Quegli stranieri che
ammazzano il calcio
Colpe e malanni italiani
Troppi calciatori stranieri (343, il 62 per cento del totale) nel massimo campionato italiano di calcio. Un affare per le società che li comperano per pochi denari sperando di rivenderli a caro prezzo. Ma un problema per la crescita del calcio italiano perché tolgono pane e aria ai giovani talenti e svuotano la Nazionale che non per caso è stata esclusa dalle ultime due edizioni dei mondiali. 28 casi di squadre italiane che hanno schierato undici giocatori stranieri. Ultima vergogna, il Milan. Ma il primato spetta all’Udinese.
MILANO – Ci sono voluti quindici lunghi anni, ma alla fine ce l’ha fatta anche il Milan. I rossoneri sono riusciti a entrare a far parte, per la prima volta nella loro storia, della ben triste compagnia delle squadre di calcio della serie A italiana che sono state capaci di non schierare in campo almeno per una volta, nell’undici titolare, nemmeno un giocatore italiano.
L’epica impresa dell’ennesima vergogna dell’avvilente spettacolo del calcio italiano, che rimarrà scolpita per sempre –in negativo- nella storia del Milan, si è celebrata allo stadio di San Siro la sera di lunedì 13 marzo 2023, nella partita Milan-Salernitana finita in pareggio (1-1, per il Milan rete di Giroud al 46’ del primo tempo).
Pioli, l’allenatore (italiano) ha schierato in campo questa formazione: Maignan (Francia), Kalulu (Francia), Thiaw (Germania), Tomori (Canada), Saelemaekers (Belgio), Bennacer (Francia), Krunic (Bosnia), Hernandez (Francia), Diaz (Spagna), Leao (Portogallo), Giroud (Francia). Cinque francesi (Paese delle cui cognizioni calcistiche si dubitava fino a non molti anni fa), un tedesco, un canadese, un belga, un bosniaco, uno spagnolo, un portoghese. Un’infida Babele incapace persino di battere una mediocre squadretta che naviga mestamente nei bassifondi della classifica.
Ma non era certo la prima volta (e non sarà sicuramente l’ultima) che un fatto così increscioso accadeva nel nostro massimo campionato di calcio di cui una volta si diceva che era il più bello del mondo. Precursore il solito Mourinho (portoghese), che in un Roma-Inter del 2008 (0-4) aveva schierato Julio Cesar (Brasile), Maicon (Brasile), Cordoba (Colombia), Chivu (Romania), Zanetti (Argentina), Muntari (Ghana), Cambiasso (Argentina), Quaresma (Portogallo), Stankovic (Serbia), Obinna (Nigeria), Ibrahimovic (Svezia).
E’ successo già 28 volte. Il primato spetta all’Udinese (9 volte), seguono l’Inter (8), la Roma (3), la Fiorentina e il Napoli (2), Bologna, Torino, Spezia e adesso Milan (1). Logico, del resto, se si pensa che in Italia è straniero il 62% dei giocatori di serie A (sono 343 complessivamente), una percentuale più alta di quelle di Spagna (43%) e Francia (54%), di poco inferiore solo all’Inghilterra (65%).
Tutto cambia, certo, nel tempo. Questo è il mondo globalizzato di adesso. Libera circolazione di uomini e merci, in tutto il mondo. Mercato del lavoro (anche il calcio professionistico in fondo lo è) aperto a tutte le nazionalità. Solo fino a pochi anni fa, non sarebbe venuto in mente a nessuno di acquistare giocatori africani. O cinesi o coreani o giapponesi. Si compravano brasiliani e argentini per regalare fantasia, al massimo qualche tedescotto per rinforzare le difese. I portieri stranieri? Quando mai. I migliori del mondo erano quelli italiani.
Allora, se il mondo cambia ci si adegua. Dove sta il problema? Sta, sta. Ci sono due ordini di problemi. Il primo è che la stragrande maggioranza dei 343 giocatori stranieri, delle più varie nazionalità, che giocano nel massimo campionato italiano, è fatta di giocatori mediocri. Quelli che fanno la differenza, sono pochissimi. Allora perché li comprano?. Primo, li comprano perché costano poco, spesso nulla (in molti casi li tolgono dalla miseria), e comunque molto meno di un promettente diciottenne italiano che sgomita in quarta serie. Secondo, perché molti fingono di pagarli a peso d’oro, esportando capitali, evadendo il fisco e truccando i bilanci. Terzo, perché sperano che dal mazzo spunti qualche campioncino da rivendere a caro prezzo facendo un buon affare.
Ma l’effetto più negativo è che tutti questi mezzi brocchi stranieri rubano l’aria e il pane ai giovani calciatori italiani che nella nostra serie A (ma ormai anche in B…) trovano spazi sempre più ridotti per giocare, o non ne trovano proprio. E quindi non riescono a maturare esperienza e a mettersi in mostra. Basta vedere com’è diventata ormai una fatica enorme trovare giocatori italiani all’altezza per la nostra Nazionale italiana di calcio, che non a caso ha subìto l’onta dell’eliminazione dalle due ultime edizioni dei mondiali di calcio. E non si può dire che la colpa sia stata soltanto di Giampiero Ventura e Roberto Mancini.
Le colpe, come sempre accade, vanno cercate a monte più che a valle. Vanno cercate nelle regole. Quelle che autorizzano questo numero così spropositato (e inutile) di giocatori stranieri. Un personaggio pure molto discusso come l’ex presidente della Fifa Joseph Blatter, qualche tempo fa aveva avuto, al riguardo, un’idea interessante: una società di calcio, in ossequio alle regole del libero mercato, può acquistare quanti stranieri vuole, ma in campo può schierarne al massimo 5. Gli altri 6, cioè la maggioranza della squadra, devono essere cittadini del Paese dove si gioca. Francesi in Francia, spagnoli in Spagna, italiani in Italia e così via. Questo per preservare i vivai per le Nazionali. Naturalmente non lo hanno ascoltato. Una proposta saggia come questa avrebbe turbato traffici e affari.
Personalmente ho molta nostalgia di quando, negli anni Cinquanta e Sessanta, erano permessi solo due stranieri per squadra. Perché quei due facevano davvero (quasi sempre) la differenza, ed era un piacere e uno spettacolo vederli. Perché si chiamavano Sivori e Charles, Suarez e Jair, Liedholm e Schiaffino, Vinicio e Altafini. Mica la tristezza (salvo casi piuttosto rari) di adesso