Esilio razziale

Un’oscura pagina di storia finalmente illuminata

Un libro di Pietro Rinaldo Farnesi «Gli ebrei italiani nelle Americhe dopo le leggi razziali del 1938» illumina una delle pagine più tristi e finora oscurate della storia del Novecento italiano: l’effetto delle opportunistiche leggi razziali introdotte dal fascismo per ingraziarsi gli alleati nazisti e l’esilio forzato di migliaia di italiani di origine ebraica. Un esodo profondamente diverso dall’emigrazione per fame dei decenni precedenti.

VENEZIA – Gli studi sull’emigrazione italiana nelle Americhe sono soliti concentrarsi sul periodo di tempo che va dal 1870 fino al 1960, che vide l’emigrazione italiana di circa tre milioni di italiani, largamente appartenenti al ceto contadino e poco istruito. Pochi sono gli studi su un caso particolare come l’emigrazione ebraica seguente alle leggi razziali volute da Mussolini, promulgate con Regio Decreto (il 17 novembre 1938) poi convertito in legge (5 gennaio 1939 n. 274).

Lo studio di Pietro Rinaldo Fanesi per le edizioni Nova Delphi, dal titolo Gli ebrei italiani nelle Americhe dopo le leggi razziali del 1938 (euro 18) tende a coprire questo vuoto, prendendo in esame con attenzione le mutazioni ideologiche degli esuli di fede ebraica.

Una piccola diaspora che porterà circa seimila persone ad espatriare in Inghilterra, in Palestina, in Australia, negli Stati Uniti o nei paesi latinoamericani (su circa 37mila ebrei italiani presenti in Italia). Emigrazione possibile grazie all’uso di una rete amicale-relazionale, più che di legami familiari.

Un’emigrazione ebraica ben diversa da quella avvenuta sempre nelle Americhe alla fine del XIX e proveniente dall’Europa Orientale. Gli italiani non parlavano yiddish o il giudeo-spagnolo, non erano particolarmente osservanti e neanche molto informati sulla loro origine sefardita o askenazita. Questo creerà una agevolazione nell’integrazione nei paesi che li accoglieranno, e nel caso delle Americhe accentuato dal fatto che la presenza italiana era di lunga data con comunità integrate e rappresentate anche politicamente.

Si tratta di una emigrazione costituita per lo più da persone molto istruite, docenti universitari, liberi professionisti, funzionari pubblici, industriali, diplomatici, militari e commercianti. Che vedono davanti a sé un futuro molto incerto per per la propria realizzazione umana, professionale e familiare. Come infatti descrive chiaramente Riccardo Calimani: «Pesarono su tutti i perseguitati l’emarginazione, la necessità di ricorrere a sotterfugi per lavorare di nascosto, per sopravvivere. Il futuro incerto, le retrocessioni professionali, le umiliazioni, l’indifferenza, in molti casi, dei vecchi amici e conoscenti, un’ansia profonda per l’avvenire dei figli, l’idea di andarsene, un’angoscia continua, i capricci della burocrazia».

Fino al 1938 non vi era alcuna ostilità dichiarata verso la comunità ebraica. L’antisemitismo covava in alcune piccole parti del mondo cattolico, ma non rappresentava un pensiero comune e nemmeno faceva parte integrante dell’ideologia fascista d’inizio ventennio.

Le comunità aderenti all’ebraismo erano parte integrante della vita sociale e politica italiana. Presero parte con convinzione alle tre guerre di indipendenza. Nel 1905 Alessandro Fortis è il primo ebreo a diventare presidente del consiglio del Regno d’Italia, nel 1910, Luigi Luzzatti, ebreo, è nominato primo ministro. Nel 1922 si contano dodici senatori del Regno di religione ebraica. Durante il primo conflitto mondiale, allora chiamata quarta guerra di indipendenza, figurano alte cariche dell’esercito di religione ebraica, come il generale Emanuele Pugliese, che è stato tra l’altro il più decorato dell’esercito.

Gli ebrei italiani non furono contrari al fascismo in maniera pregiudiziale, salvo rare eccezioni. Parteciparono alla marcia di Roma 230 ebrei, e 760 ebrei erano iscritti in parte al partito dei Fasci Italiani ed in parte all’Associazione nazionalista italiana, che poi si fonderanno nel Partito Nazionale Fascista. A conferma dei ciò figura anche la vicenda di molti ebrei tedeschi che emigrarono subito dopo l’avvento del nazismo nell’Italia fascista, come il caso descritto nel libro di Fanesi di Enzo Arian che emigrò da Berlino a Torino per terminare gli studi in medicina.

