Spettacolo Art Decò

Monterey Helford Gin, per esigenti

Molti gin danno la sensazione di essere preparati da un appassionato, ma il Monterey Helford Gin ha pretese molto più alte. Si presenta in una bottiglia ottagonale meravigliosamente decorata, alta stretta alla base e più larga in alto, con quattro lati corti agli angoli e quattro facce più ampie, con un tappo di vetro. L’etichetta, uno sfondo verde scuro con caratteri prevalentemente dorati, presenta una profusione di forme geometriche in stile Art Déco.

 

Monterey Helford Gin.

FRIMSLEY — Dice subito che è un gin «per i più esigenti» (non mi aspetterei niente di meno) e che la sua gradazione alcolica è del 43%. Ho comprato la mia bottiglia (numero 62 dal lotto uno) dai Constantine Stores in una recente visita ed è arrivata in una splendida scatola di presentazione bianca, risplendente con il logo Art Déco di Monterey in oro. È un oggetto impressionante e spicca sul mio affollato espositore di gin.

Il nome del gin, distillato a Helford, vicino a Falmouth, in Cornovaglia, si lega bene all’atmosfera Art Déco della bottiglia. I pini di Monterey, che si ergono alti e orgogliosi lungo le rive del fiume Helford, adombrando le querce autoctone, furono introdotti negli anni Venti e Trenta dalla California. Hanno trovato l’area di loro gradimento e non si sono voltati indietro. La mente dietro il Monterey voleva creare un liquore che riecheggiasse i giorni dei bar speakeasy, dei flapper, quando i cocktail erano di rigore: un gin che sarebbe stato ugualmente a suo agio sia come componente di un cocktail stravagante, sia come partner di una buona tonica.

Ci sono undici botaniche nel mix. Frustrante: non ne rivelano neanche una, tranne che vi si trova la radice di genziana (ingrediente principale degli amari di Angostura) l’erba mate (da cui si ricava il tè nazionale dell’Argentina) e l’olivello spinoso (un arbusto molto resistente dai bellissimi frutti arancioni ricchi di vitamica C). Il punto di partenza è uno spirito di grano biologico in cui gli undici prodotti botanici sono immersi in un distillatore di rame dalle forme rotonde che alla Monterey chiamano Shirley, dal vero nome del wrestler britannico Shirley Crabtree, noto come Big Daddy. Man mano che l’alambicco Shirley si riscalda, l’infuso viene lasciato evaporare, quindi raffreddato e condensato. Una volta smaltite la testa e la coda del lotto, i cuori vengono diluiti fino al suo peso di combattimento utilizzando acqua demineralizzata.

Con questo processo, noto come distillazione one shot, lo spirito non viene modificato (a parte la necessaria diluizione con l’acqua purificata). Ciò che entra è ciò che esce e tutti gli oli e gli aromi delle essenze botaniche vengono conservati. Ma è anche un processo che richiede tempo e significa, inoltre, che il numero di bottiglie ottenute da ogni lotto è all’estremità inferiore dello spettro di produzione.

La domanda chiave, tuttavia: è tutta apparenza o c’è della sostanza? È all’altezza della sua immagine e del suo clamore?

Non so perché, ma sinceramente mi aspettavo di rimanere un po’ deluso (saro anch’io esigente?): ma il mio pessimismo abituale era totalmente fuori luogo. L’aroma mi diceva che questo gin sarebbe stato a base di ginepro e che spezie, pepe e alcuni elementi di agrumi sarebbero stati nel mix. Al gusto è stata una bevanda morbida e complessa con tutti gli elementi che entrano in gioco una volta passato il colpo di ginepro iniziale. Il retrogusto è lungo e leggermente piccante.

È andato molto bene con Navas tonic, la leggerezza del tonico che enfatizza alcuni dei sapori più sottili del gin. Non solo il gin Monterey ha un bell’aspetto, ma ha anche e soprattutto un buon sapore: e non si può chiedere di meglio.

Alla prossima volta, saluti e auguri per l’anno nuovo (che ne abbiamo tutti bisogno)!

 

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