Avevo un cuore che
ti amava tanto
In ricordo di Mino Reitano
Un libro di prossima pubblicazione, «Mino Reitano…e la storia continua», racconta la vita e la carriera di uno dei cantanti più amati dagli italiani, con aneddoti, foto e particolari inediti. Lo ha ideato il fratello Gegè, per tutta una vita batterista della sua band. Pubblichiamo un ricordo di Mino Reitano, e dei suoi esordi al Lido di Venezia, dove iniziò la sua folgorante avventura, scritto dal suo amico musicista Marino Sartori, frontman dei «Chewing Gums», i Beatles della laguna. Tra musica e scherzi, partite notturne di calcio, e iniziative benefiche.
LIDO DI VENEZIA - “Mino Reitano…e la storia continua”. Questo il titolo di un libro che uscirà prossimamente, e che racconterà la vita e la carriera di uno dei cantanti che più sono rimasti nel cuore degli italiani. Lo sta preparando il fratello Gegé, batterista della band “Mino Reitano and his Brothers”, che ha suonato con lui per tutta la vita. Un libro ricco di aneddoti, foto e particolari inediti. Perché Mino aveva un cuore grande. Un “cuore che ti amava tanto”, proprio come il titolo del brano con cui nel 1968 Beniamino Reitano detto Mino, nato a Fiumara, in Calabria, nel 1944, ha iniziato la sua scalata al successo. Fu il suo riscatto di uomo dalle umili origini, e con tanta musica che scorreva nel sangue di tutta la sua famiglia, dal padre Rocco -ferroviere, clarinettista e maestro della banda musicale del paese- fino ai suoi fratelli, Franco, Antonio, Gegè, Mimmo e Valentino.
Lo incontrai nel ‘66, quando reduce dal successo del festival di Castrocaro, e di ritorno da qualche anno di ingaggi in Germania, dove si esibiva ad Amburgo nello stesso locale assieme a quel gruppo inglese emergente, che si chiamava “The Beatles” (sì, proprio loro!), venne accompagnato dall’ orchestra formata dai fratelli Franco, Antonio e Gegè, più Franco Minniti alla chitarra e Sauro al basso elettrico, a suonare nel lussuoso Hotel Excelsior del Lido di Venezia.
Durante l’ estate si esibivano nel pomeriggio sulla terrazza fronte mare, e la sera nell’ elegante night “Chez Vous” all’ interno dell’hotel, dove, dei severissimi portieri non ti facevano entrare se non eri vestito di tutto punto, con tanto di obbligo di giacca e cravatta. In quegli anni, sulla scia della nuova musica beat, imperversavano i “complessi”, quei gruppi musicali, spesso improvvisati, dove la passione aveva il sopravvento sulla reale tecnica musicale, e che a metà degli anni ‘60, crescevano come i funghi. “Mino Reitano and his Brothers” invece, non temevano questo cambiamento epocale, erano tutti degli ottimi musicisti che sapevano adattarsi perfettamente alla nuova musica, primo fra tutti Mino, che aveva una voce straordinaria, calda, un’ estensione e una potenza incredibile, un’ intonazione naturale perfetta. Per noi ragazzini, che volevamo diventare musicisti, era un modello da seguire.
In quegli anni, ero voce solista e suonavo la chitarra in un complesso che, tra il Lido e il centro storico di Venezia, faceva urlare le ragazzine e suscitava ammirazione (e qualche volta invidia) tra gli altri gruppi musicali, specialmente quelli che si stavano avvicinando a questo nuovo mondo.
Ci chiamavamo “The Chewing Gums” e tutte le domeniche e, per periodi più lunghi durante l’ estate, suonavamo nei posti più disparati, con “sconfinamenti” anche fuori territorio, come Jesolo, Bibione, Cortina d’ Ampezzo e perfino in tournée in lussuosi hotel della Svizzera. Nell’ estate del 1966, il Grand Hotel Des Bains , che faceva capo, come l’ Excelsior, alla C.I.G.A (Compagnia Italiana Grandi Alberghi), aveva adottato lo stesso metodo, con l’orchestra che di pomeriggio suonava affacciata sul mare, nella rotonda della Pagoda, e la sera nel salone delle feste del grande albergo amato da Thomas Mann e Luchino Visconti.
Qui suonavano i 5 Lisbon, di qualche anno più grandi. Anche loro validissimi musicisti, ma, a differenza di Mino, mancavano di quella complicità con il pubblico, di quel coinvolgimento che tanto serve a renderti partecipe, e a pensare che in quel momento stiano suonando e cantando solo per te. La nostra fortuna fu proprio che i Lisbon non erano proprio adatti alla nuova musica beat. Furono relegati all’ interno dell’ hotel per soddisfare il gusto dell’ anziana clientela, e in piena estate fummo chiamati noi per il pubblico giovane e desideroso di ascoltare un repertorio formato da musica dei Beatles, Animals, Rolling Stones e i gruppi italiani che andavano per la maggiore come l’ Equipe 84, I Dik Dik, I Camaleonti, I Rokes.
