Nasce la piattaforma ministeriale

Enigmatico progetto per la cultura italiana online

Sarà in funzione per decreto (febbraio 2021) la piattaforma culturale a pagamento immaginata e fortemente voluta dal ministro dei beni e delle attività culturali Dario Franceschini. Definita la «Netflix della cultura italiana» è finanziata da con 29 milioni di euro: dieci ciascuno il ministero e la Cassa depositi e prestiti; nove milioni dalla CHILI spa, l’azienda italiana di distribuzione via internet di film e di serie TV. Ne varrà la pena?

Paolo Veronese, Aracne o la Dialettica (1520, Palazzo Ducale, Venezia).

COSMOPOLI — L’idea è venuta al ministro durante il confinamento di primavera: l’ha portata avanti con determinazione, incurante delle critiche e dei dileggi subito sollevati da più voci, fino a renderla concreta agli inizi di dicembre.

Un nome ancora non c’è. L’obiettivo sì (scusate il burocratese commerciale): «sostenere il settore delle performing arts, particolarmente colpito nel corso di quest’anno dalla pandemia da Covid-19». Secondo le intenzioni, la nuova piattaforma sarà divisa in canali dedicati alle arti, come ad esempio l’opera, il teatro, la musica anche pop non solo classica, l’arte ospitando i principali musei. E dovrebbe essere «aperta anche a singole esperienze».

Sulla carta c’è spazio per tutti: «Ci sarà un meccanismo di compensazione con lo spacchettamento degli abbonamenti che si potranno fare ai canali ma anche con un meccanismo di vendita online dei singoli eventi. Con l’intenzione di creare pacchetti di compensazione che diano spazio ai big ma sostengano anche realtà meno forti dal punto di vista commerciale come è giusto in una piattaforma dall’anima pubblica».

«L’idea infatti è quella della promozione ma anche del sostegno, per lanciare la cultura italiana nel mondo ed aiutare la crescita del progetti. Quindi non solo la Scala, le fondazioni, gli Uffizi o Pompei, per parlare di realtà già potenti dal punto di vista della promozione internazionale».

In sostanza sul canale culturale pubblico: «Si andrà dalle produzione audiovisive, ai live, ai podcast e oltre alla parte a pagamento ci sarà anche un’offerta gratuita. Si punta ovviamente anche ad accordi con altre piattaforme internazionali».

La struttura che dovrà sostenere la diffusione dei contenuti e l’offerta commerciale è basata su quella della società milanese CHILI spa, fondata nel giugno 2012 e attiva in vari paesi europei (Regno Unito, Polonia, Germania e Austria), che dichiara oltre quattro milioni di utenti iscritti, e ha tra i suoi azionisti vari titani delle produzioni cinematografiche (Warner Bros, Paramount Pictures, Sony Pictures Entertainment Italia, 20th Century Fox); il più grosso azionista, con un quarto delle azioni, è una finanziaria Lavazza. Nata con l’ambizione di essere la piattaforma europea, e anche premiata, non è mai riuscita però a ripianare il bilancio, continuamente in rosso negli ultimi otto anni.

Per gestire la nuova piattaforma è stata costituita una nuova società finanziata con i fondi di Cassa depositi e prestiti spa e da Chili Tv, con quote rispettive pari al 51% e al 49%. A cui si aggiungono dieci milioni di euro di finanziamento erariale autorizzati dal decreto Rilancio; anche se non è chiaro come e se il ministero entrerà nella nuova società.

Secondo le previsioni ministeriali, «da fine febbraio attraverso la piattaforma si potrà accedere a un’offerta ampia, diversificata e sicuramente molto concorrenziale. Si potranno effettuare tour virtuali dei principali musei italiani e delle maggiori mostre di interesse pubblico, visitare festival e fiere e scegliere fra un ampio catalogo di film e altri contenuti tematici. Nella piattaforma sarà anche possibile acquistare e merchandising e biglietti per la visione live e on-demand di concerti e opere teatrali, di cui in questi giorni si è vista la richiesta».

«La piattaforma digitale — ha concluso il ministro — è un progetto a cui stiamo lavorando per poter offrire la cultura italiana a tutti e in tutti i paesi del mondo».

Inevitabili le critiche, fin dall’aprile scorso e al presente ferocemente aumentate, al progetto.

Intanto le agghiaccianti esperienze dei vari siti promozionali costosissimi pateticamente messi in piedi negli anni passati dai pachidermi ministeriali italici. Per esempio: il portaleitalia.it nel 2007 è costato quarantacinque milioni di euro, poi è diventato italia.it al costo di altri venti milioni: adesso è meglio, ma chissà chi ci va; naufragato nel grande mare invece verybello.it durato lo spazio di sei mesi per l’Expo 2015: l’imbarazzante esperienza è costata però di meno 35mila euro. La predilezione del provincialismo culturale italico per le patacche informatiche è potente. Anche quando non sono patacche e funzionano non risolvono niente: come Immuni insegna.

Poi la constatazione che: ogni ente grande e piccolo della multiforme cultura italiana ha il suo sito da cui emana i suoi contenuti. In moltissime forme, quasi sempre gratuitamente, e con ottimi risultati.

Inoltre esistono già siti di distribuzione di contenuti online molto grandi. Per esempio la Rai (RaiPlay, che però non funziona all’estero per motivi di diritti commerciali). Alla Rai si sono molto arrabbiati:  «L’esclusione della Rai dal progetto della prima piattaforma digitale italiana della cultura risulta quanto meno incomprensibile».

Ma anche e soprattutto: l’europea ARTE, metà francese e metà tedesca con fortissima vocazione multinazionale, nata nel 1992 come tivù e oggi effettivamente multipiattaforma, su cui è possibile trovare tutti i generi audiovisivi di carattere culturale.

Questa la presentazione del sito: «La programmazione di ARTE si compone al 55% di documentari, 25% di film cinematografici e fiction, 15% di programmi d’informazione e 5% di musica e spettacoli dal vivo. Sono inediti i due terzi dei programmi trasmessi da ARTE». Magari valeva la pena collaborare.

Il timore, da più parti espresso, è che si tratti della vanagloriosa creazione di un ennesimo carrozzone dalle ruote quadrate, spinto a colpi di decine di milioni, per gratificare la miopia intellettuale dei filistei italici contemporanei che non vedono altra soluzione a qualsiasi problema che la mercificazione mediocre di ogni cosa.

Senza contare, aggiungiamo, che Netflix non è proprio un traguardo ambizioso come livello di proposta culturale, anzi.

Simone Cosimi, su Wired, pone la domanda fatale: «Perché i negozi sono aperti fino alle 21, i centri commerciali senza problemi e i musei no? In altri paesi, anche con misure più rigide delle nostre, i cinema lavorano (Portogallo, Olanda, alcune zone della Spagna, le aree con restrizioni meno severe della Gran Bretagna), i musei sono aperti (in Belgio, dove però i cinema sono chiusi), in Francia si ripartirà il 15 dicembre». Già, perché?

 

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