Storia filosofica dei secoli futuri
Romanzo fantascientifico dell’Ottocento
Questo mese l’introduzione di un romanzo breve scritto nel 1860 dallo scrittore, patriota e militare, Ippolito Nievo. Nato a Padova nel 1831, Nievo scomparve nella notte tra il 4 e il 5 marzo 1861, nel naufragio della nave a vapore Ercole, tra Palermo a Napoli: tutte le persone imbarcate perirono e né relitti né cadaveri furono restituiti dal mare. Scrisse moltissimo: saggi articoli interventi; romanzi e novelle di grande interesse storico (per noi moderni) ambientati di preferenza nelle campagne settentrionali. Il suo nome è legato a Le confessioni d’un italiano, corrette e pubblicate Arnaldo Fusinato (quello de L’ultima ora di Venezia 1849) come Le confessioni di un ottuagenario (il che non ha giovato molto alla diffusione del libro). Gran parte della sua opera (che a noi piace moltissimo) è rimasta per lungo tempo inedita, soprattutto perché Nievo era impegnato a combattere per l’unità d’Italia. Con la Storia filosofica dei secoli futuri del 1860, Nievo è tra i precursori della fantascienza italiana: tratteggia la storia fantapolitica dell’Italia dall’anno 1860 al 2222. Il testo è tratto da Wikisource, dove l’alacre lettore, se vorrà, potrà trovare tutto il romanzo per intero, scaricarlo come meglio crede in vari formati per la propria lettura preferita.
La scienza delle analogie ha donato alla terra l’America ed al cielo i pianeti di Leverrier. Essa somiglia a quelle donne, nate per regnare nei balli e nei teatri, di cui ognuno contesta la bellezza, salvo poi a caderne innamorati alla prima occasione. Eterna e sempre giovane erede di Platone, essa batte colle ali dipinte di iride gli ultimi confini dello scibile umano, mentre la scienza sperimentale, tabaccona contemporanea di Galileo, incespica ad onta de’ suoi occhiali nei ciottoli della strada postale. Onore a chi se lo merita.
Io ho osservato che i giardinieri, procurando alle piante una vicenda artificiale e prematura di stagioni, ottengono delle fioriture anticipate. Le rose sbocciate nel calor della serra a mezzo l’inverno raccontano coi loro profumi alle sorelline, addormentate ancora, la storia d’un anno che per queste è ancor da venire. Non è poca pazienza la mia l’aver osservato codesto. Chi si cura ormai delle rose nell’anno di Palestro e di Solferino? Ma è ben più maraviglioso che ne ricavassi le deduzioni che ne ricavai.
Su per su gli uomini somigliano alle piante, e le piante agli uomini. Tutti siamo parenti nell’atto creativo universale e nella materia del lavoro. Perché non si potranno ottenere anche nel processo del pensiero umano delle fioriture anticipate? Che la filosofia e la chimica siano venute al mondo proprio per nulla? Io non ho mai creduto una tale bestialità. Mi consultai con Liebig, con Schelling, con Cagliostro e col professor Gorini: indi intrapresi quel fortunato esperimento che m’accingo a descrivervi.
Presi mezz’oncia di fosforo e una dramma di plutonio, i due elementi di cui si compone l’intima semenza umana; li mescolai ben bene e tolsi dalla dose quella particella infinitesima che forma probabilmente lo strumento passivo dell’intelligenza. Diluito in seguito quest’atomo arcano in una bottiglietta di buon inchiostro nero inalterabile, e versato l’inchiostro sopra una carta convenientemente satura per mezzo del magnetismo animale di volontà e di pensiero, ne ricavai due grandi pagine d’un nero lucente e perfettissimo. Qui cominciava la parte meccanica e delicata del grande esperimento. Assoggettai quella carta alla temperatura media condensata e avvicendata di trecentosessantatré inverni e di trecentosessantatré estati. Il miracolo si operò appuntino; la fioritura pensante di tre secoli avvenire fu ottenuta con tal precisione, che sfido un critico tedesco a trovarci di che ridire. Come su un negativo fotografico alle levature di nitrato d’argento, comparvero dapprima su quella carta apparentemente carbonata alcuni segni bianchi: poi si profilarono alcune lettere, massime le iniziali; indi si disegnarono le intiere parole; da ultimo vi si stese elegantemente calligrafata la storia che ora trascrivo. Quel postero cervello a cui con questo processo magico ho rubato le idee mi perdoni il latrocinio: i pensieri furono rare volte cagione di felicità e con questa soperchieria io potrei avergli fatto un ottimo servizio.