Fu veramente un successo. Pienone tutti i pomeriggi. I ragazzi lasciavano la spiaggia prima delle 17 per accaparrarsi un tavolino in prima fila, e quelli che arrivavano per ultimi dovevano accontentarsi di consumare in piedi o, tutt’ al più, al bancone del bar. Ci si poteva scatenare ballando lo shake, il twist, ma i balli più attesi erano i “lenti”, dove si poteva sentire il calore della pelle del proprio partner…e lì spesso scattavano baci appassionati che duravano anche quando la musica finiva.
Andando ad ascoltare Mino la sera, visto che al pomeriggio suonavamo in contemporanea, alcuni amici comuni ci presentarono. Erano i fratelli Paggiaro, anche loro quattro maschi: Renato, Giancarlo, Gilberto e Augusto, più la cugina Betty. Una delle prime sere che andai allo Chez Vous ad ascoltarlo, dal palco mi fece cenno di avvicinarmi, e tra una frase cantata e un inciso di chitarra , mi disse se potevo aspettare che finisse (verso le due di notte!…ma era estate!) che voleva parlarmi. Naturalmente acconsentii.
Mino e i suoi fratelli scesero dalle scale della dependance dove alloggiavano, vestiti in abiti borghesi. Si erano cambiati, dato che allora i complessi usavano indossare delle divise di scena. Mi chiese cosa bevevo prima di entrare al Lion Bar, l’ unico nei paraggi a chiudere a notte fonda, e con una bottiglietta di Coca Cola ghiacciata in mano mi disse: “Marino, riesci per domani notte a trovarmi otto o nove ragazzi per fare una partita di calcio?”. Lo guardai allibito. “Trovare dei ragazzi che giocano non è un problema. Ma dove pensi di poter andare a giocare in piena notte?… Lui, candidamente:”Qui davanti, nel piazzale del palazzo del cinema, che tanto adesso è chiuso, e lo spazio è bene illuminato”.
Non riuscivo a capire quale motivo potesse averlo spinto a farmi quella strana richiesta. Forse aveva veramente tanta voglia di giocare a pallone. O forse aveva saputo da qualcuno che la mia seconda passione, dopo la musica, era proprio il pallone. Comunque evitai di chiederglielo. Anche a me piaceva giocare. Il giorno dopo cercai tra i miei soliti amici qualcuno che fosse disponibile a giocare alle due della notte. Missione difficilissima, quasi impossibile, tutti dovevano rientrare a casa molto prima. L’ unico che riuscii a reclutare fu mio fratello Franco, e incerto se dare buca non andando all’ Excelsior quella sera, o andarci e spiegare, pure imbarazzato, che non ero riuscito a trovare i giocatori, optai per questa seconda soluzione. Quella sera il pallone lo portai ugualmente a dimostrazione della mia buona volontà. Più volte, durante la serata, evitai lo sguardo di Mino. A fine serata venne il momento di affrontarlo. “Mino, non sono riuscito a trovare i ragazzi”. “Non preoccuparti, ora li trovo io”, rispose molto deciso.”Ma il pallone l’ hai portato?“. Certo, l’ ha mio fratello, in macchina”.
Trovò quattro vittime da sacrificare nei fratelli Paggiaro, che pur non avendo molta dimestichezza con il pallone, non riuscirono a dirgli di no per l’ amicizia che li legava. Due Sartori più quattro Paggiaro da una parte, e sei Reitano dall’ altra, così le squadre erano fatte. Restava un piccolo problema tecnico: l’ abbigliamento non era proprio adatto, visto che qualche ora prima doveva passare la severa ispezione da parte della reception dell’ hotel. Altro colpo di genio da parte di Mino: “Rimbocchiamoci i pantaloni fino alle cosce. Noi Reitano rovesciamo le giacche, voi rimanete con le giacche dritte. Non era proprio comodo giocare con gli stivaletti con il tacco alto, come dettava la moda alla Beatles, ma il nostro entusiasmo ce le faceva migliori delle Adidas. Le porte le facevamo con altri indumenti o qualche oggetto che raccattavamo in loco. Ben presto i volontari per le nottate successive si fecero avanti, e così permisero qualche avvicendamento tra di noi. Gli unici sempre presenti: Mino, io, Renato Paggiaro e mio fratello Franco.
