Un doloroso
spargimento

Le inaspettate conseguenze dello spread

Parola a larghissima distribuzione, si è disseminata nelle nostre giornate seminando inquietanti interrogativi e spargimenti d’ansia. Che cosa vorrà dire? E da dove viene fuori?

Più piccolo è meglio. A tutti gli assilli quotidiani degli italiani si è aggiunto lo spread: quanto grande sarà oggi? Maggiore o minore di ieri? Anche se non sembra, è più preoccupante del prezzo delle moleche a Rialto. Le moleche potete anche fare e a meno di comprarle, ma lo spread lo pagate lo stesso anche se non sapete nemmeno cos’è. E di sicuro è meno buono.

Si potrebbe dire «differenziale» ma ovviamente non sarebbe abbastanza figo e finanziario. In più ha un’aria da officina meccanica e a chi si avvicina o ha superato il mezzo secolo ricorda le classi medie differenziali dove minacciavano di cacciarci a causa della nostra ignavia. Anche «differenza» andrebbe bene; ma pare evidente che nessuno capirebbe cosa vuol dire la frase: «la differenza tra le quotazioni dei titoli di stato italiani e tedeschi è oggi aumentata (o diminuita)». Altrimenti tutti direbbero così. «Scarto» sarebbe anche peggiore: oltre ad essere ugualmente incomprensibile potrebbe confondersi con un «rifiuto».

L’uso di «spread» con il significato di «grado di variazione» è attestato nell’inglese americano al partire dal 1929, data non casuale. È una specializzazione da uno dei tanti usi della parola «spread» che si usa per indicare la «diffusione» la «dispersione» di qualcosa, come una malattia o un’idea; ma anche l’effetto di «spalmare» una crema sul pane (dal 1812); o più recentemente una foto su due pagine; per estensione, nel 1822 si indica anche un «pasto abbondante», ancora negli Stati Uniti (dal 1927) un ranch molto vasto per l’allevamento bovino e persino un «copriletto lavorato», e inevitabilmente la distanza che intercorre tra i due limiti di qualcosa, spalmato o meno su una superficie, concreto o figurato.

Il verbo «to spread» è molto più antico e, con il significato di «allungare, distendere, distribuire, espandere, disseminare» è attestato a partire dal 1200; il nostro equivalente etimologico più vicino è «spargere» che ne condivide l’area semantica e la storia etimologica. Ripercorrendo a ritroso il cammino della parola risaliamo al medio inglese spreden, dall’antico inglese sprǣdan, al protogermanico *spraidijanan (l’asterico sta a indicare che la parola è una congettura) per arrivare alla radice protoindoeuropea *(s)per-. Se da qui ripartiamo nelle lingue latine e romanze arriviamo, su su per i rami delle diverse parentele, attraverso il greco σπείρω che significa «spargere, spandere, diffondere, sparpagliare» e finalmente anche «seminare», al nome prima greco σπέρμα e poi tardolatino sperma che significa appunto «cosa sparsa, seminata».

Da qui si potrebbe anche arrivare alla frase idiomatica tipica dei veneziani che si accorgono delle differenze di prezzo delle moleche al mercato di Rialto, o alle variazioni dello «spread» dei «bond» tedeschi contro i «titoli» italiani. Ma il pudore c’impedisce di continuare.

Un doloroso spargimento