Tempi
difficili

Anche non considerando che sono almeno trent’anni che ogni volta che chiedo soldi a qualcuno egli mi risponde che non ne ha perché c’è la crisi, e invece a me tocca di tirar fuori delle carte da cento euro un giorno sì e uno no come se me le stampassi in casa. Tralasciando ciò, viviamo tempi difficili. Difficilissimi. I fuochi del Redentore quest’anno saranno più corti, per risparmiare.

Ed è nei momenti difficili che il pensiero diagonale ci può confortare.

Il grande maestro di questa misconosciuta scuola di pensiero, che ha avuto un solo scolaro (cioè io) e pure a sua insaputa, il conte Emile, egli che non si curava poi tanto del denaro perché aveva cose molto più importanti cui pensare, soleva dire, narrando della caduta della Repubblica Serenissima di Venezia, che fu direttamente causata (la caduta, non la repubblica) dalla sciagurata rivolta degli impiegati di concetto, delle portinaie, dei rivenduglioli di corbellerie, dei graduati di truppa, dei furieri e degli stagnini, la sommossa ghigliottinaia che viene comunemente chiamata Rivoluzione Francese. Bene, di questa miserevole caduta veneziana, e del bieco dissanguamento che i libidinosi francesi popolari e i bigottissimi austriaci burocrati fecero poi delle spoglie della Repubblica, il conte Emile soleva dire che:

«Eppure nella terribile miseria seguita alla caduta e poi alle ruberie e ai vandalismi di francesi e austriaci prima e poi ancora di francesi e austriaci, ebbene in questa miseria ci sono stati dei lati positivi. Prima di tutto Venezia non sarebbe stata così decadente e romantica come tutti la immaginano. Per esempio John Ruskin non avrebbe potuto scrivere Le pietre di Venezia, o William Turner non sarebbe venuto a dipingerci i suoi quadri, Mariano Fortuny non vi avrebbe mai abitato e figuriamoci poi tutti i turisti famosi, i grandi potenti, i nobili, i poeti, gli scrittori, i pittori, gli scultori, i musicisti e insomma tutti gli artisti di tutto il mondo».

A questo punto il conte Emile faceva una delle sue abituali lunghissime pause d’effetto, durante le quali fissava i suoi limpidissimi occhi di dolce color d’oriental zaffiro dritti dritti in quelli dell’interlocutore, scrutandolo fino in fondo all’anima per sincerarsi che avesse capito.

«Ma soprattutto la più grande fortuna è che non c’era un soldo per i restauri. Pensate! Se solo avessero potuto disporre delle somme necessarie: avrebbero sventrato tutti i palazzi, diviso tutti i piani nobili, ricavato stanzette per sartine, tinelli dove giocare con i bambini e i cani, angoli lettura per leggere le pagine economiche o i romanzi d’appendice dei quotidiani; e sale da pranzo minuscole con in mezzo un tavolo tondo da sei coperti e sopra il tavolo un lampadario economico a cinque bracci e gocce in cristallo a stampo di Murano, con le sedie Thonet e nell’angolo un’alzatina per una piantina di violette. E poi sarebbero infine inevitabilmente passati ad interrare tutti canali per poterci correre prima a cavallo e poi in bicicletta ed infine in automobile e in motocicletta. E invece, fortunatamente, non avevano il becco di un quattrino e tantissimi tesori inestimabili si sono conservati in questa città grazie alla miseria e all’ignoranza dei contemporanei dell’epoca».

E comunque i fuochi dell’anno scorso erano meglio. ★

Tempi difficili