Qualche volta dalla Calabria veniva a trovare i figli papà Rocco, tanto lui, come ferroviere, viaggiava gratis. Quando veniva lo facevamo giocare in porta, così non doveva neanche stancarsi a correre, con quel caldo umido che faceva anche di notte. Il mio amico Roberto, anche lui appassionato di musica (suonava la batteria) e di calcio, che passava tutta l’ estate tra Pagoda, Terrazza dell’ Excelsior e Chez Vous„ quando non era impegnato a concludere la serata tra le capanne della spiaggia e la luna piena che si rifletteva sul mare, in compagnia di qualche bella ragazzina preferibilmente straniera, partecipava anche lui a queste partite notturne, anche perché era portiere titolare nelle giovanili del Nettuno Lido.
Durante il giorno, Mino veniva spesso a trovarmi in spiaggia, e lì ci divertivamo a sfilare sul bagnasciuga indossando accappatoi, foulard, e vari accessori che trovavamo in capanna da me.
Qualche volta è venuto a pranzo, con tutto il gruppo, a casa mia, dove si finiva sempre a suonare nella sala prove che avevo nella cantina sotto casa. Erano sempre tutti molto educati e gentili, e anche mio padre, che spesso veniva ad ascoltarlo, si era molto affezionato a lui. Mino, nel periodo che l’ ho frequentato, è sempre stato umile e generoso, e lo è stato anche dopo, quando arrivò il grande successo.
Dopo la prima partecipazione al Festival di Sanremo, nel 1967, con il brano di Mogol e Battisti “Non prego per me”, d’ estate ritornò al Lido a suonare sempre all’ Excelsior, e nulla cambiò. Ricordo quando, quasi sempre, mi chiamava sul palco per cantare con lui il finale del “Diario di Anna Frank”. Io che ero solo un ragazzino di 17 anni, ero molto emozionato e orgoglioso. Nel 1969 partecipò al Cantagiro, e con mio fratello andammo a vedere la tappa di Chioggia. Quell’ anno, oltre a Mino, c’erano tutti i cantanti che hanno fatto la storia della musica leggera italiana:
Massimo Ranieri, Lucio Battisti, l’ Equipe 84, Mal, Iva Zanicchi, Jimmy Fontana e molti altri. A fine spettacolo, con la solita umiltà e generosità, Mino mi invitò a cena dove c’ erano quasi tutti questi mostri sacri. Fu indimenticabile.
Tutto il 1970 e i primi mesi del 1971 mi videro poi impegnato nel servizio militare, ma non smisi di seguire i successi di Mino che arrivavano ormai uno dopo l’ altro. Avevo da pochi giorni “dismesso” la divisa, che con mio fratello organizzammo una visita all’ appena sorto Villaggio Reitano, dove un paio d’ anni prima, con i guadagni dei primi successi, Mino, con la collaborazione del padre Rocco, aveva acquistato un bell’ appezzamento di terreno ad Agrate Brianza. Lì iniziò a sorgere la casa di Mino con attorno quelle dei fratelli ed altri parenti che salirono dalla Calabria, e dove attualmente vivono ancora undici famiglie della discendenza Reitano. Non poteva mancare il campo da calcio, naturalmente, con le porte “vere”, dove si divertirono negli anni tanti suoi colleghi illustri tra i quali Celentano, Morandi, Mogol, Mengoli e tantissimi altri.
Ricordo che Mino, al nostro arrivo, era occupatissimo. Interviste, servizi tivù, organizzazione di serate, partecipazioni a festival e trasmissioni televisive. Mio fratello e io rimanemmo pazienti ad aspettare nella sua taverna, finché arrivò l’ ora del pranzo. Mentre stavamo pensando di rinunciare all’ incontro, arrivò il padre Rocco che ci chiese: “ La mangiate una pasta e fagioli?”. Non attese nemmeno la risposta, imbandì la tavola e si sedette a mangiare con noi. Naturalmente non c’ era solamente la pasta. Dopo una mezz’ora scese Mino. Un abbraccio forte, e gli occhi che brillavano. “A settembre vengo al Lido! Parteciperò alla mostra di musica leggera”. Fu proprio una bella notizia. Avere ancora Mino a casa mia era veramente una gioia.
Ricordo che ci portò poi a vedere come stava sorgendo il Villaggio Reitano, incontrammo Gegè, Antonio e infine Franco che stava attrezzando il proprio studio di registrazione. Arrivò così il mese di settembre. Davanti all’ Hotel Excelsior, quartier generale della manifestazione, sfilarono
la Lamborghini di Little Tony, la Jaguar E di Adriano Celentano e via via, fino a quando arrivò una Mercedes bianca, nuova fiammante targata MI-NO0001. Al volante c’era il fratello Gegè, e Mino scese dalla porta posteriore, salutò con il suo solito modo inconfondibile la gente che lo acclamava dalla scalinata di fronte, dopodiché riuscii a superare, grazie alla mia spavalderia, la barriera di guardie del corpo che si era formata davanti all’ ingresso e che aveva il compito di non far entrare gli intrusi. Mino mi diede appuntamento per la mattina seguente per assistere alle prove.