Mussolini si dichiarava negli anni ‘20 un aperto sostenitore della causa sionista, e nei suoi scritti sul Popolo d’Italia cercò addirittura di fugare ogni possibile fraintendimento, come in questo suo intervento del 1923: «… S.E. ha dichiarato formalmente che il governo e il fascismo italiano non hanno mai inteso di fare e non fanno una politica antisemita, e che anzi deplora che si voglia sfruttare dai partiti antisemiti esteri ai loro fini il fascino che il fascismo esercita nel mondo.».

Di sicuro questo non attenua le responsabilità della successiva e opportunistica virata verso un aperto antisemitismo, ma inquadra in maniera oggettiva la realtà storica del periodo precedente al 1938. Dopo il 1938, con l’applicazione elle leggi razziali, ci sarà perciò un profondo mutamento di opinione verso il fascismo da parte della comunità ebraica. Portando molti ebrei a scegliere la via dell’esilio, piuttosto che una vita di dura discriminazione in patria.

I paesi americani furono quindi ritenuti una meta privilegiata di emigrazione ebraica. I paesi latini e gli Stati Uniti, figuravano come possibili luoghi dove poter finalmente ricominciare a vivere serenamente. Fuori da coinvolgimenti bellici ma nello stesso tempo impregnati della cultura europea, grazie all’afflusso costante di emigrati iniziato dalla fine dell’Ottocento.

I porti di Buenos Aires (Argentina) e di Montevideo (Uruguay), nel bacino alla foce del fiume Plata, videro sbarcare la quasi totalità degli ebrei che si stanziarono in tutta America latina. L’Uruguay figurò più come una paese di transito verso il Brasile, pochi furono infatti gli ebrei italiani che si stanziarono in questo paese nonostante una preesistente nutrita presenza ebraica, e ciò è dovuto ai mutamenti politici che avvennero in Uruguay negli anni ‘30, con il colpo di stato di Gabriel Terra nel 1931 che introdusse un governo dittatoriale di stampo conservatore, illiberale e filo-fascista, il quale nel 1936 promulgò la Ley de Indesables, per limitare l’afflusso di immigrati politici provenienti dalla Spagna e dall’Urss.

Ben più consistente fu l’afflusso in Argentina, sebbene fossero state promulgate anche qui delle forti limitazioni all’immigrazione che non fosse di manodopera. Fu importante però la chiamata da parte di molti professori universitari argentini verso i colleghi italiani, pratica che veniva accettata dal governo argentino. Vediamo infatti il caso particolare della periferica università di Tucuman, che chiamerà a se eminenti studiosi come il sociologo Renato Treves, il matematico Alessandro Terracini, il linguista Benvenuto Terracini, il filosofo Rodolfo Mondolfo, Tucuman divenne un faro di cultura con ripercussioni profondamente positive sulla società argentina. Ma oltre al caso di concentrazione di studiosi ebrei italiani di Tucuman, ci sono gli episodi di Giovanni Turin e Aldo Mieli ampiamente descritti nel libro di Fanesi.

Il colpo di stato in Brasile nel 1937 vide l’instaurarsi di una dittatura con a capo Getulio Vargas. Lo Estado Novo prendeva spunto in parte dal fascismo, seppur in politica estera oscillasse senza patteggiare per le potenze dell’Asse o gli Alleati. Sicuramente fu una dittatura anticomunista, sorta dalle ceneri di un conflitto interno molto acceso tra l’estrema destra e l’estrema sinistra, e come tale promosse una politica di limitazione dell’espressione e dell’organizzazione politica filo socialista e antifascista ed in generale di opposizione. Da queste premesse di può capire come mai l’immigrazione politica fu disincentivata, gli immigrati di fede ebraica per entrare nel paese dovevano figurare come convertiti al cattolicesimo ed avere una fideiussione bancaria che coprisse l’eventualità di una perdita del lavoro. Questo limite che presupponeva l’uso di sotterfugi venne affrontato da pochi ebrei italiani, con la compiacenza del clero italiano, e si instaurarono principalmente a San Paolo, dove esisteva una numerosa comunità ebraica di eterogenea provenienza. Il basso profilo che imponeva la dittatura di Vargas portò addirittura la comunità ebraica brasiliana al definirsi colonia Mussolini. Non esisteva in Brasile una nutrita presenza antifascista come in Argentina e in Uruguay, le comunità italiane non di fede ebraica patteggiavano in larga misura per il fascismo complice un lavorio propagandistico promosso dal console italiano Serafino Mazzolini. In Brasile avverrà il paradosso che alla fine del conflitto mondiale molti fascisti e repubblichini emigreranno anch’essi in questo paese. Saranno figure di primo piano come Dino Grandi, ministro degli affari esteri di Mussolini e Domenico Giampietro pellegrini, ministro delle finanze dell’RSI.

