La verve di Yoko Yamada

Tenete d’occhio questa ragazza

Al Teatro a l’Avogaria, nella riuscita rassegna di stand up comedy curata da Nicolò Falcone (giunta al sesto anno), Yoko Yamada conferma le sue grandi capacità affabulatorie con uno spettacolo esilarante sui grandi temi della vita: famiglia, lavoro, sesso, pandemia, religione, soldi, futuro.

Yoko Yamada (fonte: facebook).

VENEZIA (l.c.) — Se dopo molti giorni vi vien da ridere quando vengono in mente le battute, vuol dire che la comicità funziona. È il caso proprio di Yoko Yamada e del suo spettacolo, un lungo monologo in bilico tra dura realtà e fantasia sfrenata, che fa ridere (e pensare) durante e dopo la serata. E anche prima, futuramente, sperando di rivederla da vivo presto.

Un pantheon familiare tra Oriente (il papà sessatore di polli e filosofo zen stralunato) e Occidente (la mamma iper palestrata e ultra manager casalinga); con una sorella (germofoba o germofobica) che è il doppio antagonista (tipo Loky con Thor) della protagonista.

Storie su storie, aneddoti e incisi, divagazioni e illuminazioni condotte con magistrale padronanza del palcoscenico, verbale e fisica: un racconto esilarante che tocca tutti i temi che in altri luoghi e momenti diventano tragedie (lavoro sottopagato, futuro incerto, pregiudizi sociali sessuali e religiosi, restrizioni e nevrosi da covid).

Strepitosa l’imitazione e la creazione del padre nipponico (perfetta la fonetica, ovviamente); abbaglianti le etimologie assolutamente inventate e spietatamente farlocche; irresistibile la ricostruzione umoristica del crudele sfruttamento degli esseri umani nel luccicante mondo dell’ipermercato del superfluo; gli equivoci arcaici sulle scelte sessuali; l’inconsistenza delle religioni al vaglio delle diverse culture.

Come detto: c’è molto da ridere e forse ancor di più da pensare (ma di questo potete anche fare a meno, se volete).

Se proprio dobbiamo trovare un pecca (piccola però): l’inizio, o prologo, o preambolo — come volete voi — risulta un po’ macchinoso e superfluo. Non tanto per lo svolgimento, quanto per un’impressione di stereotipato, subito cancellata però dal resto dello spettacolo, rutilante di deliziosa originale immaginazione.

Bresciana di nascita, veneziana d’adozione, giapponese per metà con tutti gli equivoci e i fraintendimenti (qualche volta utili) che ne derivano. Purtroppo non citeremo nessuna delle battute di Yoko Yamada che continuano a ripresentarsi alla mente: qua non si fanno spoiler. Andate a vederla appena possibile.


 

La verve di Yoko Yamada