accademia di Belle Arti a…

Studi d'artista - 07