Negli Stati Uniti la presenza ebraica sarà numerosa, in virtù della disponibilità economica e scientifiche del paese, nonostante le severe attenzioni dell’intelligence su possibili infiltrazioni comuniste tra gli esuli. Emblematica la figura di Max Ascoli, ebreo, socialista che negli stati uniti fonderà la Mazzini Society che radunerà la maggior parte delle anime liberali e repubblicane presenti nel suolo statunitense. Emblematiche le vicende dei fisici e dei Nobel che troveranno negli Stati Uniti la possibilità per portare avanti i propri studi. Parliamo di Enrico Fermi, non di fede ebraica ma sposato con la scrittrice Laura Capon di fede ebraica, che dopo il conferimento del nobel da Copenhagen decise di dirigersi direttamente negli stati Uniti insieme alla moglie e ai figli. Lo seguirà un altro collaboratore di fede ebraica di via Palinsperna, Emilio Segre, negli stati uniti collaborò con Enrico Fermi al progetto Manhattan e, più tardi, nel 1959 il nobel per la scoperta dell’antiprotone, grazie agli studi condotti nell’università di Berckley. Un’altra figura di rilievo è il veneziano Bruno Benedetto Rossi, Dopo la promulgazione delle leggi razziali, emigrò, dapprima a Copenhagen invitato da Niels Bohr, poi in Inghilterra e successivamente negli Stati Uniti. Venne cooptato dopo molte esitazioni al progetto Manhattan, insieme a Fermi e Segre. Altre figure importanti saranno, Massimo Calabresi, Salvatore Edoardo Luria, torinese i cui genitori appartenevano ad importanti famiglie sefardite, biologo e che troverà in terra statunitense le possibilità di approfondire i suoi studi, in particolare al Mit di Boston, rendendolo uno dei centri di ricerca sul cancro più importanti al mondo.

A nord troviamo il Canada, altra terra di emigrazione importante soprattutto per lo sviluppo politico delle comunità ebraiche. Nonostante gli immigrati italiani già presenti vedessero di buon occhio la svolta fascista, vista da lontano come una svolta modernista, dato che la loro emigrazione era dovuta alle condizioni di estrema povertà in cui vivevano in patria, il governo dopo il 1940, con l’entrata in guerra del fascismo, si schiererà apertamente contro ogni tipo di fascismo o di attività parafasciste considerandole illegali. In questo ambito spiccano le figure di Ennio Gnudi, ex sindaco di Bologna, il quale sarà promotore di un’intensa campagna antifascista creando una sezione della Garibaldi; e di Franco Rasetti, fisico, già attivo militante fascista costretto ad emigrare, poi inserito attivamente nel progetto Manhattan.

Come ben si evidenzia da questa fitta carrellata di nomi e di vicende personali, l’emigrazione ha creato un impoverimento per l’Italia, vite di uomini e donne sicuramente esemplari. Giustamente Fanesi descrive questa forma di migrazione come un vero proprio esilio, affrontato con amarezza dai protagonisti. Le indagini è da evidenziare sono state il frutto di uno scavo minuzioso di archivi soprattutto presenti in sud America, in quanto molto spesso in Italia la traccia di queste vicende è stata minimizzata e dimenticata.

Pietro Rinaldo Fanesi
Gli ebrei italiani nelle Americhe dopo le leggi razziali del 1938
Nova Delphi Libri, Studi storici, Roma 2021. 
136 p. brossura
ISBN 9791280097231

 

 

 

 

 

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