Entrai con lui nel salone del teatro e ascoltai tutte le prove. La sera, entrai sempre per la zona riservata ai cantanti, per godermi lo spettacolo. In quel periodo, avevo iniziato a insegnare a suonare la chitarra ad alcuni ragazzi paraplegici che erano ricoverati all’ Ospedale Al Mare del Lido di Venezia, i quali, sentendo che stavo seguendo in quei giorni le prove dei cantanti mi chiesero: “Portaci qualcuno al nostro teatro, ci farai un grande regalo!”. Sapevo che non sarebbe stata un’ impresa semplice, ma un sorriso di quei ragazzi sfortunati valeva molto di più che “beccarsi” una risposta negativa. Per prima cosa chiesi le autorizzazioni in direzione per poter eventualmente organizzare uno spettacolo pomeridiano. A quei tempi era tutto più semplice. Ottenni per il giorno successivo il permesso di utilizzare il Teatro Marinoni, all’interno dell’ospedale, però non c’erano ancora gli artisti. Non mi persi d’ animo e mi recai immediatamente in teatro dove i cantanti stavano ancora provando. Allora non c’ erano i pass, bastava dire che eri con qualcuno ed entravi dappertutto.
Andai subito da Mino per chiedere la sua disponibilità. Accidenti aveva il pomeriggio tutto occupato. Ma mi portò da Al Bano e gli spiegò il problema, lui rispose subito:
“Mino, non preoccuparti ci penso io! Intanto io ci sono!” poi mi portò con lui in albergo e incominciò a “reclutare” un po’ di volontari chiedendo:”La vuoi fare una cosa bella? Domani pomeriggio, che non provi, ti portiamo io e Marino, che è questo ragazzo, a incontrare dei ragazzi sfortunati che sono ricoverati nel vicino ospedale”.
Non voglio negare che qualcuno ha anche detto di no, chi per le interviste, o altri impegni, qualcuno anche perché doveva parlare prima con il suo manager. Ma in un’ ora avevamo comunque formato un cast di tutto rispetto: Al Bano, Nicola Di Bari, Lucio Dalla. Il giorno seguente mio fratello faceva la spola dall’ Excelsior all’ ospedale per portare in auto gli artisti e qualche loro accompagnatore, io sistemavo il palco e controllavo l’ impianto audio rendendomi subito conto dell’ inadeguatezza, in quanto era un “Geloso”, di quelli che usavano per la messa della domenica.
Chiunque si sarebbe rifiutato di cantare in quelle condizioni, ma quando iniziai a chiamarli sul palco ad uno ad uno e si trovarono di fronte a una platea gremitissima di ragazzini e carrozzine, avevano tutti gli occhi lucidi. Quando Al Bano iniziò a cantare accompagnandosi con la chitarra, disse: “Neanche a Sanremo ci sono dei microfoni così buoni!”
Fu un’ ora di spettacolo intenso, pieno di emozioni e con Al Bano che fece salire sul palco, con non poche difficoltà, una ragazzina che conosceva tutte le sue canzoni e duettarono insieme. Il giorno dopo, alle prove del Festival tutti mi salutavano, tutti avevano saputo dello spettacolo. Ringraziai personalmente tutti, e naturalmente Mino, per la sua intercessione, quando lui mi disse: “Sento che non posso andarmene dal Lido senza fare una visita ai bambini poliomielitici…ieri non ho potuto esserci per lavoro, ma oggi, prima di partire voglio passare in reparto a cantare una canzone per loro”. E così fu! Le suore e gli infermieri avevano radunato i bambini nel lungo corridoio del reparto, Mino dovette aspettare qualche minuto prima di parlare ed intonare “Una chitarra cento illusioni”, aveva un grosso nodo alla gola, mi confessò.
Da quella volta non sono più riuscito a incontrare Mino personalmente. Lo vidi durante una puntata di “Buona Domenica”, ero tra il pubblico, ma non volli disturbarlo. Continuai a seguirlo a ogni sua partecipazione televisiva e sempre con grande affetto. Provai tanto dolore quando vidi la dura sofferenza che dovette affrontare negli ultimi mesi della sua vita. Grazie a suo fratello Gegè, che non vuole che si dimentichi l’artista che era Mino, e che tutti gli anni, da quando Mino ci ha lasciati, organizza nella sua Calabria un Memorial dove tanti cantanti interpretano i successi di Mino, tra breve uscirà il libro che racconta la sua vita e la sua carriera.
Ciao Mino, ne approfitto per un saluto pieno di affetto da me e dai “ragazzi” del Lido che hanno avuto il privilegio di conoscere il “ragazzo” Mino Reitano.
° Frontman dei Chewing Gums