Barba ci cova (II)
Vuolsi così primieramente scrivere dell’arredo pilifero facciale antiquariale
Inizia il nostro viaggi tra le barbe, nei secoli e nei popoli: presso gli antichi la barba è stata a lungo considerata simbolo di prestigio, saggezza e (ovviamente) virilità.
«Chi se la fa non la porta» è un indovinello della categoria Settimana Enigmistica. «È quasi impossibile portare la fiaccola della verità attraverso una folla senza bruciare la barba a qualcuno» è un aforisma di Lichtenberg (Georg Christoph, scrittore tedesco, 1742-1799). Un semiologo scriverebbe: «Chi la porta “dice che…“ e “dice a…“, anche ciò che non vorrebbe dire.. a chiunque». Poiché, al di là delle intenzioni e motivazioni personali di ogni barbicultore, la barba è un potente segnale socio-erotico e un ovvio marcatore biologico del vissuto sessuale di chi la coltiva: in barba a ogni altra opinione di barbifan o barbìfobi, e poichè ci sono ampie differenze culturali nella percezione delle barbe nel mondo, tanto risultano vari gli esempi e i gradi di barbitudine.
Dal barbicultore che cova sotto sé e nasconde agli altri la vera essenza della propria individualità per differenziarsi, perciò, sarebbe interessante sapere quale tratto del suo volto evidenzia o nasconde, evidenziandolo o modificandolo con peluria sul volto contrapposta alla calvizie sulla testa, e se considera la barba un artificio usato (giocoforza!) per correggere e migliorare il proprio aspetto dissimulando le imperfezioni che la natura gli ha imposto.
Tesaurizzando ciò che apprenderà continuando a leggere qui di seguito della barba coltivata dai popoli antichi, prima di leggere successivamente della barba coltivata dai popoli moderni e contemporanei.
Presso i popoli antichi la barba è stata a lungo considerata simbolo di prestigio, saggezza e (ovviamente) virilità.
Del popolo dei Longobardi, privo di scrittura, s’ignora l’origine del loro nome, conteso da tra «lunghe barbe» e «lunghe alabarde». Cercando nei testi degli scrittori antichi, fra le medaglie e le monete, esaminando statue e bassorilievi, visitando i musei e frequentando gli antiquari, di barbicultori effigiati, noti e meno noti, ce ne sono di ogni epoca ed etnia. Tra i popoli del Nord l’uso di coltivare la barba vanta origini più antiche ed è stato praticato più a lungo che tra i popoli del Sud, perché i popoli del Nord si sono inciviliti più lentamente dei popoli del Sud, e perché, data la loro bellicosità ancestrale, la barba folta ben si addice alla naturale ferocia del guerriero, tanto quanto all’autorevolezza del capo di famiglia o di un popolo, alla maestà di un Pontefice e all’aspetto di un indovino o di un mago. Causa la convinzione maggiormente diffusa e condivisa riassumibile come segue: In generale la barba folta non selvaggia o incolta può denotare in chi la porta forza fisica, robustezza d’animo, serietà di mente, e direi quasi, più solida moralità: laddove il raderla è forse un primo passo verso la mollezza, e lo inviziarsi delle nazioni.
La maggior parte degli Dei e dei personaggi mitologici raffigurati risulta barbuta. Fatta eccezione per Apollo, Mercurio e Bacco, somatizzati da una perpetua giovinezza imberbe: sebbene ci risulti raffigurato anche qualche Bacco con guance paffute dotate di barbetta ricciuta, e sapendo che all’effeminato Ganimede è consentito portare sul volto soltanto una serica lanugine. Ampie, lunghissime e folte, ci risultano le barbe dei Giovi Ammoni, degli Ermeti, degli Esculapi, e di tutte le divinità egizie, escludendo Api ed Osiride.
Gli Assiri hanno portato barbe considerate insigni, che nelle occasioni importanti hanno usato cospargere di oli profumati e polvere d’oro, mentre gli abitanti di Sparta hanno ritenuto la rasatura chiaro segno di effeminatezza, giudicata mollezza da Catone. I Semiti l’hanno portata appuntita (più lunga nelle regioni orientali, più corta in quelle occidentali), senza i baffi. Gli Dei se li sono raffigurati, invece, con barbe lunghe e fluenti, spesso ricciute, accuratamente pettinate. Gli Egiziani l’hanno portata appuntita, intrecciata e senza baffi. La barba posticcia, inesistente nella realtà egizia, è stata riservata come caratteristica alle statue reali. Visitando le esposizioni di arte egiziana sappiate che se la barba posticcia risulta modellata liscia significa che il faraone era vivo durante la costruzione del monumento o del sarcofago, mentre se risulta modellata arricciata vuol dire che il faraone era già morto. In Mesopotamia l’hanno portata completa, lunga e accuratamente pettinata.
Per gli ebrei osservanti è un precetto religioso antichissimo portare la barba, con l’obbligo, rigorosamente rispettato dai sacerdoti, di non arrotondarla, né spuntarla, come risulta scritto nel libro biblico del Levitico (19,27): «Ego Dominus Deus vester… neque in rotundum attondebitis comam, nec radetis barbam…». (Non taglierete in tondo la chioma, né raderete la barba..). L’hanno portata (e continuano a portarla) naturale e incolta, patriarcale, destinata ad essere tagliata soltanto in segno di lutto, come in ogni tempo, o per indossare maschere protettive nella modernità nuclearizzata. Usanza che sopravvive ancora oggi tra gli arabi e i beduini: e di ciò si legge in quattro versetti della Bibbia.
Nel primo, Isaia (VII, 20), preannunciando il giorno della nascita del Messia, dice: «E in quel giorno il Signore raderà col rasoio stipendiato di quei di là dal fiume, dei re degli Assiri, il capo e i peli del corpo e anche la barba interamente». Nel secondo, lo stesso Isaia (XV, 2), vaticinando la devastazione della orgogliosissima, altera e arrogante città di Moab, precisa che: «… tutte le teste dei suoi saranno scalvate e tutte le barbe rasate». Nel terzo, Michea (I, 16) inveisce contro il popolo di Israele, suo conterraneo: «Scàlvati e ràditi per i tuoi diletti figli, schiòmati la testa crine a crine, com’aquila; perché sono stati condotti via schiavi lungi da te!“. Nel quarto, infine, Geremia (XLVIII, 37) ripete il vaticinio di Isaia, riguardo la distruzione di Moab: «Ogni testa sarà scalvata e ogni barba tagliata». Poiché radere la barba ai cittadini di una città conquistata era la maggiore umiliazione che si potesse infliggere. Come risulta essere accaduto agli ambasciatori di Davide per mano degli Ammoniti, che per tale oltraggio perpetrato dovettero accettare la sfida a intraprendere una guerra che combatterono con a fianco gli Assiri e perdettero in modo disastroso.
Nei «Paralipomeni» risulta descritto e commentato ciò che è accaduto, riassumibile come qui di seguito, scritto nello stile del fantasmatico scrittore sette-otto-centesco del quale decido di continuare a essere ghostwriter.
Il buon re David mandò ad Anone re degli Ammoniti un’ambasciata in segno di condoglianza, e per complimentarlo sulla successione al trono del morto suo padre. Questi nunzii la Scrittura li chiama«pueros», e i commentatori interpretano verisimilmente questa parola in senso di «giovani scelti», e direm così eleganti. Un precipitoso sospetto fe’ pensare a quell’incirconciso regolo, che, sotto pretesto di un complimento, con quella spedizione si avesse in mira dalla corte israelitica di esplorare il paese, e le forze degli Ammoniti. Istigato dagli adulatori ministri, Anone, giovane impetuoso, fece prendere, tosare e sbarbare que’ signorini: e per rendere più grave l’insulto, fe’ loro tagliar di dietro le lunghe vesti «a natibus usque ad pedes», che vuol dire propriamente, dalle natiche sino ai piedi: ed in simil guisa acconciati li rimandò là dond’erano venuti. Informato il re David dell’orribile attentato, spedì tosto incontro ai mutilati suoi nunzii, affinché non procedesser’oltre sino alla regia Gerusalemme; ma si fermassero e nascondessero in Gerico, città frontiera, ivi aspettando una nuova barba, perché troppo esposto a contumelia era il loro stato, dice in precisi termini il testo. Più villana infrazione del diritto delle genti non poteva immaginarsi. Tardi sen’avvide l’Ammonita, e per prevenire il giusto risentimento dell’offeso monarca Ebreo, gli mosse contro un’armata, che dovea certo essere sterminatissima, avendo seco trenta due mille carri, come leggiamo nelle divine carte. David oppose le immense sue truppe sotto la condotta dei due valorosi capitani fratelli, Giacobbe e Abisai: si fe’ campagna, che terminò, dopo molt’altre, con una rotta totale dell’esercito Ammonita. In quella vittoria, che David riportò in persona, dice la Scrittura, ch’egli uccise (non so come debba ciò intendersi) sette mille carri, e quarantamille tra Sirii ed Ammoniti. Or veggasi di quanta importanza fu quel taglio di barba, e quali funeste conseguenze produsse.
I Nazareni, considerati i più costumati e puri tra gli ebrei, si sono distinti per la cura e l’igiene nel taglio dei capelli e nella coltivazione della barba: differenziandosi radicalmente dai Farisei che hanno preferito portare barbe lunghe e ispide poco curate.
Nel libro «L’ultimo dei giusti» di Andrè Schwarz-Bart (Feltrinelli Ed.), romanzo che sfocia nell’immane tragedia dell’Olocausto, con l’intento di ricostruire il lungo percorso dell’essere ebraico, è possibile sottolineare i brani che trascrivo qui di seguito, come temi forieri di svolgimenti attinenti l’erudizione personale di ogni lettore o lettrice in dimestichezza con la barbilogia: Quando c’era sole, proibiva d’aprir la porta a chiunque portasse barba da talmudista (p. 35) — …quella spiritosaggine da barba lunga la sapevano ormai tutti (p. 38) — …filosofare con tutte le barbe sapienti (p. 68) — …si accontentavano di tagliargli la barba (p. 94) — Allora me la presti la tua barba? (p. 150) — “Per la barba di Mosè“, brontolò il nonno (p. 202) — Mardocheo si tirò la barba con forza per darsi un contegno (p. 209) — … gli indigeni dell’isola di Borneo, sempre ghiotti di teste fresche, accordarono il permesso di immagine; con l’unica riserva di poter prelevare per dazio le più belle barbe della partita (p. 316) — …aggiunse, lisciandosi la barba (p. 329) — Uno di essi cercava di tirare la barba ad un vecchio fedele… (p. 367) — E con fare sornione, tra la barba… (p. 373) — E l’altro si toccherebbe la barba e direbbe… (p. 378) — La barbetta rossa del rabbino ha anch’essa forma di becco (p. 39). ★
Barba ci cova© Per gentile concessione dell’autore — Riproduzione vietata